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Suor Dorothy Stang: martire della giustizia sociale in Amazzonia

Dorothy Stang

CARLOS SILVA / AGÊNCIA ESTADO

Dorothy Stang en mars 2004.

Lucia Graziano - pubblicato il 10/02/23

Diciotto anni fa, in Brasile, il martirio di Dorothy Stang, suora cattolica assassinata dalla criminalità locale a causa del suo attivismo a favore delle popolazioni indigene

Una nuova categoria di martiri sta lentamente cominciando a emergere, nel linguaggio agiografico e nella predicazione. Si tratta di quelli che molti autori amano definire «martiri del creato» o «della Laudato si’», con ovvio riferimento all’enciclica di papa Francesco dedicata dalla difesa dell’ambiente. Sempre più spesso, il termine viene utilizzato per indicare tutti quegli individui (quasi sempre consacrati) che operavano come missionari negli Stati del Sud del mondo, in contesti di forti tensioni politiche e socio-economiche, e che hanno perso la vita per mano della criminalità locale a motivo del loro attivismo a tutela dell’ambiente e delle popolazioni locali. La loro morte non viene considerata come un semplice fatto di cronaca nera, bensì come un martirio vero e proprio, perché l’attivismo di questi individui era motivato dalle loro convinzioni religiose, che li spronavano a scendere in campo per compiere battaglie a favore dell’equità sociale e della custodia del creato. 

A buon diritto, potrebbero essere etichettati come «martiri del creato» anche molti dei personaggi che furono portati all’attenzione dei fedeli nel corso del Sinodo dei Vescovi per la Regione Panamazzonica, tenutosi a Roma nell’autunno 2019. Per dare conto delle criticità socio-economiche con cui è costretta a battersi la popolazione locale, i vescovi provenienti da quelle terre vollero condividere con tutti noi le storie toccanti di alcuni individui che, in anni recenti, hanno perso la vita in conseguenza delle battaglie che avevano intrapreso. Ecco i loro nomi: Paul McAuley (religioso lasalliano ucciso nel 2019 dopo la sua partecipazione a progetti di sviluppo per le popolazioni indigene); Ezechiele Ramin (sacerdote comboniano assassinato nel 1985 dopo il suo tentativo di mediare in un conflitto tra campesinos e latifondisti) Dilma Ferreira Silva (laica, morta nel 2019 a causa del suo attivismo a favore di una legge che garantisse maggiori diritti ai cittadini danneggiati dalla costruzione di dighe), Alejandro Labaka (vicario apostolico di Aguarico, rimasto vittima di lotte tribali nel 1987 dopo il suo impegno per tutelare le popolazioni locali dallo sfruttamento delle compagnie petrolifere).

Ma tra i testimoni che il Sinodo volle mettere in luce, un nome spicca su tutti: è quello di Dorothy Stang, suora uccisa nel febbraio 2005 a motivo del suo impegno per un’economia più equa capace di tutelare i contadini del Brasile. La mitezza di questa anziana religiosa (più che settantenne al momento dell’omicidio) e l’esemplarità del suo martirio hanno guadagnato a suor Dorothy una giusta fama; e infatti, numerose biografie sono state composte circa la vita di questa testimone, per la quale è stata recentemente aperta una causa di canonizzazione.

Dorothy Stang: missionaria in Brasile, in lotta contro la criminalità organizzata dei latifondisti

Nata nel 1931 a Dayton, negli Stati Unity, Dorothy era poco più che diciassettenne quando abbracciò la vita religiosa entrando nel noviziato delle suore di Nostra Signora di Namur, congregazione fondata nel 1804 da santa Giulia Billiart. Fino alla metà degli anni Sessanta, la religiosa prestò servizio come insegnante elementare nelle scuole che la congregazione gestiva in varie zone degli Stati Uniti; ma nel 1966, in compagnia di alcune consorelle, Dorothy volle rispondere all’invito del vescovo della diocesi di Altamira accettando di recarsi in missione in Brasile, negli Stati di Maranhão e Parà. 

In teoria, la missione che le era stata affidata era quella di fondare una scuola magistrale per la formazione degli insegnanti provenienti dalle comunità indigene – cosa che le religiose fecero senza esitazione e con successo. Ma, entro pochi mesi dal loro arrivo in Brasile, suor Dorothy e le sue consorelle si resero conto che esistevano anche altre problematiche a richiamare prepotentemente la loro attenzione. 

Lasciamo che sia la Segreteria Generale del Sinodo Amazzonico a descrivere le criticità del territorio: a quanto si legge sul suo sito Internet, il Parà è una zona del Brasile in cui i conflitti socio-economici sono particolarmente violenti. Le vittime sono «le popolazioni della foresta, che vivono perfettamente integrate nella natura», «piantano le loro colture e costruiscono i villaggi nelle radure. Non si tratta in questo caso d’indigeni che mantengono il proprio linguaggio e le proprie tradizioni, ma nella maggior parte dei casi di persone di diverse etnie o più semplicemente di abitanti dell’Amazzonia». Ebbene: «nelle aree dove lo Stato non è ancora riuscito a imporre la propria presenza», e dove anzi la situazione è resa critica da «un alto tasso di corruzione istituzionale, le persone sono minacciate e costrette a lasciare le proprie case. Contadini violenti s’impossessano di terreni senza averne nessun diritto e ampliano con la forza i confini delle proprietà». Come se non bastasse la palese ingiustizia ai danni della popolazione locale, troppo debole per difendersi, molto spesso questi fenomeni si accompagnano al disboscamento massivo delle terre sequestrate, aggiungendo al problema ulteriori criticità di tipo ambientale.

Ebbene: suor Dorothy si sentì chiamata a prendere parte attiva nei movimenti che si impegnavano a bloccare questo scempio. Quando, nel 1975, i vescovi brasiliani fondarono una Commissione Pastorale della Terra per sensibilizzare su questo tema l’opinione pubblica, suor Dorothy divenne entusiastica sostenitrice della battaglia. In collaborazione con l’Istituto nazionale per le riforme agrarie, mise a punto un progetto di sviluppo sostenibile da attuarsi nelle zone della foresta amazzonica, destinando a uso agrario il 20% del terreno a disposizione (e finalmente tutelando, a norma di legge, i contadini che se lo vedevano affidare in gestione) e rimboschendo ampie aree con alberi da frutto, in maniera tale da mantenere intatto il 50% della macchia. 

Naturalmente, le popolazioni indigene trassero grande beneficio da questo intervento, e naturalmente molti latifondisti e fazendeiros si sentirono fortemente minacciati dal clima di legalità che questa organizzazione ben oliata stava effettivamente riuscendo a imporre. Dunque, reagirono con la violenza: falsificando documenti, ricorrendo all’uso delle armi e costringendo i contadini ad abbandonare, ancora una volta, le loro terre. E poi, in segno di rappresaglia, la criminalità organizzata volle eliminare colei che ormai era diventata la loro nemica numero uno: suor Dorothy, la cui morte fu commissionata a un sicario al costo di 50 real (al cambio attuale, circa 9 euro). 

«Beati i poveri in spirito»: le ultime parole di Dorothy Stang

Il 12 febbraio 2005, mentre si stava recando a un incontro di lavoro, suor Dorothy fu fermata da due uomini che le chiesero bruscamente di identificarsi. Un collega della religiosa, che avrebbe dovuto accompagnarla al lavoro ma che quella mattina era leggermente in ritardo, ebbe modo di essere testimone degli eventi da una distanza tale che gli permise di nascondersi per non essere visto dagli assassini, pur permettendogli di assistere all’omicidio. 

Stando alla sua dichiarazione, i sicari si avvicinarono alla suora con atteggiamento apertamente minaccioso, domandandole se fosse armata. Suor Dorothy rispose che l’unica arma che aveva con sé era il Vangelo, e tentò anche di instaurare un dialogo con quelli che (ormai era palese dal loro atteggiamento) erano due malintenzionati, citando loro un passo dalle Beatitudini: «Beati i poveri in spirito, perché loro è il regno dei cieli». Tanto non bastò a impressionare gli assassini, che aprirono il fuoco crivellandola di colpi. 

«Oggi non stiamo seppellendo suor Dorothy: stiamo deponendo il suo corpo nella terra affinché porti frutto» dichiararono simbolicamente le sue consorelle nel giorno dei funerali, che ebbero un’eco mediatica altissima in tutto il Brasile. Ed effettivamente la morte della religiosa contribuì ad accendere i riflettori su una situazione palesemente critica e di estrema violenza, che dopo questa tragedia nessuno poté più far finta di ignorare. Nello Stato del Parà è oggi attivo un “Comitato Dorothy” che raccoglie avvocati, politici, religiosi, esponenti del mondo accademico e semplici attivisti che mirano a far crescere la consapevolezza circa le problematiche cui la suora dedicò la vita, promuovendo progetti a sostegno della micro-economia locale. 

Si dice spesso che «il sangue dei martiri è seme per nuovi cristiani»; in questo caso, si potrebbe chiosare aggiungendo che quello di suor Dorothy fu anche il fertilizzante che permise ai suoi progetti di crescere e di prosperare. 

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