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Per Francesco giornata storica a Kinshasa, tra luci e tenebre 

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TIZIANA FABI | AFP

Hugues Lefèvre - i.Media per Aleteia - pubblicato il 02/02/23

Per il suo secondo giorno in Repubblica Democratica del Congo, il Papa ha avuto la gioia di celebrare la messa davanti a più di un milione di fedeli. Egli ha pure ascoltato, nel pomeriggio, le dolorosissime testimonianze delle vittime della RDC dell’Est. Una giornata piena di contrasti.

Giorno di festa a Kinshasa. Era da prima della pandemia che papa Francesco non aveva trovato folle tanto dense. Riuniti sulle piste di un aeroporto della capitale, più di un milione di fedeli hanno celebrato la venuta del pontefice argentino, quasi 38 anni dopo quella di Giovanni Paolo II. Già alla vigilia migliaia di persone avevano investito l’immenso terreno per essere certe di non perdersi nulla – anche a costo di passare la notte in bianco. È per esempio il caso di Joseph, 42 anni, venuto dalla provincia del Kasaï, al centro della RDC. Dopo aver ottenuto dal suo principale cinque giorni di ferie per recarsi a Kinshasa, si è fatto 24 ore di viaggio per arrivare all’aeroporto alle 3 del mattino: 

Vengo a prendere la benedizione del Santo Padre – ha detto mentre la papamobile compariva sulla pista, provocando un’esultanza incontrollata –. Quando si vede il Papa, si vede il rappresentante di Gesù, colui che porta la pace. 

Fino alla partenza del Papa dall’immensa scenografia allestita per l’occasione, danze e canti hanno ritmato la celebrazione. 

A Kinshasa, però, l’ebbrezza della mattinata ha lasciato posto a un momento che segnerà sicuramente questo quinto viaggio di Francesco in Africa, ma anche l’intero pontificato; un momento che il Papa stesso ha personalmente auspicato, dopo essersi rassegnato a non poter andare a Goma, nell’Est della RDC, per via della guerra. 

È stato nella nunziatura apostolica di Kinshasa, alla fine del pomeriggio, che il Papa ha incontrato una delegazione delle vittime delle violenze perpetrate in quella perte del Paese, dove infuria un centinaio di gruppi armati. In un silenzio assordante, che contrastava con l’effervescenza della mattinata, un pugno di uomini e donne hanno cominciato a raccontare il loro calvario. 

Sono sopravvissuto a un attacco del campo degli sfollati di Bule – ha testimoniato il rev. Guy-Robert Mandro Deholo, della diocesi di Bunia –: l’attacco ha avuto luogo nella notte del 1º febbraio 2022 per opera di un gruppo armato che ha fatto 63 morti, tra i quali 24 donne e 17 bambini. Ho visto l’orrore: persone fatte a pezzi come si squarta la carne in macelleria… donne sventrate, uomini decapitati… 

Poi è venuto il turno di Emelda M’karhungul, trentenne ridotta in schiavitù sessuale nel 2005: 

Ogni giorno da cinque a dieci uomini abusavano di ognuna di noi. Ci facevano mangiare pasta di mais e la carne degli uomini uccisi. Talvolta mescolavano le teste delle persone con la carne degli animali. Questo era il nostro cibo quotidiano. Chi rifiutava di mangiare veniva a sua volte fatto a pezzi e dato in pasto agli altri. Vivevamo nude così da non poter scappare. 

Davanti a queste testimonianze sconvolgenti il Papa, visibilmente toccato, si è detto «sotto choc». Ha reso omaggio al coraggio di quelle persone, che hanno vissuto la barbarie sulla loro pelle e che oggi hanno il cuore disposto a un processo di perdono. 

Dopo ogni racconto, infatti, le vittime avanzavano portando tra le mani gli strumenti che simboleggiavano i loro tormenti per deporli davanti a un crocifisso: «Depongo davanti alla Croce del Cristo Vincitore un machete identico a quello che ha ucciso mio padre», ha spiegato un giovane di 16 anni. «Mettiamo sotto la croce di Cristo gli abiti degli uomini in armi che ci fanno ancora paura», ha detto Emelda M’karhungul. «Ecco la stuoia, simbolo della miseria di donna violentata», ha da parte sua dichiarato Bijoux Makumbi Kamala, 17 enne, che sulla schiena portava le gemelle nate da uno stupro subito. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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