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Perché Francesco va in Repubblica Democratica del Congo? 

Pope Francis and Democratic Republic of Congo President Felix Tshisekedi Tshilombo meet at Vatican

Vincenzo PINTO | AFP

Hugues Lefèvre - i.Media per Aleteia - pubblicato il 30/01/23

Per il suo 40º viaggio all’estero dal 2013, il Papa si reca in Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan dal 31 gennaio al 5 febbraio. In una RDC dilaniata dai conflitti, il Pontefice intende portare un messaggio di pace e ridestare le coscienze sui drammi che si svolgono nella parte orientale del Paese. Il suo viaggio è anche l’occasione di incontrare il più grande Paese cattolico d’Africa, un continente in cui i cristiani evangelici crescono con forza.

«Vi chiedo perdono». 12 giugno 2022, davanti a una Piazza San Pietro gremita di persone, il Papa si esprimeva così dalla finestra del Palazzo Apostolico, in occasione dell’Angelus domenicale. Due giorni prima, la Santa Sede aveva annunciato l’annullamento del viaggio in RDC e in Sud Sudan, previsto per il mese di luglio. Ufficialmente, il viaggio era stato rimandato per non «compromettere i risultati delle terapie al ginocchio, ancora in corso». Ma tra le ragioni c’era anche la questione della sicurezza nell’est della RDC: così gli organizzatori del viaggio presero la decisione di rimandare lo spostamento sine die

Una ferita, per il Papa, il quale ha insistito per riprogrammare a stretto giro il viaggio e onorare un Paese da più di 105 milioni di abitanti, in cui la metà della popolazione è di cattolici. Commenta così una fonte diplomatica che annovera il viaggio nel solco dei grandi spostamenti di Francesco in Iraq nel 2021 oppure in Repubblica Centrafricana nel 2015: 

L’inizio del 2023 era l’ultima  finestra possibile per farlo venire, perché a fine anno ci saranno le elezioni e la Santa Sede non vuole né influenzarne lo svolgimento né essere strumentalizzata. 

Alla vigilia del viaggio, il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, in qualche modo “primo ministro” del Papa, ha confidato che il pontefice vola per l’Africa come «pellegrino di pace e di riconciliazione». 

Bisogna dire che la RDC è flagellala da una povertà endemica – l’ex colonia belga è stata classificata 175ª su 189 dall’indice 2020 di sviluppo umano delle Nazioni Unite. E la questione della sicurezza è sempre molto critica, soprattutto nell’Est, dove il Papa desiderava recarsi inizialmente. 

«Il sito sul quale il Papa doveva celebrare la messa nello scorso luglio – ci dichiara il vescovo di Goma, mons. Willy Ngumbi – è ormai sulla linea del fronte». Da più mesi la diocesi scale è divisa in due, e una parte è ormai in mano ai ribelli del M23, un potente gruppo armato fondato nel 2009 ed essenzialmente composto da ruandofoni del Nord del Congo che accusano la RDC di marginalizzare la loro minoranza Tutsi. 

La regione, ricca in minerali, è attaccata da decine di milizie che prosperano su fondi di interesse etnico-economico. Mons. Melichisédech Sikuli, vescovo della diocesi di Butembo-Beni (sempre nel Nord-Kivu), dice: 

Villaggi, scuole, strutture mediche… i ribelli di ADF/MTM [nebulosa che alcuni vogliono affiliata allo Stato Islamico, N.d.R.] uccidono all’arma bianca, depredano i beni, rapiscono bambini, giovani, adulti, donne e uomini per trasportare i beni rubati… Poi incendiano case e altri beni prima di ritirarsi. 

Dietro queste milizie, armate fino ai denti, si nascondono anche gli interessi delle potenze vicine: 

Il Ruanda – mormora un diplomatico, inorridito da tutti i drammi che si svolgono nell’Est della RDC – è una borsa specializzata in oro… eppure dal suo territorio non ne viene fuori un grammo! Si può parlare di milioni di morti nell’ultimo trentennio… è abominevole! E quel che è incredibile è che tutto si svolga nella più grande indifferenza. 

Chiaramente il diplomatico vede nel viaggio del Papa un’occasione per ridestare le coscienze. Avendo dovuto rinunciare a recarsi nel Nord Kivu, il Pontefice 86enne ha personalmente desiderato incontrare delle vittime dell’Est del Congo a Kinshasa, la capitale, nella quale dormirà per tre notti. Sarà uno dei momenti salienti del viaggio: 

Ci saranno delle ragazze che hanno subito violenze – racconta mons. Willy Ndumbi –: sono state portate nelle foreste dai ribelli per fungere da schiave sessuali. 

Il prelato accompagnerà davanti al Papa degli ex bambini-soldato, altri che sono stati costretti a lavorare nelle miniere oppure delle vittime dell’eruzione vulcanica  del maggio 2021, che aveva colpito la regione di Goma. 

Nei suoi discorsi, che alcuni annunciano “scoppiettanti”, il Papa dovrebbe lanciare un grido per la pace; ma potrebbe anche tornare a fustigare l’attitudine dell’Occidente a fronte dello sfruttamento delle ricchezze naturali in Africa. In una grande intervista accordata a Mundo Negro, la rivista della congregazione comboniana, il Papa denunciava già a metà gennaio la persistenza di una mentalità coloniale per quanto riguarda l’Africa. Alcuni giorni più tardi, le sue parole si riversavano nelle colonne dell’agenzia AP, spiegando che i Paesi africani avevano certamente ottenuto l’indipendenza territoriale… quanto al suolo, mentre «il sottosuolo è stato lasciato in mano ai colonizzatori arrivati dopo». 

Incoraggiare il più grande Paese cattolico d’Africa 

All’indomani del suo arrivo in RDC, papa Francesco dovrebbe celebrare la messa davanti a più di un milione di fedeli raccolti sull’asfalto dell’aeroporto di Kinshasa. Un momento di gioia per un Paese in cui vivono circa 50 milioni di cattolici, ossia il 20% dei cattolici del continente africano. Primo paese cattolico francofono al mondo, questo immenso territorio ha visto l’arrivo dei primi missionari portoghesi alla fine del XV secolo. 

La presenza della Chiesa si è intensificata nel corso dei secoli, e l’istituzione dispone oggi di una rete di infrastrutture sanitarie ed educative unica – essa gestirebbe quasi un terzo delle scuole pubbliche e il 40% degli stabilimenti sanitari del Paese, secondo il Groupe d’étude sur le Congo. Una posizione che le permette di attenuare, per quanto possibile, le carenze della cosa pubblica. «In RDC, quando lo Stato non c’è, la Chiesa supplisce», sottolinea un gesuita congolese. 

In questo Paese, che ha conosciuto l’indipendenza nel 1960, la Chiesa è spesso salita sulle barricate per difendere lo Stato di diritto a fronte dei poteri autoritari che si sono avvicendati. Nel 2015 la potente conferenza episcopale della RDC, la CENCO, si è gettata nella battaglia per una transizione democratica dopo 15 anni di regno di Kabila. Avendo ottenuto, col concorso della mobilitazione massiccia di migliaia di laici – la convocazione di elezioni alla fine del 2018, essa ha allora inviato 40mila osservatori sul territorio per garantire il buono svolgimento dello scrutinio. 

L’esito del voto, però, è sfuggito di mano all’istituzione, che in un primo momento non ha riconosciuto l’elezione di Félix Tshisekedi al posto del presidente, e ha dichiarato che il vero vincitore era Martin Fayulu. L’arcivescovo di Kinshasa, il futuro cardinale Fridolin Ambongo, ha condannato una «negazione di verità», considerando che Kabila aveva in realtà designato Félix Tshisekedi come successore. 

Per evitare la paralisi, e vedendo le grandi potenze occidentali riconoscere Tshisekedi, i vescovi della RDC hanno finito per accettare l’avvento del nuovo presidente. Dopo questo fallimento, alcuni non hanno esitato a dire che la Chiesa in RDC ha certamente autorità, ma non vero potere. Per la fine dell’anno si annunciano scadenze elettorali, e alcuni sperano che papa Francesco lanci un messaggio forte e chiaro: «Ci aspettiamo – dice mons. Willy Ngumbi – che richiami come le elezioni debbano essere libere e trasparenti, senza corruzione e senza traffici». 

Altri sono più scettici, quanto alla capacità del Papa di lanciare un siffatto appello: 

Significherebbe – sfuma un diplomatico – delegittimare l’attuale presidente, che in un primo momento non era stato riconosciuto dal clero… Ora il tempo è passato e la Chiesa e il governo cercano oggi di essere costruttivi, tanto le sfide sono grandi. 

Il Papa dovrà anche trovare le parole giuste per incoraggiare una Chiesa cattolica fortemente insidiata dall’ascesa dei cristiani evangelici. Il Vaticano ritiene che il 22% della popolazione congolese sia protestante, e che il 19% si ascriva ai contesti evangelici e pentecostali. Certo, il numero dei cattolici continua ad aumentare, ma ormai meno rapidamente della popolazione totale del Paese. 

In una nota dell’IFRI sulla Chiesa in RDC, redatta nel 2018, Laurent Larcher avvertiva già: 

L’Africa è un continente in cui la Chiesa cattolica deve dare prova della propria determinazione e della propria efficacia nel difendere la giustizia sociale e il buon governo, mentre i nuovi movimenti appoggiati dalla gioventù pensano che essa abbia fallito in questo campo. Quando non la ritengono “troppo timorata”. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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