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Padre John Main: dalle filosofie orientali alla meditazione cristiana

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fran_kie | Shutterstock

Lucia Graziano - pubblicato il 29/01/23

Padre John aveva trentatré anni nel momento in cui abbracciò la vita religiosa entrando in un monastero benedettino: fino a quel momento, aveva vissuto in Malesia sperimentando le filosofie orientali. E ritenendo che vi fosse qualcosa di positivo nella meditazione yoga, cercò una via cristiana per incorporarla nella spiritualità benedettina.

Bisogna aver avuto una vita interessante, per disporre di una biografia sintetizzabile come segue: “monaco benedettino nato nella Londra degli anni ’20, estimatore delle filosofie orientali, decide di trovare una via cristiana per proporre ai fedeli una tecnica di meditazione illuminata dal Vangelo”.

E “interessante” è senza dubbio un aggettivo calzante per descrivere la vita di padre John Main. Scopriamola assieme. 

Dall’Angelicum all’ashram e ritorno: la travagliata vocazione di padre Main

Douglas Main (era questo il suo nome di Battesimo) nasce a Londra nel 1926 in una famiglia di religione cattolica. La fede è un elemento importante nella vita del giovane, che anzi sembra avere davanti a sé una sfolgorante carriera ecclesiastica: ancora ragazzino, entra nel seminario diocesano; dopo qualche anno, colpiti dalla sua intelligenza acuta, i suoi superiori gli propongono di proseguire i suoi studi all’Angelicum, la prestigiosa università pontificia con sede a Roma.

Ma è proprio all’ombra del Cupolone che, in lui, qualcosa si spezza. Douglas comincia a dubitare della sua vocazione, non è più sicuro di sentirsi chiamato al sacerdozio e anzi inizia a mettere in discussione molti aspetti della sua vita. Decide di abbandonare il seminario e di iscriversi a un corso di laurea più monetizzabile: studia Legge, entra un in organo governativo e, alla metà degli anni ’50, viene inviato in missione diplomatica a Kuala Lumpur. E proprio lì avviene un incontro destinato a cambiargli la vita: per ragioni di lavoro, Douglas visita un orfanotrofio e scambia qualche parola con il suo fondatore, Swami Satyananda, ancor oggi considerato uno dei più grandi guru dello Yoga.

L’uomo lo colpisce profondamente. Chiacchierando del più e del meno, Swami Satyananda domanda a Douglas se lui abbia l’abitudine di meditare; il giovane gli risponde che, negli anni del seminario, lo faceva spesso, anche se sentiva di non essere mai riuscito a farlo nel modo corretto, e gli descrive la struttura della preghiera ignaziana di meditazione. Swami Satyananda ascolta con rispettosa attenzione e poi replica che la sua tecnica di meditazione è molto diversa rispetto a quella che viene insegnata nei seminari cattolici e che gli è stata appena descritta: Douglas si incuriosisce, dice che vorrebbe provare, e il maestro yoga accetta di prenderlo come suo discepolo.

Non si trattò, formalmente, di una vera e propria abiura da parte di Douglas, né il suo guru provò a convincerlo della necessità di abbandonare la sua fede cattolica; anzi: gli propose di meditare utilizzando, a mo’ di mantra, parole significative per la religione cristiana. A suo modo, quelli vissuti alla scuola del guru yoga furono per Douglas anni di introspezione e di crescita spirituale, ai termini dei quali l’uomo giunse a una conclusione: la sua vocazione era effettivamente quella di mettersi al servizio di Dio e della Chiesa cattolica, ma non come sacerdote diocesano. Tornò in Europa, bussò alle porte di un monastero benedettino e chiese di essere accolto come novizio.

L’esicasmo dei Padri del Deserto alla base di una nuova forma di preghiera meditativa

Naturalmente, il maestro dei novizi impose a Douglas di abbandonare quella pratica di meditazione orientale che era ormai parte fondante delle sue giornate. E Douglas ovviamente obbedì, comprendendo bene il perché di quella richiesta: però, pur nella grande ricchezza della tradizione benedettina, continuava a ritenere che ci fosse stato qualcosa di buono e di fruttuoso nella meditazione che aveva avuto modo di sperimentare in Oriente.

Ormai divenuto monaco assumendo il nome religioso di John, in omaggio a san Giovanni apostolo, il nostro amico svolse vari ruoli in seno alla famiglia benedettina… quand’ecco, alla metà degli ’70, una svolta. A John capitò di leggere un volume che parlava dei padri del deserto e della preghiera esicasta, che consisteva nella ripetizione della litania «Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente, abbi pietà di me peccatore». Oggigiorno, molti cattolici conoscono questo tipo di preghiera, che però non era molto praticata all’epoca in cui John aveva affrontato i suoi anni di studio in seminario e noviziato; il monaco fu folgorato da questa scoperta e ritenne d’aver trovato la conferma di ciò che aveva sempre pensato: può certamente esistere una via cristiana per meditare attraverso la ripetizione di parole significative. L’esicasmo gli sembrava quasi un mantra, ma arricchito dalla luce del Vangelo.

La meditazione cristiana di padre John Main

Nel 1974, col permesso dei suoi superiori, padre John radunò attorno a sé un piccolo gruppo di monaci che erano interessati a sperimentare uno stile di vita in cui la preghiera contemplativa di affiancava a forme di meditazione cristiana “non convenzionale”. John, infatti, non volle proporre ai suoi confratelli una ripetizione letterale della preghiera dei Padri del Deserto: cercò una terza via, più vicina alla sua personale sensibilità, avendo cura di consultarsi sempre con i suoi superiori per non correre il rischio di allontanarsi dalla corretta pratica cristiana. 

I risultati furono così positivi che, in pochi anni, padre John fu ritenuto in grado di proporre la sua esperienza a un numero più ampio di persone. Nel 1977, il vescovo di Montreal lo invitò nella sua diocesi, proponendogli di aprire una comunità benedettina interamente dedicata alla pratica e all’insegnamento della meditazione; e se oggi questa comunità non esiste più, vittima della crisi vocazionale che ha costretto molte famiglie religiose a razionalizzare la loro presenza, esiste ancora (e anzi è in espansione) la World Community for Christian Meditation, che padre John fondò a beneficio del laicato. A oggi, la comunità è presente in 126 nazioni, Italia in inclusa, operando con approvazione ecclesiastica sotto l’attenta vigilanza dei monaci benedettini. 

Ma insomma: come si svolge, concretamente, la meditazione cristiana sviluppata da John Main? Queste, le istruzioni dettate dal monaco (che in ogni caso sconsigliava il fai-da-te e suggeriva a tutti gli interessati di farsi affiancare da uno dei gruppi attivi sul territorio):

Siediti. Stai seduto immobile con la schiena dritta. Chiudi gli occhi delicatamente. Poi interiormente, in silenzio, comincia a recitare una sola parola. Si consiglia l’antica preghiera cristiana “Marànathà”. Recitala scandendola in quattro sillabe di eguale lunghezza. Respira normalmente e metti tutta la tua attenzione alla parola, ascoltala mentre la pronunci, in silenzio, con delicatezza, fedelmente e soprattutto – semplicemente. L’essenza della meditazione è la semplicità. Lascia andare tutti i pensieri (anche i buoni pensieri), le immagini e altre parole e ritorna alla preghiera immediatamente se ti accorgi di aver smesso di ripeterla o se l’ attenzione sta vagando altrove.

Il monaco suggeriva di meditare due volte al giorno, per circa quindici minuti a sessione; incoraggiava i fedeli ad accostarsi al momento di preghiera recitando questa orazione:

Padre del Cielo, apri i nostri cuori alla presenza silenziosa dello spirito di Tuo Figlio. Guidaci all’interno di quel misterioso Silenzio, dove il Tuo Amore si rivela a tutti coloro che ti invocano. Maranatha… Vieni Signore Gesù.

E forse il lettore non si sorprenderà nello scoprire che, in un’epoca in cui le filosofie orientali affascinano un crescente numero di persone, la tecnica di preghiera di padre John riscuote un notevole successo tra i fedeli, attirando soprattutto le giovani generazioni. Vien da dire: è proprio vero che la Chiesa cattolica è così universale da lasciar spazio a qualsiasi forma di sensibilità, purché essa si lasci illuminare dalla luce del Vangelo. 

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