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Astronoma di Harvard: «La fede? Aiuta la conoscenza scientifica»

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prof. Karin Oberg

Lumen Christi Institute / Youtube

Emiliano Fumaneri - pubblicato il 27/01/23

La fede nel Dio Creatore non ostacola affatto la scienza. Anzi, facilita le scoperte scientifiche. Lo dice una giovane scienziata di Harvard.

Dal cuore della Ivy League, la lega delle otto più prestigiose università americane, arriva un messaggio chiaro sulla compatibilità tra fede ragione: c’è armonia tra conoscenza di Dio e conoscenza scientifica. A farsene portatrice è stata una scienziata di Harvard durante la Wonder Conference, il convegno su scienza e fede che si è tenuto il 13 e il 14 gennaio scorsi a Grapevine, in Texas. All’incontro, organizzato dal Word on Fire Institute promosso dal vescovo di Winona-Rochester, Robert Barron, hanno preso parte circa in mille persone.

È proprio in quella occasione che ha preso la parola Karin Öberg, giovane professoressa (classe 1982) di astronomia e direttrice degli studi universitari presso l’Università di Harvard. Specializzata in astrochimica, Öberg indaga i processi chimici che influenzano la formazione dei pianeti, in particolare le condizioni di abitabilità dei pianeti nascenti dal punto di vista chimico.

Proprio il suo contatto con i misteri dell’universo, ha spiegato durante il meeting la scienziata di origine svedese, l’ha portata verso un orizzonte più ampio del proprio io. Le meraviglie dell’universo, ha detto, «dovrebbero attirarci fuori da noi stessi» e far puntare il nostro sguardo «non soltanto verso quelle stesse meraviglie e verso le verità che rivelano, ma anche verso la fonte di tutte le verità e il sommo Creatore di tutte le cose».

È dunque falsa la vulgata secondo la quale la fede rappresenterebbe un ostacolo per la ricerca scientifica. È giusto il contrario, sottolinea l’astrochimica. La fede, lungi dall’essere un impedimento per l’indagine scientifica, può tornare molto utile agli scienziati per via del «fondamento sicuro» fornito dalla credenza in un Dio Creatore. La stessa Öberg si è convertita dall’ateismo grazie al suo lavoro di scienziata che l’ha aiutata a apprezzare il fatto che noi tutti viviamo in un universo ordinato che «ha un inizio, una parte mediana e un fine che si snoda nel tempo».

La fede? Aiuta la scienza

«Penso che dovremmo sentirci del tutto fiduciosi del fatto che avere una vera filosofia, e una vera religione, dovrebbe rendere più facile fare scoperte scientifiche, e non il contrario», ha affermato la scienziata nata in Svezia da genitori luterani.

Come detto Öberg, che fa parte del consiglio della International Society of Catholic Scientists (Società Internazionale degli scienziati cattolici), studia principalmente la formazione delle stelle e dei pianeti. E ha spiegato come in realtà lo spazio «vuoto» tra le stelle, conosciuto come «mezzo interstellare» (abbreviato in ISM, dall’inglese InterStellar Medium), non sia per nulla vuoto dato che contiene una grande quantità di gas e polvere. Nel corso di milioni di anni le nubi interstellari possono cominciare a collassare su stesse. È in questo modo che si formano le stelle, ha detto Öberg.

Il legame tra fede e scienza

Che la fede non impedisca in nulla la ricerca scientifica, insiste la studiosa, lo prova l’esempio di figure come quella del belga Georges Lemaître, l’astronomo gesuita che per primo ha proposto la teoria universalmente nota come Big Bang, contribuendo così a diffondere l’idea che l’universo avesse un inizio. Un inizio che presuppone l’esistenza di un Creatore.

«Non posso fare a meno di chiedermi se… la ragione per cui ha avuto lui l’idea, invece di alcuni degli altri brillanti scienziati da cui era circondato, non avesse qualcosa a che fare col suo cattolicesimo. Intendo dire che già sapeva, per fede, che l’universo aveva avuto un inizio nel tempo». Chiaro il riferimento al racconto biblico della creazione narrato nella Genesi. Spesso infatti si tende a sottovalutare quella che Claude Tresmontant ha definito la «rivoluzione metafisica» della teologia biblica. Che consiste proprio nella presa di distanza dalle religioni e dalle filosofie antiche che contenevano al massimo storie di generazione e fabbricazione del mondo, ma nessuna dottrina della creazione.

Qualsiasi fabbricazione presuppone infatti che la materia della fabbricazione sia data, non fabbricata. Un fabbro non crea la materia con cui forgia, ad esempio, una spada. Al contrario, spiega Tresmontant, «la dottrina della creazione, nel pensiero biblico, significa che Dio ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, senza servirsi di materia preesistente, senza partire da un caos preesistente, da un disordine preesistente che egli avrebbe ordinato, e senza ricavare dalla sua sostanza gli esseri che crea». Il che vuol dire anche che il divino è diverso dal mondo. Significa che Dio non è il mondo e il mondo non è Dio: la grande scoperta di Israele. Il mondo dunque non è un assoluto insondabile. È vero l’opposto: è l’Assoluto il creatore del mondo. Questa è la chiave di tutta la teologia e della metafisica della Bibbia e, di conseguenza, anche della teologia e della metafisica cristiane.

Come ricordava Benedetto XVI nel suo grandioso discorso al Collège des Bernardins (2008), «il mondo greco-romano non conosceva alcun Dio Creatore; la divinità suprema, secondo la loro visione, non poteva, per così dire, sporcarsi le mani con la creazione della materia. Il “costruire” il mondo era riservato al demiurgo, una deità subordinata. Ben diverso il Dio cristiano: Egli, l’Uno, il vero e unico Dio, è anche il Creatore».

Per tornare a padre Lemaître, Öberg ha anche confessato di non poter fare meno di chiedersi se la sua fede nella creazione biblica non «gli abbia reso più facile accettare questa idea» del Big Bang. Così come, ha aggiunto, «c’è una ragione, penso, per cui molti atei erano molto preoccupati per la teoria del Big Bang mentre veniva presentata».

I limiti del metodo scientifico

Altra distinzione da scolpire bene in mente, ha ricordato l’astrochimica svedese trapiantata ad Harvard, è quella tra scienza e scientismo. La maniera migliore per rispettare la scienza è quella di non farne una religione, un assoluto, un idolo infallibile. Per questo è importante aver presente che anche il metodo scientifico ha dei limiti. Ad esempio «ci sono molte domande sull’universo che possiamo fare e che non sono scientifiche… cose come: cosa impari dalla bella arte? Cosa rende bella l’arte?».

Allo stesso modo va sfatato il luogo comune secondo il quale «puoi sapere se qualcosa è vero solo se puoi dimostrarlo scientificamente». Ma in realtà i modi per arrivare alla verità delle cose sono tanti e «la scienza è uno di questi». Ma, cosa importante, non è l’unico metodo.

Anche l’idea che lo scienziato non debba nulla all’intuizione è ben lontana dalla realtà, fa notare Öberg. Al contrario gli scienziati, quando gli si chiede perché abbiano avuto quell’idea o quella particolare ipotesi, spesso se ne escono fuori con cose come queste: «È stata un’ispirazione». Un fatto sconosciuto a chi crede che il metodo scientifico sia «un processo iper-razionale» quando invece, ha detto Öberg ridendo, «stai praticamente invocando lo Spirito Santo».

L’intelligibilità dell’universo

In ultima istanza sono la razionalità e l’ordine osservati nell’universo a rendere possibile qualunque genere di indagine scientifica. Tutte “frecce” che puntano in direzione di un Creatore che è l’origine di ogni pensiero razionale, incalza Öberg. «Il progetto scientifico si basa sulla presenza di ordine e intelligibilità nell’universo, che non è qualcosa che la scienza può provare che ci sia. È qualcosa che si presume ci sia», ha sottolineato l’astronoma.

Se non fossimo altro che una specie di animali evoluti soltanto per sopravvivere e procreare, ha aggiunto, non ci sarebbe ragione alcuna perché fossimo muniti di «una ragione finemente sintonizzata con la ricerca della verità». La razionalità degli esseri umani per Öberg è un altro indice del fatto che le nostre anime sono «modellate su Dio stesso». Così come l’intelligibilità dell’universo continuamente disvelata dal lavoro scientifico «mostra l’incredibile generosità del Creatore nel condividere i suoi poteri causali con la creazione» in un modo che «sarebbe stato impossibile immaginare nel mondo prescientifico».

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