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“Le mie crisi di uomo e di prete”: le confessioni di Padre Gheddo

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 26/01/23
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Il missionario giornalista, scomparso nel 2017: "La mia vita spirituale era decaduta, ci sono stati tre motivi che hanno spinto la mia rinascita"

Confessioni private e segrete, aneddoti sugli oltre 80 Paesi visitati per incontrare popoli, culture, missionarie, missionari, volontari: più di 100 i libri scritti, numerosi i colleghi di cui è stato amico, confidente e collaboratore, da Indro Montanelli a Enzo Biagi, i "contro-reportage" dal Vietnam durante il conflitto degli anni Settanta: lo raccontava Padre Piero Gheddo (Tronzano Vercellese, 10 marzo 1929 – Cesano Boscone, 20 dicembre 2017), nel libro "Inviato speciale ai confini della fede. La mia vita di missionario giornalista" (Editrice missionaria italiana).

Padre Gheddo, già «decano» dei missionari giornalisti d’Italia, per 40 anni è stato direttore del mensile Mondo e Missione, e fondatore dell’agenzia stampa AsiaNews.

Dure prove

In questo libro Padre Gheddo rivela che più volte nella sua vita ha attraversato vere e proprio crisi interiori. Da uomo e da prete. «Anch’io ho vissuto momenti di difficoltà - dice - affrontato rischi e prove. In più occasioni ho visto da vicino la miseria più disumana, le atrocità delle guerre e delle violenze. Qualcuno mi ha chiesto: "Non ti è mai salito, da dentro, il grido “Dio, dove sei?” davanti a certi tragici spettacoli?"».

Tra le missioni di Padre Gheddo c'è stata anche quella nell'inferno dell'Eritrea

"Ho conosciuto la fame autentica"

Cosa ha sconvolto il missionario-giornalista? Sicuramente ciò che ha visto con i suoi occhi. «Ho già visto la fame in India, ma non in questa spaventosa situazione: uomini, donne, bambini, anziani, seduti per terra in tutte le costruzioni, nei corridoi, nelle stanze, nel cortile sotto un sole impietoso, per avere due volte al giorno una fetta di polenta di mais con un po’ di peperoncino e un litro d’acqua per famiglia. La fame autentica (che poi proverò in Angola) torce lo stomaco, rende l’uomo disumano. Ho pensato a Gesù crocifisso. Questi poveri scheletri umani sono in Croce con Gesù. Mi sento colpevole, responsabile di quella tragedia. Penso a tutto quel che Dio ha dato a me e nulla a quei poveri in Croce con Gesù. Provo vergogna, piango e prego per loro».

Nel ciclone per l'Humanae Vitae

Crisi e sofferenze a volte, prosegue il sacerdote, «le ho patite per attacchi personali. Sono cose passate, quasi non meritano di essere ricordate. Però, dopo il primo viaggio in Vietnam (1967-1968), la pubblicazione della Humanae vitae di Paolo VI (1968) e il "Sessantotto", ero contestato aspramente, deriso e, a volte, insultato e umiliato come "papalino", perché davo sempre ragione al papa e ai vescovi. Andavo controcorrente e ne pagavo il prezzo. Nel 1972 chiesi a monsignor Aristide Pirovano, rieletto superiore generale del Pime nel capitolo post-conciliare del 1971-1972, di poter andare in missione, poiché mi contestavano anche non pochi confratelli. Pirovano mi disse di andare avanti: ero d’accordo con Paolo VI e con lui e questo doveva bastarmi».

"Mi sono lasciato trascinare"

Da sacerdote, confessa ancora Padre Gheddo, «ho attraversato la forte crisi dell’attivismo: mi sono lasciato trascinare in un tale inarrestabile ingranaggio di attività, sempre più urgenti, da mettere in secondo piano la preghiera e la ricerca dell’intimità con Gesù Cristo».

Dal 1968 fin verso il 1973-1974 «mi capita di trascurare il breviario, il rosario, la confessione, di non celebrare tutti i giorni la santa Messa... Sono talmente pressato dagli impegni che mi pare logico non dare troppo peso alle pratiche di pietà, perché mi illudo pensando: "Gesù sa che prima o poi a queste pratiche ci ritorno!" Per grazia di Dio e intercessione dei miei santi in Cielo (papà e mamma anzitutto), non credo di aver mai avuto dubbi sulla fede e nemmeno sull’autorità della Chiesa di parlare in nome di Gesù Cristo. Ma in quegli anni c’è un decadimento nella mia vita spirituale».

L'addio a "Mondo e missione"

Uno dei momenti più critici, Padre Gheddo l'ha vissuto quando ha dovuto abbandonare la sua "creatura" editoriale, Mondo e Missione.

«Il 24 aprile 1993 è un sabato - ricorda - Nella notte parto per il Brasile mandato dal superiore generale padre Franco Cagnasso per aiutare nella nascita di Mundo e Missão (la versione in portoghese di Mondo e Missione). A mezzogiorno, da un confratello che viene da Roma ricevo una lettera di padre Cagnasso che mi invita, quando ritorno dal Brasile, a un colloquio con lui, in vista di un trasferimento a Roma per assumere l’incarico di direttore dell’Ufficio storico del Pime. Sono a Milano da 40 anni nella stampa e vivo un periodo di successi notevoli (...) Quel viaggio a São Paulo per me è un incubo. Prego, di notte sono agitato, dormo poco».

Il ritorno in Italia è traumatico. «A poco a poco, con l’aiuto di Dio e di suor Franca Nava, missionaria dell’Immacolata in Bangladesh, rimasta con me dal 1973 fino a oggi come mia segretaria, mi adatto».

Il capitolo del Pime

Tre i fattori, evidenzia il missionario che lo hanno aiutato a superare le crisi. «Il primo: il capitolo di aggiornamento post-conciliare del Pime (maggio 1971-gennaio 1972) a Roma nella casa generalizia. Mi ha fatto bene studiare per la prima volta la storia dell’Istituto e i suoi personaggi, martiri e santi: scopro che il Pime ha davvero una grande tradizione di santità e di passione per la Chiesa e la missione».

La lezione di Padre Aristide

Anche monsignor Aristide Pirovano, uno dei missionari Pime più conosciuti, è stato decisivo. «Pregava tanto e a me diceva che, come giornalista con una vita molto distratta, dovevo essere fedele alle pratiche di pietà del sacerdote. Nel gennaio 1997 vado a salutarlo nell’ospedale Valduce di Como poco prima della sua morte, mentre sto partendo per la Guinea-Bissau. Recitiamo assieme il rosario e poi mi dice di recitare tre rosari al giorno! Nelle sue lettere ai missionari, scriveva spesso: "Siate missionari di Cristo e nient’altro"».

La vita in comunità

La terza "spinta" per padre Gheddo è arrivata dalla comunità del Centro missionario Pime di Milano (in via Mosè Bianchi), iniziata nel novembre 1973 da padre Giacomo Girardi. «Sono gli anni del Sessantotto, il lunedì sera c’è la Messa comunitaria, la cena e poi l’incontro nel quale discutiamo e ci confrontiamo con le teorie correnti sul sacerdozio, la preghiera e l’obbedienza alla Chiesa: con grande gioia vedo che i miei confratelli, con varie sensibilità e accenti, sono d’accordo con la visione di monsignor Pirovano». In particolare ricorda con affetto i due confessori e padri spirituali: prima padre Attilio Villa (già missionario in Cina) e poi padre Franco Vernocchi (in Guinea-Bissau).

La biografia dei missionari

Infine una bussola nelle fasi più delicate del suo cammino di fede sono state quelle dei missionari «di cui ho dovuto scrivere la biografia: il beato martire Giovanni Mazzucconi, per la sua beatificazione (19 febbraio 1984), i servi di Dio Marcello Candia (oggi venerabile), Clemente Vismara (oggi beato), Felice Tantardini, Paolo Manna (oggi beato), Carlo Salerio, Alfredo Cremonesi e altri di cui non s’è ancora iniziata la causa di canonizzazione».

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