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Quando nasce la confessione privata, faccia a faccia col sacerdote?

Confessionale

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Lucia Graziano - pubblicato il 24/01/23

Nei primi secoli, le confessioni erano molto diverse da quelle che conosciamo oggi: avevano una natura profondamente pubblica (e, tendenzialmente, venivano richieste da chi aveva commesso peccati veramente gravi). Ma allora, quando nasce la “moderna” confessione faccia a faccia col sacerdote?

La storia è nota: nella Chiesa dei primi secoli, non esisteva la confessione cui siamo abituati noi moderni, cioè quella che si svolge attraverso un incontro privato tra penitente e confessore, durante il quale vengono elencati tutti i peccati commessi, anche i più minuti. Fino al V secolo circa, le modalità attraverso cui i fedeli si accostavano al sacramento erano significativamente diverse rispetto a quelle che conosciamo oggi: ma allora, come si confessavano i cristiani dei primi secoli? E perché la Chiesa sentì il bisogno di mutare questa pratica?

Confessare in pubblico le proprie colpe per riconciliarsi con la comunità: la prassi dei primi secoli

Nei primi secoli, andare a confessarsi era una cosa dannatamente seria; in molti casi, logisticamente complicata e, quasi sempre, un tantino umiliante. All’epoca, v’era la convinzione che una buona vita sacramentale, sostenuta dal Battesimo e rinforzata dall’Eucarestia, fosse teoricamente sufficiente per dare al fedele gli strumenti per tenersi ben lontano dal peccato grave. I peccati veniali certamente esistevano (ma, all’epoca, non c’era l’idea che dovessero obbligatoriamente essere confessati a un sacerdote); e certamente era ben nota l’evidenza per cui, di tanto in tanto, anche i migliori cristiani possono, ahiloro, macchiarsi di peccati gravi tra i più detestabili.

In quel caso, la Chiesa prevedeva la possibilità di ricorrere alla confessione: una scelta che però non andava presa a cuor leggero, giacché comportava la necessità di espiare la propria colpa attraverso una penitenza lunga e onerosa, che presupponeva una seria e radicale conversione. Addirittura, alcuni vescovi erano dell’idea che ogni individuo potesse confessarsi una sola volta nella sua vita; e se altri prelati erano più possibilisti, ammettendo l’eventualità che un fedele potesse ricorrere a questa pratica penitenziale tutte le volte che ne sentiva il bisogno, certamente non sarebbe stato normale accostarsi alla confessione con regolarità, una volta ogni qualche settimana. Del resto, all’epoca, si ricorreva a questo sacramento quando la coscienza era gravata da qualche colpa veramente seria: non esattamente quel tipo di peccati che è “normale” commettere ripetutamente nel corso della vita quotidiana.

Proprio in virtù del fatto per cui s’accostavano alla confessione solamente quegli individui che si trovavano in situazioni molto delicate, la prassi suggeriva che questo sacramento fosse amministrato esclusivamente dai vescovi (o comunque da un ristretto numero di sacerdoti da lui selezionati).

Ma non era questa l’unica grande differenza rispetto alla confessione cui siamo abituati noi moderni. Anzi. In molti casi, dopo aver ascoltato le parole del penitente, i sacerdoti gli domandavano di confessare le sue colpe di fronte a tutta la comunità riunita, specie se i suoi peccati avevano dato scandalo o si erano comunque ripercossi su un ampio gruppo di persone.

Da un punto di vista pedagogico, era senza dubbio molto forte l’atto di guardare in faccia le persone che erano state danneggiate annunciando ad alta voce “fratelli, ascoltate. Ho derubato un anziano solo, ho usato violenza su una donna, ho ucciso un uomo in una rissa: sono pentito, e chiedo perdono a tutti voi per queste colpe”.

Ma, da un punto di vista psicologico, essere costretti a una confessione così pubblica costituiva inevitabilmente un’umiliazione a cui non tutti erano pronti a sottoporsi, anche a costo di rimandare a tempo indeterminato il momento della riconciliazione. Nel 459, papa Leone Magno usò parole molto dure nei confronti di quei vescovi che costringevano i penitenti a elencare pubblicamente tutti i loro peccati; ma anche quando questa pratica venne meno, restò estremamente pubblica la seconda parte della confessione: cioè la penitenza da scontare.

Anche in questo caso, v’era l’idea che, per potersi riconciliare davvero con la comunità, il peccatore dovesse mostrare di aver davvero espiato le sue colpe con una vita di penitenza e mortificazione. Talvolta, erano abiti di sacco a rendere manifesto il suo status di penitente; in alcune diocesi, il peccatore che aveva appena iniziato il suo processo di purificazione veniva fisicamente allontanato dalla comunità dei fedeli ed era tenuto a seguire la Messa sulla soglia della Chiesa, senza poter entrare. Gradualmente, col passar tempo, avrebbe potuto avvicinarsi mano a mano all’altare fino al momento in cui il vescovo l’avrebbe abbracciato, riaccogliendolo a tutti gli effetti nella comunità e permettendogli di riaccostarsi all’Eucarestia.

Accoglienza, privacy e direzione spirituale: la tecnica di confessione dei monaci irlandesi

Ma qualcosa stava lentamente cambiando; e il mutamento avvenne per opera dei monaci irlandesi, che già da tempo avevano sperimentato all’interno delle loro abbazie un nuovo metodo per confessare le proprie colpe. A quanto pare, l’ideatore di questa nuova tecnica di confessione fu san Finnian di Clonard (470 – 549): ai religiosi che vivevano nel suo monastero, l’abate offrì la possibilità di confessare privatamente tutte le loro colpe (anche quelle più piccole e veniali) e promise loro che, forte del suo ruolo di guida, lui avrebbe fatto tutto il possibile per aiutare i suoi confratelli a superare le difficoltà che li portavano a peccare.

Pian piano, la pratica cominciò a diffondersi in tutti i monasteri irlandesi; di lì a poco, la possibilità di confessare in tal modo i propri peccati fu estesa anche ai fedeli laici. A questo sacramento veniva data un’importanza tale che tutti i monaci che aspiravano al sacerdozio erano valutati anche in virtù della loro abilità di essere un buon confessore (e dunque, di essere empatici, accoglienti e misericordiosi; ma anche da non essere così impressionabili da passare tutta la notte a rimuginare su ciò che avevano ascoltato la mattina). Sul finire del VI secolo, san Colombano portò questa tecnica di confessione nell’Europa continentale: e, prevedibilmente, i fedeli accolsero con entusiasmo questa innovazione!

Va da sé: a tutti piaceva la prospettiva di potersi alleggerire la coscienza in un modo che non passasse necessariamente attraverso l’umiliazione pubblica; e, ovviamente, la possibilità di confessare le colpe veniali dava, a maggior ragione, un gran conforto.

Ma c’era di più. Le penitenze comminate dai confessori che vivevano secondo la regola monastica irlandese potevano essere svolte la dovuta privacy, senza la necessità di dover dare spiegazioni a terzi. Come se non bastasse, tendevano a essere più lievi rispetto a quelle che erano sempre state amministrate fino a quel momento: se la Chiesa dell’Europa continentale aveva spesso privilegiato penitenze protratte nel tempo, idealmente funzionali a scandire le tappe di un lento processo di conversione, i monaci irlandesi preferivano forme di espiazione più rapide ma più incisive (che potevano anche essere piuttosto lievi se il penitente mostrava una vera contrizione!).

Inoltre, nelle comunità rette da monaci irlandesi, tutti i sacerdoti avevano la possibilità di confessare: ovviamente una gran comodità se si pensa che, fino a quel momento, il fedele che avesse voluto vedersi rimettere le sue colpe avrebbe dovuto richiedere un’udienza al suo vescovo. Il fatto che questi monaci si mettessero a disposizione anche per accogliere le confessioni di chi aveva “solamente” commesso peccati lievi aveva inoltre un effetto collaterale non da poco: trasformava quegli scambi tra penitente e sacerdote in un momento di preziosa introspezione. Gli esami di coscienza, estremamente dettagliati, permettevano ai fedeli di scoprire tante cose sul loro carattere; e, alla luce di quelle conoscenze acquisite, i confessori non si limitavano ad assolvere i peccati: spesso, al momento della confessione si accompagnava quello della direzione spirituale, con una accurata analisi dello stile di vita, delle aspirazioni, delle debolezze e dei punti di forza del penitente.

Questa nuova forma di confessione non si affermò ovunque nello stesso momento. Dapprima, coesistette con la confessione pubblica che abbiamo già descritto; tuttavia, entro il IX secolo, era già diventata la tecnica preferita dal clero di Italia e Spagna; e pian piano conquistò tutto il resto dell’Occidente, cominciando a essere praticata anche da sacerdoti diocesani che non avevano nulla a che vedere col monachesimo irlandese. Nel 1215, fu il quarto concilio lateranense a esprimere in forma ufficiale l’approvazione della Chiesa circa questa nuovo metodo di amministrare il sacramento, invitando tutti i fedeli ad accostarcisi almeno una volta all’anno. E – come si suol dire – il resto è Storia; una Storia ancora attuale.

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