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Gli errori da non commettere mai in amicizia, secondo sant’Aelred di Rievaulx

Przepis na prawdziwą przyjaźń

NeonShot | Shutterstock

Lucia Graziano - pubblicato il 15/01/23

Vissuto nello Yorkshire del XII secolo, Aelred fu monaco cistercense, prolifico scrittore di testi spirituali e, soprattutto, autore di un delizioso trattatello dedicato all’amicizia e al miglior modo in cui un cristiano dovrebbe vivere questo sentimento.

Aelred di Rievaulx, monaco cistercense morto il 12 gennaio 1167, teneva l’amicizia in grandissima considerazione. A questo sentimento, che definiva «la più grande consolazione dell’animo umano» e «un’anticipazione della beatitudine celeste» dedicò un intero trattatello: L’amicizia spirituale, opera più unica che rara per l’epoca in cui fu composto; nel pieno Medioevo, capitava ben di rado che un autore religioso dedicasse tante attenzioni all’affetto amicale.

Per nostra fortuna, ciò non bastò a far desistere Aelred dal mettersi a tavolino per illustrare le caratteristiche che, a suo giudizio, dovrebbe avere un’amicizia, per potersi definire veramente cristiana. E anche per mettere in guardia i suoi lettori da quegli errori che assolutamente bisogna evitare, pena il rischio di condannare a morte certa questo bel sentimento che tutti affratella in una grande comunione.

“Ho litigato pesantemente con un amico. C’è speranza di riconciliazione?”

Proprio come capita talvolta con i grandi amori, anche le amicizie possono inaridirsi e poi morire: Aelred ne era certo, trovando addentellato in alcuni passi biblici che gli sembravano confermare la sua idea. Naturalmente, l’ovvia premessa è che è sempre bene lottare quanto più possibile per dare vigore a un’amicizia ormai sopita o incrinata dal risentimento; citando il libro del Siracide (22, 21), l’abate di Rievaulx osserva: «Se anche hai sguainato la spada contro un amico, non disperare: può esserci un ritorno». 

Che vuol dire, concretamente, “sguainare la spada contro un amico”? Accantonando l’ipotesi improbabile di letterali minacce fisiche ai danni del malcapitato, Aelred dà a questo passo una lettura più ampia, in senso lato: «se l’amico dice parole che ti rattristano, se per un certo tempo non si fa più vedere come se non ti volesse più bene, se preferisce fare da sé piuttosto che seguire un tuo consiglio, se non condivide le tue opinioni quando discutete» – ebbene, anche questo può essere considerato a suo modo un atto di guerra. Ma in questo caso, non tutto è perduto: certamente la situazione non è ideale, ma non è detto che l’amicizia non possa essere recuperata.

Eppure, il Siracide (22, 22) è fermo nel dire che «può esserci riconciliazione eccetto che in caso d’insulto, di arroganza, di segreti svelati e di un colpo a tradimento; in questi casi ogni amico scompare». Ci sono ferite così profonde da impedire ogni ragionevole speranza di guarigione: ed è proprio su queste che Aelred invita a riflettere, per assicurarsi che nessuno dei suoi lettori abbia mai a infliggere tali sofferenze ai suoi amici più cari.

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Regola numero uno: mai insultare un amico, specie se in pubblico

Scaricare su un amico la propria rabbia è un atteggiamento che, secondo il santo, «rovina la reputazione dell’altro e spegne in lui la carità», specie se l’invettiva ha luogo pubblicamente, di fronte a spettatori. Del resto, in questo scenario, sono solamente due i casi possibili: o l’amico rovina la tua reputazione muovendoti accuse vere e motivate (che però sarebbe stato meglio esprimere privatamente, con pacatezza e spirito di correzione fraterna), o ti infama facendo su di te affermazioni false, parziali o comunque esagerate (che però verranno tendenzialmente considerate vere da chiunque assista al vostro litigio, proprio in virtù della grande confidenza che, notoriamente, ha sempre legato le due parti in causa). 

Regola numero due: mai e poi mai rivelare le confidenze di un amico

Aelred è fermo su questo punto: «non c’è niente di più vile e niente di più detestabile, perché non lascia tra gli amici neanche un briciolo d’amore, di grazia, di soavità e riempie invece tutto di amarezza, cospargendolo col fiele del risentimento, dell’odio e del dolore». E, di nuovo, cita il Siracide (27, 21) per affermare che «svelare i segreti dell’amico è portare alla disperazione un’anima infelice». In effetti, c’è bisogno di commentare l’ovvio?

Regola numero tre: essere sempre pronti ad ammettere i propri errori

Nessuno è perfetto; anche i migliori possono cadere nell’errore, magari a causa di una incomprensione o perché colti da un attacco di rabbia passeggera. Ma c’è un atteggiamento di fronte al quale muore sul nascere ogni possibile tentativo di riconciliazione: la superbia altezzosa. A giudizio del santo di Rievaulx, «è la cosa più insopportabile, perché elimina l’unico rimedio capace di ricucire un’amicizia guastata, vale a dire l’umile riconoscimento del proprio errore». Anzi, capita con frequenza che l’alterigia sia fonte stessa di molti litigi: a causa di questo difetto caratteriale, l’amico diventa «sfacciato nell’offendere e pieno di sé nel correggere». Infatti, può certamente capitare che tra due amici possano insorgere tensioni, dissidi e gravi divergenze di opinioni; ma questo non sarebbe, di per sé, un ostacolo insuperabile se portasse a un confronto pacato invece che a uno scontro aperto. 

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Regola numero quattro: se proprio devi… le cose, dille in faccia

«L’ultima cattiveria dissolvitrice dell’amicizia è la denigrazione fatta di nascosto, cioè il colpo a tradimento per antonomasia», scrive Aelred. Lo definisce un tradimento vero e proprio, «un atto proditorio come il morso di un serpente o di un aspide»: ben difficilmente una relazione di amicizia potrà riprendersi, dopo un affronto così vile e sconvolgente.

E che fare, se hai un amico che si comporta in questo modo?

L’esortazione evangelica a “porgere l’altra guancia” non deve necessariamente essere sinonimo di “avallare in eterno questi comportamenti” – se non altro, per non ingenerare nel proprio amico l’erronea convinzione che certi atteggiamenti (peccaminosi) siano tutto sommato tollerabili con uno sbuffo e una scrollata di spalle. O almeno, è questa la convinzione del santo di Rievaulx, che fermamente consiglia ai suoi lettori: «devi stare alla larga da chiunque trovi ostinato in questi vizi e non devi sceglierlo come amico».

Ma che fare se l’amicizia esiste già, nel momento in cui questi vizi iniziano a manifestarsi? In questo caso, Aelred è dell’idea che (dopo aver constatato il fallimento di ogni tentativo di riconciliazione e l’incapacità di portare il proprio amico a più miti consigli) sia bene cominciare a prendere garbatamente le distanze («ma evitiamo le invettive, poiché delle colpe dell’altro sarà Dio stesso a fare vendetta», «ed evitiamo anche l’oltraggio». In termini moderni, qualcuno direbbe forse: evitiamo di scendere allo stesso livello).

Scrive anzi il santo di Rievaulx: «se anche ti offende colui a cui hai voluto bene, tu non cessare di volergli bene. Se il suo comportamento è tale da far sì che tu gli neghi la tua amicizia, non negargli mai l’affetto». Anzi, continua a comportarti nei suoi confronti con la stessa carità che ti saresti aspettato di ricevere: «prenditi a cuore quanto puoi la sua salvezza, preoccupati della sua reputazione e non tradire mai i segreti che ti ha svelato quando ti era amico, anche se lui ha tradito i tuoi». Questa, la regola aurea da non dimenticare: «il vero amico vuole bene anche a chi bene non gli vuole più: porta rispetto a chi lo disprezza e augura il bene a chi lo maledice». E quanta saggezza, in queste parole.

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