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Peter Seewald: “Benedetto XVI è un santo. Mi mancherà”

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Frippitaun | Shutterstock

Ary Waldir Ramos Díaz - pubblicato il 02/01/23

Intervista esclusiva di Aleteia al giornalista tedesco più vicino a Joseph Ratzinger/Benedetto XVI: “È triste soprattutto che abbia dovuto soffrire tanto”

“Tutto in Benedetto XVI sembrava modesto, senza pretese, accessibile. Avevo abbandonato la Chiesa, ma mi ha colpito il modo in cui Ratzinger parlava dell’amore”. Peter Seewald (1954) accompagnava a livello giornalistico da più di un quarto di secolo Joseph Ratzinger/ Benedetto XVI, primo Papa emerito da secoli.

In questa intervista esclusiva ad Aleteia, il giornalista tedesco ha sottolineato il coraggio del Papa emerito nel difendere la fede, senza curarsi della popolarità e senza scendere a compromessi. Genio amato e odiato.

“Benedetto XVI è un santo. Mi mancherà moltissimo”. “La sua opera resterà”. “Per Papa Francesco, il magistero di Benedetto XVI è indispensabile per il futuro della Chiesa”, ha affermato Seewald, autore di Benedetto XVI. Una vita.

Quali sentimenti e riflessioni risvegliano in lei gli ultimi giorni della vita di Benedetto XVI? 

Da un lato mi ha rattristato molto il fatto che il Papa emerito abbia concluso la sua vita terrena. È triste soprattutto il fatto che abbia dovuto soffrire tanto. Dall’altro, gli ho augurato una buona morte per il suo “ritorno a casa” nell’eternità, che desiderava da molto tempo.

Mi sono passate per la mente anche scene dei nostri tanti incontri. Da ex comunista e giornalista dello Spiegel, non mi sentivo particolarmente vicino a Joseph Ratzinger. Per questo nel nostro primo incontro, nel novembre 1992, sono rimasto tanto sorpreso nel conoscere un uomo che non aveva niente del principe della Chiesa, e men che meno del “Panzerkardinal”.

Tutto in lui sembrava modesto, senza pretese, accessibile. Avevo abbandonato la Chiesa, ma mi ha colpito il modo in cui Ratzinger parlava dell’amore. Il modo in cui ha dimostrato che religione e scienza, fede e ragione, non sono opposte.

Il suo modo di insegnare mi ricordava i maestri spirituali che convincono non con lezioni vane, ma con gesti tranquilli, allusioni velate e molta sofferenza. E soprattutto attraverso l’esempio, che include integrità, fedeltà, coraggio e una buona dose di disposizione a soffrire.

Mi ha colpito in modo particolare il suo coraggio nel difendere le proprie convinzioni, anche a costo dell’impopolarità. E la forza di resistere a tutti i tentativi di trasformare il messaggio di Cristo in una religione che si adattasse alle necessità della “società civile”. “La Chiesa ha la sua luce di Cristo”, ha detto. “Se non coglie questa luce e non la trasmette, non è altro che un pezzo di terra senza luce”.

Mi piacevano anche la sua serenità, il suo atteggiamento nobile, il suo senso dell’umorismo. Benedetto XVI è un santo. Mi mancherà moltissimo.

Peter Seewald AND POPE BENEDICT XVI

Come sarà ricordato Benedetto XVI?

Questo dipende completamente da noi e dall’evoluzione della Chiesa. In ogni caso, Joseph Ratzinger ha lasciato un’opera che apporta risposte importanti ai problemi di una società che ha perso il senso di Dio e di una Chiesa che sta perdendo la fede.

Una cosa è certa: con Benedetto XVI, il mondo perde una personalità eccezionale. Non è un caso che sia stato considerato uno degli intellettuali più importanti del secolo e il più grande teologo ad aver occupato lo scranno papale. Molti lo considerano il Dottore della Chiesa dell’era moderna. In ciascuno dei suoi scritti emerge chiaramente l’atteggiamento fondamentale: Chiesa e fede non possono essere fatte da e per se stessi.

Se Dio esiste, se esiste la rivelazione, se esiste il fondamento di Gesù, allora questo non viene da noi, ma viene donato.

Per i suoi avversari può essere che continui ad essere il terribile “cardinale corazzato”, ma milioni di cattolici in tutto il mondo vedono in lui la luce sul monte, un’icona dell’ortodossia con la quale orientarsi. La sua opera resterà.

Sono lieto di unirmi al suo successore in questa valutazione. Secondo Papa Francesco, il magistero di Benedetto XVI è indispensabile per il futuro della Chiesa, e infatti “apparirà di generazione in generazione sempre più grande e potente”.

Qual è il suo ultimo ricordo di Benedetto XVI?

Era da molto tempo su una sedia a rotelle. Lo spirito era sveglio, ma ultimamente la sua voce era diventata così debole da essere a malapena comprensibile. Nel nostro ultimo incontro, il 15 ottobre, quello che si constatava di più era la sofferenza che portava sulle spalle, il profondo dolore per quello che accadeva nel mondo e la crisi della Chiesa, soprattutto nella sua patria.

“Perché non ha incontrato la morte, Papa Benedetto?”, avevo chiesto al Papa emerito. La sua risposta è che doveva rimanere. Come un “segno”. Un segno della direzione che difendeva, del messaggio di Gesù, alla cui trasmissione senza adulterazioni aveva dedicato tutta la sua vita.

“La prossima volta ci vedremo in cielo”, mi ha detto congedandosi da me con la mano. Sapeva esattamente dove si dirigeva il viaggio e cosa lo aspettava. La promessa della vita eterna di Cristo era uno dei suoi temi preferiti. “Se appartenere alla Chiesa ha qualche significato”, ha detto una volta, “è il fatto che ci dà la vita eterna, e quindi la vita giusta e vera. Tutto il resto è secondario”.

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