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Intervista a padre Lombardi: gli anni di servizio con Benedetto XVI

Lombardi y Benedicto XVI

VINCENZO PINTO / AFP

Benedicto XVI flanqueado por Federico Lombardi responde a la prensa durante el vuelo papal a Madrid (España) en agosto de 2011

Ary Waldir Ramos Díaz - pubblicato il 31/12/22

Il ponte tra i tre successori di Pietro e direttore emerito della Sala Stampa della Santa Sede

Il ponte tra i tre successori di Pietro e direttore emerito della Sala Stampa della Santa Sede.

Ci racconti le sue impressioni di quel momento in cui Benedetto XVI, a 85 anni compiuti, si è imbarcato sull’elicottero bianco e ha lasciato per sempre la sua carica di pontefice…

È stato un momento di emozione grandissima e un momento anche storico perché praticamente non era mai avvenuta nella nostra epoca una rinuncia di un pontefice vivente. Sono immagini che rimangono storiche. Per me il momento cruciale era stato tuttavia la dichiarazione di rinuncia da parte di Benedetto l’11 di febbraio (2013), ricordo la sua dichiarazione fatta in diretta con la sorpresa da parte dei cardinali presenti. 

Benedetto fa l’annuncio della rinuncia argomentando che le sue “forze, per l’età avanzata”, non erano più “adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”. Lei come lo ricorda? 

L’ho vissuto con estrema serenità perché da una parte non l’ho considerato una vera e totale sorpresa. Chi seguiva Benedetto XVI da vicino si rendeva conto che svolgeva il suo servizio sempre in modo pieno e del tutto corrispondente alle necessità, però con una fatica fisica crescente in particolare per quello che poteva riguardare i viaggi o le grandi celebrazioni in San Pietro e, quindi, lui stesso rifletteva sul suo stato di salute per poter continuare bene il suo compito. 

Il Papa aveva parlato prima del Concistoro sulle dimissioni…

Sulla possibilità di dimettersi, per me era stato estremamente illuminante il modo in cui il Papa ne aveva parlato esplicitamente nel libro/intervista Luce del mondo, interrogato da Peter Seewald.  Quando la sua salute e le sue forze erano ancora del tutto normali, aveva detto: “Quando un Papa giunge alla chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente, mentalmente e spiritualmente di svolgere l’incarico affidatogli, allora ha il diritto ed in alcune circostanze anche il dovere di dimettersi”.

Scelta ragionata…

Secondo me è stata una scelta del tutto ragionevole presa davanti a Dio nella preghiera e nella responsabilità davanti alla Chiesa. Senza agitazione, non per motivi di paura o di debolezza spirituali, ma per motivi di valutazione delle sue forze in rapporto al compito da svolgere. E’ un ragionamento tipicamente ‘sensato’, vissuto in un clima di fede che io condividevo totalmente.

Quale sensazione personale ha avuto al riguardo?

Io sono stato sempre colpito dal fatto che il pontificato è stato continuamente accompagnato dalla riflessione spirituale e culturale di Benedetto XVI, che è stato capace di portare fino alla fine la sua grande trilogia su Gesù. Era ammirevole e straordinario che un Papa con tutti i suoi impegni avesse la capacità e la volontà di scrivere un’opera su Gesù, che era qualcosa di tipicamente attinente alla sua vocazione teologica e spirituale, ma anche al suo impegno come papa di essere testimone e sostegno della nostra fede. 

Il cardinale J. Ratzinger ha vissuto il pontificato di Giovanni Paolo II, inclusa la sua malattia. Possiamo collegare la sua rinuncia anche ad un effetto ‘specchio’ riguardo agli ultimi anni di pontificato di Wojtyla?

Ratzinger ha vissuto tutto il tempo del pontificato di Giovanni Paolo II e anche con particolare intensità tutto il tempo della malattia. Pertanto, avrà fatto le sue considerazioni. Appare evidente che ogni papa è diverso, è se stesso, ha una sua esperienza, e in rapporto con Dio vive la sua vocazione al servizio della Chiesa in un modo personale. Ratzinger ha riflettuto sul fatto di poter sperimentare un tempo prolungato d’infermità, in cui il governo della Chiesa ne avrebbe risentito. 

Celestino V rassegnò le dimissioni dopo pochi mesi, il 13 dicembre 1294, in tempi molto difficili per la Chiesa…

Nella sua dichiarazione di rinuncia, Benedetto ha spiegato anche il contesto odierno della rapidità degli avvenimenti storici, quindi il contesto in cui si esercita il servizio del papa in un mondo diciamo globalizzato, con una continua necessità di intervento e di decisione che richiede energie e forze fisiche e psicologiche straordinarie. 

Quale è stato il  momento più difficile del pontificato? 

Una vicenda che io ho vissuto con particolare partecipazione è stata quella degli abusi sessuali sui minori, che ha accompagnato gran parte del pontificato e su cui il Papa ha un grande merito per la storia della Chiesa perché l’ha affrontata senza incertezze e con molta ampiezza di orizzonti, sia dal punto di vista giuridico che pastorale. Benedetto ha indicato la strada: ricordiamo la lettera ai cattolici di Irlanda (19 marzo 2010), il riconoscimento dei crimini di abuso e degli errori dei vescovi, soprattutto capisce la gravità delle sofferenze e agisce con efficaci interventi canonici. 

BXVI ha vissuto questa crisi degli abusi già quando era cardinale…

La crisi degli abusi aveva già cominciato a manifestarsi alla fine del pontificato di Giovanni Paolo II, ma non con l’evidenza e la chiarezza con cui si è poi presentata in modo crescente e graduale. Benedetto si è trovato ad affrontare quasi una esplosione, e lo ha fatto in un modo saggio, veritiero, coraggioso e anche concreto, incontrando le vittime. Lui ha posto le basi per affrontare questa crisi. Francesco ha continuato facendo passi avanti anche dal punto di vista giuridico, elaborando documenti importanti come il recente “VOS ESTIS LUX MUNDI” (2019). In merito a ciò, ha radunato i vescovi del mondo in Vaticano, ed ha anche scritto le due lettere al popolo di Dio.

Durante il viaggio apostolico negli Stati Uniti (17 aprile 2008), il Papa incontra per la prima volta le vittime di abusi da parte di sacerdoti cattolici. 

Benedetto ha sempre vissuto gli incontri con le vittime in modo estremamente discreto, da persona con un carattere molto profondo, attento e partecipe, ma anche riservato. Francesco ha manifestazioni emotive e comunicative più intense, ma Benedetto ha incontrato le vittime per primo e anche sistematicamente nei suoi viaggi.  

Benedetto ha espulso dalla Chiesa più di 400 sacerdoti per abusi…

Nel periodo come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede lui aveva cominciato a capire la serietà di questi problemi. Diventato papa aveva già una base di esperienza e di conoscenza delle cose anche per affrontarle da un punto di vista procedurale e disciplinale. Aveva già cominciato in questo senso anche negli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II. 

Nel caso degli abusi sessuali, di potere e di coscienza di Marcial Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo, Benedetto XVI ordinò una visita canonica e una rinnovazione spirituale e strutturale dell’Ordine dei Legionari.

Benedetto XVI è intervenuto nella questione dei Legionari con molta attenzione, fermezza e con saggezza, cercando anche di conservare quello che di buono ci poteva essere nella vita e dedizione di tante persone che avevano con buone intenzioni risposto a una vocazione religiosa.

Negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei, certi gruppi cattolici ultraconservatori con risorse, e motivazioni ideologiche hanno usato Benedetto XVI, indicandolo come l’unico vero pontefice. 

Benedetto ha fatto la sua rinuncia, sapeva cosa faceva, l’ha fatta perché la Chiesa avesse un nuovo papa nel pieno dei suoi poteri e delle sue forze. Benedetto in certo senso ha voluto che ci fosse papa Francesco e gli ha aperto la strada. Benedetto non pensava assolutamente di interferire nel pontificato del suo successore. Le strumentalizzazioni di Benedetto contro Francesco sono posizioni insensate e infondate.

Come pensa che la storia ricorderà Joseph Ratzinger? 

Io penso che la storia lo ricorderà come un papa teologo. Un servitore della Chiesa che non cerca in nessun modo di essere un protagonista personalmente di iniziative storiche o straordinarie rispetto al suo predecessore, che aveva veramente fatto una infinità di azioni, concluse con un Giubileo storico. Benedetto non ha fatto un pontificato con atti di governo particolarmente evidenti. Lui sarà ricordato come un papa di magistero e di continuità nella sostanza dell’insegnamento della Chiesa in rapporto con il suo predecessore (Giovanni Paolo II) e con il suo successore (Francesco). 

Benedetto non rischia di essere ricordato solo per la sua rinuncia?

Questo è un fatto inevitabile che sia ricordato per la rinuncia, ma lui ha dimostrato una profonda umiltà. Dopo di lui la strada della rinuncia di un pontefice è aperta, è più facile per chi verrà. C’era già anche prima, però nessuno l’aveva usata. Secondo me è un pontificato principalmente magistrale, profondo dal punto di vista del rapporto tra la fede e la cultura del mondo di oggi, che diventa un esempio di umile e disinteressato servizio di Dio e della Chiesa non legato alla persona come tale.

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