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Diffidate della “magia del Natale”: è solo una trovata pubblicitaria

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Augustin Talbourdel - pubblicato il 20/12/22
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Se c’è una parola che, avvicinandosi il Natale, torna a ripetizione nelle pubblicità e nei cartelloni davanti ai negozi, questa è “magia”. Il Natale sarebbe l’occasione per “reincantare il mondo”, per “ritrovare lo spirito d’infanzia”. La nascita di Gesù Cristo, però, proprio avvenendo in un mondo disincantato, è il contrario di un evento magico.

Festeggiare il Natale in una società detta “post-cristiana” non è cosa da poco. Per attirare l’attenzione e non disturbare la laicità, si impone una convenzione: il Natale è una festa magica, incantata. È magico ogni racconto che contraddice le leggi della ragione e che ciononostante esige di essere creduto. Il Natale, con le ghirlande e gli abeti addobbati, ne farebbe parte. Il razionalismo contemporaneo, una volta l’anno, si concede una deroga. La fede cristiana, travestita da fiaba commerciale, torna alla ribalta per un mese. 

Questo bisogno di stupore, che il periodo di Natale rende manifesto, è sintomatico del “disincanto del mondo” che si è instaurato da più secoli. L’espressione, resa celebre da Marcel Gauchet, viene da un sociologo del secolo scorso: Max Weber. Essa designa, in una parola, il declino delle credenze magiche sopraggiunto all’epoca della Riforma protestante. A partire dal XVI secolo, la razionalizzazione progressiva di tutti gli àmbiti della vita, non escluso quello della religione, e il dominio della natura per opera della scienza e della tecnica, sfociano nel disincanto del mondo. Il mistero è scacciato, lo stupore delle origini cede il posto alla malinconia del déjà-vu

Ora, il disincanto attuale (secondo questo medesimo autore) è stato reso possibile dallo stesso giudeo-cristianesimo. Il mago e il teurgo, in effetti, si pretendevano capaci di influenzare le scelte delle divinità; al contrario, l’esistenza di un Dio trascendente priva l’individuo della possibilità di ricorrere alle mediazioni magiche. Con la messa in guardia dei profeti contro l’idolatria, con l’insegnamento da parte dei leviti di una legge da rispettare, la de-sacralizzazione della natura considerata come creazione sottoposta a Dio, la rivelazione monoteista mette fine al regno degli dèi pagani, di cui l’universo greco era “pieno” – e ai loro sortilegi. 

Una festa che ha perduto il proprio senso agli occhi del mondo 

Quanto è vero dell’antica alleanza è vera anche della nuova: Cristo stesso non ha forse, in un certo senso, disincantato il mondo? Cristo, dice san Bernardo, è il “Verbo abbreviato”. Nella persona del Figlio, il Padre dà tutto e tutto dice – per poi restare “muto”, come si arrischia a dire san Giovanni della Croce. L’incarnazione mette dunque un termine alla sacralità diffusa che caratterizzerebbe il mondo antico: gli elementi del mondo perdono il loro potere. Il protestantesimo avrebbe spinto il rigetto della magia al suo parossismo, ad esempio criticando i residuati “magici” presenti nel cattolicesimo – l’ostia nell’eucaristia, il culto delle reliquie e via dicendo. 

Si può discutere se davvero la società contemporanea sia «uscita dalla religione» grazie al cristianesimo, ma non si può negare che una festa come il Natale abbia, in duemila anni, considerevolmente perso il suo senso agli occhi del mondo. Ecco il paradosso: celebrando “la magia del Natale”, l’epoca contemporanea conferisce il valore di un incantesimo alla nascita di Colui che, invece, viene proprio a liberare l’umanità dal malocchio gettatole dal “principe di questo mondo”. 

E non c’è di che stupirsene troppo: un mondo che spera la propria salvezza da dei messia impotenti (la politica, l’arte, l’economia…) farà fatica a riconoscere, nell’evento ordinario di una nascita, il vero Dio che gli viene incontro. A Natale nasce Colui davanti alla cui Epifania i Magi si prostreranno. Così la venuta di Cristo detronizza i maghi e sgomina per sempre ogni tentativo sia di incanto sia di disincanto. In Gesù Cristo, Dio salva il mondo dall’incantesimo del peccato e dalla disperazione che la morte, orba della risurrezione, ha come unico esito possibile. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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