È un vero peccato che praticamente tutti, nel mondo, abbiano fatto la titolazione dell’intervista di Papa Francesco ad ABC sulle sue dimissioni condizionali, e questo anzitutto per due ragioni. Anzitutto perché questa delle dimissioni condizionali è una non-notizia, come cercheremo di mostrare; in secondo luogo perché una siffatta titolazione va ad oscurare interessanti spunti di conversazione che, essi sì, invece, sarebbero (stati) notizie interessanti.
Cose interessanti che si sarebbero potute sottolineare
Si sarebbe potuto scrivere del rapporto con Benedetto XVI e del giudizio di Francesco sul predecessore («È un santo. È un uomo di alta vita spirituale»), ma i sospetti sull’opus Dei fanno più ghost, nel plot di padre Pizzarro. E a proposito di conquistadores, un passaggio croccante dell’intervista, in epoca di cancel culture, sarebbe stato quello in cui il Papa è sembrato porsi (proprio lui, che mille volte ha tuonato contro le ben note “colonizzazioni ideologiche”) come un estimatore – ovviamente moderato – della colonizzazione delle Americhe ispaniche:
L’ermeneutica per interpretare un evento storico deve essere quella del suo tempo, non quella attuale. È ovvio che lì sono state uccise delle persone, è ovvio che c'è stato uno sfruttamento, ma anche gli indiani si sono uccisi a vicenda. L’atmosfera di guerra non fu esportata dagli spagnoli. E la conquista apparteneva a tutti. Distinguo tra colonizzazione e conquista. Non mi piace dire che la Spagna ha semplicemente «conquistato». È discutibile, quanto volete, ma ha colonizzato. Se si leggono le direttive dei re spagnoli dell'epoca su come dovevano agire i loro rappresentanti, nessun re di nessun altro Paese fece tanto. La Spagna entrò nel territorio, gli altri Paesi imperiali rimasero sulla costa. La Spagna non ha fatto pirateria. Bisogna tenerne conto. E dietro a questo c'è una mistica. La Spagna è ancora la Madrepatria, cosa che non tutti i Paesi possono dire.
Effettivamente la “rivoluzione americana” è stata fatta al Nord, non al Sud, e sebbene i rapporti tra l’Argentina e la “Madrepatria” spagnola non siano stati tutti rose e fiori (e molto sangue sarebbe costato ancora il bilanciamento interno della conseguita indipendenza), bisogna prendere atto del fatto che qui a parlare è proprio un Argentino…
Un 86enne che aspetta la pensione (altrui)
Basta poi scorrere l’intervista senza farsi prendere dalla libido abdicationum per riconoscere i segni chiarissimi dell’esclusione fattiva dell’ipotesi delle dimissioni dall’attuale scenario di papa Francesco. Alla domanda sulle “quote rosa” ai vertici della Curia Francesco ha infatti risposto:
[…] ci sarà [una donna ai vertici]. Ne ho in mente una per un dicastero che si renderà vacante tra due anni. Non c’è nessun ostacolo a che una donna guidi un dicastero dove un laico possa essere prefetto.
Anche qui, l’enfasi dei commenti giornalistici è stata calamitata dal magico sintagma “una donna”, e così nessuno si è messo a compilare una tabella dei pensionamenti ai vertici della Curia per individuare quale sia il «dicastero che si renderà vacante tra due anni». Sarebbe importante, per provare a snasare chi sia la persona a cui pensa il Papa: la verità che emerge da questo disinteresse è che in fondo quel che importa è solo che sia una donna.
Il sottofondo di (cinica) ragionevolezza di questa posizione, del resto, è che al popolo non può minimamente interessare chi siano i vertici di un’organizzazione tecnica come la Curia Romana (è perfettamente normale, e anche giusto, che le persone non siano portate a chiedersi come funzioni l’amministrazione globale della Chiesa e quali tecnicità siano esatte ai suoi vertici).
Anche restando ben al di qua di certe indagini, tuttavia, questo testo riporta un’informazione implicita che rivela quanto il Papa stia pensando alla pensione – alla propria: il fatto che pensi piuttosto a quelle degli altri e che abbia in agenda le cose da fare quando altri rassegneranno le dimissioni (le loro). Ognuno vede bene come le nomine dicasteriali, fra l’altro, non siano di quegli impegni che il Papa assume per sé o per i propri successori («Il Papa ci sarà», aveva promesso Benedetto XVI alludendo a una prossima GMG): una nomina o la fa chi ce l’ha in testa o non la fanno altri per lui. Ecco, vedete un ottantaseienne con un’agenda che arriva già a ventiquattro mesi da oggi. E questa è l’agenda scoperta!
Francesco vuole che “si sappia” che ha «già dato le dimissioni»: quando le ha date? “C’era Bertone”. Il card. Tarcisio Bertone è stato Segretario di Stato della Santa Sede fino al 15 ottobre 2013 (e aveva già dato le dimissioni a fine agosto): praticamente Francesco ha firmato queste “dimissioni condizionate” il giorno dopo essere salito sul soglio petrino, quando ancora le operazioni, gli acciacchi, il bastone e la carrozzella erano lontanissimi (e virtualmente inimmaginabili).
Anche per questo, quella su cui tutti (anche noi) hanno titolato è una non-notizia: basta leggerla, l’intervista, e si vede che Francesco non ha manifestato la minima intenzione di dimettersi (anzi). Saremmo le persone meno sorprese del mondo, se scoprissimo che tra i primi atti di governo del Romano Pontefice c’è la prammatica firma di un modulo di rinuncia «in caso di impedimento medico o che so io» (probabilmente non c’è scritto verbatim “o che so io”).
Precedenti storici
Il Papato ha la pelle callosa, le spalle larghe e soprattutto la memoria lunga. Lasciamo stare Celestino V, Bonifacio VIII, Dante e compagnia cantante: ma Pio VII, nel 1804, andò a incoronare Napoleone senza firmare una rinuncia condizionale in caso di imprigionamento? È vero che sembrava passata un’eternità, dalla deportazione del predecessore di Chiaramonti (ed erano appena sei anni), ma chi poteva escludere colpi di scena quando il regista era un corso corsaro nato repubblicano, cresciuto console e diventato imperatore? Firmò un documento, il successore di papa Braschi (che dell’amico e conterraneo aveva voluto prendere pure il nome), per evitare alla Chiesa, nel pieno di un secolo che già si annunciava scoppiettante di des novæ, il dramma nel dramma di un (altro) Papa deportato.
A quella lezione, due secoli e qualche decennio dopo, si rifece indubbiamente un altro Pio, il XII: quando la minaccia nazista si fece incombente su Roma egli licenziò dall’Urbe tutti i cardinali dando istruzioni di procedere a nuovo conclave in caso di suo rapimento da parte degli emissari di Hitler. E restò nella Città bombardata, a soffrire col suo popolo e ad assisterlo come poté – falsificando documenti per gli ebrei perseguitati, pagandone i riscatti con l’oro dei vasi sacri, visitando la gente tra le macerie di San Lorenzo. Il pastor angelicus.
Subito dopo il suo pontificato, anche Giovanni XXIII, il quale si sapeva malato e che tuttavia aveva voluto avviare il Concilio (assise che forse da una parte egli sperava di poter “gestire” in un tempo breve, ma che rapidamente vide necessitare di ben altri ritmi e dunque dover essere destinato al suo successore) diede analoghe disposizioni in caso di sopraggiunta inabilità fisico-mentale al governo della Chiesa. Tentarono perfino di opporgli parole di Pio XII per farlo desistere. Papa Roncalli non aveva particolari simpatie personali per il predecessore, ma era un bravo storico della Chiesa, oltre che un ex diplomatico di trincea – non ebbe problemi a non restare incappottato dai sofismi con cui cercarono di spacciargli per ostativo alle dimissioni condizionali il pensiero di un Papa che le dimissioni condizionali le aveva firmate e consegnate.
Poi venne Paolo VI, che addirittura il 2 maggio 1965 (ancora giovane, forte e sulla cresta dell’onda conciliare!) dichiarò (in una lettera al decano del Sacro Collegio – all’epoca, essendo Clemente Micara deceduto da un paio di mesi, si trattava di Giuseppe Pizzardo) di rinunciare al pontificato in caso di malattia invalidante o grave impedimento.
Al caso di Papa Montini si ispirarono dichiaratamente Giovanni Paolo II, il quale sia nel 1989 sia nel 1994 (quando la salute cominciava effettivamente a scricchiolare) vergò disposizioni in materia, sia Francesco, che proprio commentando la presa di posizione di Paolo VI scrisse:
Ho letto con stupore queste lettere di Paolo VI che mi sembrano una umile e profetica testimonianza di amore a Cristo e alla sua Chiesa; e una ulteriore prova della santità di questo grande Papa… Ciò che a lui importa sono i bisogni della Chiesa e del mondo. E un Papa impedito da una grave malattia, non potrebbe esercitare con sufficiente efficacia il ministero apostolico.
Sembra che siano dunque mere ovvietà, benché ricevibili con devoto stupore, quelle di cui pure in tanti si parla con tanta enfasi. Quanto a Benedetto XVI, invece, non si sa di dimissioni condizionali. Ma è noto che Papa Ratzinger abbia rinunciato attivamente e incondizionatamente al ministero petrino.
Il chiacchiericcio e le curiosità gossippare
Ci si può porre un’altra domanda, per chiudere sull’argomento che ha ritenuto l’attenzione mondiale in merito all’intervista alla ABC: chi è che smania all’idea che il Papa si dimetta, e perché? Sono gli avversari di Francesco, a non vedere l’ora che il pontificato tramonti? Questo è difficile a pensarsi: anzi, in questo momento sono probabilmente meno i bergoglioscettici, ad auspicare la fine del regno argentino, che i parabolani della prima ora (molte dinamiche innescate da Papa Bergoglio sono infatti momentaneamente governate da lui tramite legami personali, mentre un ipotetico conclave vedrebbe un consesso cardinalizio inusitatamente variopinto, i cui esiti sono largamente imprevedibili). Ma allora, se non è l’idea che Francesco abdichi, bensì solo che si dimetta il Papa, a titillare gli animi, quale ne è la ragione?
Non si proponga la storia del “papa finalmente umano”, per favore: la storia del Papato – anche a prescindere da arresti, esilî, torture, umiliazioni… – è anzitutto un immenso catalogo di umanità. Non abbiamo ancora incontrato un essere vivente tanto sopraffatto dalla ieraticità dell’ufficio pontificio dal sorprendersi realmente alla constatazione dell’umanità di un vescovo di Roma. Allora cosa resta? Difficile dirlo: forse solo la curiosità, il banale bisogno di gettare altra paglia sul fuocherello del chiacchiericcio quotidiano; lo zapping annoiato che ci fa passare dalle polemiche sulla guerra a quelle sui mondiali a quelle sul covid a quelle sui vaccini per il covid… passando tramite quelle sul Papa e sul Papato. Piccoli passatempi adatti a persone che evidentemente non hanno di meglio da fare. Anche a correggere questo stile ecclesiale inautentico si attaglierebbero bene queste parole di Francesco nella prima parte dell’intervista:
È un peccato brutto, di ambizione nascosta, di voglia di apparire, di essere presi in considerazione, così si potrebbe interpretare... È un po' come vivere l'appartenenza alla Chiesa come un luogo di promozione.