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Perché – e come – andare alla ricerca di chi si è allontanato da Dio?

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padre Carlos Padilla - pubblicato il 08/12/22

Il vero significato dell'indicazione di Gesù di cercare la pecorella smarrita

Quando esce a cercare un’unica pecora smarrita, il pastore rischia la vita di 99 pecore che sono al sicuro nel recinto. Le lascia sole tutte per andare a cercarne una. Ha senso?

Qualsiasi imprenditore non giustificherebbe questo rischio. È eccessivo. In assenza del pastore si possono perdere altre pecore. Perché rischiare tanto? Potrebbe venire il lupo e fare una strage tra le pecore nel recinto.

Non lo capisco. Non comprendo la dinamica di Gesù. Cerco di spiegarla, ma non la capisco del tutto. Gesù dice:

“Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita? In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite”.

Pensare a chi è smarrito

Gesù dà per scontata la reazione del pastore. È così evidente? Forse mi sono abituato erroneamente a vivere in questo mondo utilitaristico.

Se una persona con la vecchiaia perde l’indipendenza non interessa, richiede troppi sforzi, troppa dedizione. O se arriva un bambino con necessità speciali è meglio che non nasca, richiederebbe troppo.

In questo modo di pensare, si giustifica il fatto di lasciare che una pecora si perda se in questo modo si salva il resto del gregge vigilandolo. L’utilità. Il numero. Una su cento. Vale la pena di salvare il resto.

Questo sguardo meschino mi riempie il cuore di tristezza. Ci cado spesso, e mi allontano. Smetto di essere il buon pastore. Non penso alla pecora smarrita. Mi concentro su quelle che stanno bene e sono al sicuro.

Non penso a chi è lontano, smarrito, solo, senza aiuto, senza mezzi. Vivo accarezzando pecore che vivono al sicuro nella propria vita. Con la paura di andare alla ricerca di pascoli migliori.

Gesù è buon pastore

Oggi guardo Gesù. Esce a cercare la pecorella smarrita. Gli importa più di qualsiasi altra cosa al mondo. Vuole attirare a Sé chi è solo, abbandonato, triste, perduto. E torna tenendolo sulle spalle.

Questa immagine mi piace molto. Un pastore coperto dalla pecora che riposa sulle sue spalle.

La stola con cui il sacerdote si riveste per impartire i sacramenti è la pecora smarrita. Mi commuove sempre quando bacio la stola prima di indossarla. Mi ricopre. E mi ricorda perché sono venuto.

Non mi copre di dignità. Mi copre di misericordia. Perché serve uno sguardo misericordioso per lasciare le pecore al sicuro nell’ovile e intraprendere un cammino incerto. Il cammino della ricerca.

Cercare fino a trovare

Vado da chi è perduto. Posso tornare a casa a mani vuote, o tornare felice con la pecora che copre le mie spalle doloranti.

Quella pecora che ha sofferto e si è perduta. Quella che ha sognato amori impossibili e ha fallito, è caduta. Quella che ha desiderato di possedere l’infinito sulla Terra e ha bevuto il calice amaro della solitudine.

La pecora che cercava amori profondi e veri e ha sprecato la sua grande capacità di amare in sorsi amari. Quella pecora avventuriera e cieca che voleva possedere il mondo intero e poi è rimasta a lottare da sola.

Guardo quella pecora che ha un nome. Non voglio abituarmi a permettere che si allontani.

Non mi basta il fatto di ricevere come pastore alla porta del mio ovile chi arriva, accogliendo, abbracciando, aspettando, con pazienza e gioia.

Mi manca il fatto di prendere l’iniziativa, di andare incontro. Forse ho paura del fallimento. Temo di tornare con le reti vuote e dopo aver ricevuto il disprezzo come risposta.

Una Chiesa in uscita nonostante i rischi

Una Chiesa in uscita è una Chiesa accidentata. Fa parte della vita. Voglio seguire Gesù lungo le strade, anche se l’anima fa male e il cuore oppone resistenza quando si tratta di abbandonare i luoghi sicuri.

Voglio meno prudenza e più sete di avventura. Ho bisogno di un cuore più audace e coraggioso, capace di mettersi in cammino ogni mattina.

Col desiderio di tornare, quando cade la sera, con la pecora smarrita sulle spalle. Non mi importa di fallire ritirando le reti. Mi importa di fallire se non le getto, senza rischiare, senza uscire da routine e comodità.

Andare incontro anche se non mi cercano

Sono nato per dare la vita, e il mio modo di farlo è tenere una stola sulle spalle. Non voglio dimenticare la mia vocazione di pastore ferito, di pastore coraggioso, di pastore padre. Di pastore con l’odore delle pecore, come diceva Papa Francesco.

Perché ho bisogno di mettermi all’altezza di colui che si è allontanato dalle mie norme, dalle mie richieste, dalla mia lista perfetta di mandati.

Ho bisogno di recuperare chi è fuggito pensando che non avrei mai accettato la sua vita com’è senza volerla cambiare.

Ho bisogno di andare incontro a chi non mi cerca, perché non ha bisogno di me, né richiede i miei precetti.

Voglio mettermi all’altezza della mia pecora smarrita. Quella che è uscita dalla mia vita cercando pascoli migliori perché, come il figliol prodigo, ha pensato di poter conquistare il mondo da sola.

Voglio andare a cercarla perché non si senta disperata nella sua solitudine e nei suoi fallimenti. Me la metterà con cura sulle spalle, sarà ferita e stanca.

E festeggiare

E tornerò a casa con lei. Farò una festa, come il padre del figliol prodigo. Inviterò tutte le altre pecore che hanno obbedito e non hanno lasciato l’ovile per paura del lupo.

Non voglio che nessuno resti con me per paura di quello che non conosce. Voglio che il motivo per cui lo fa sia sempre l’amore e non la paura.

Il mio buon Pastore Gesù mi prende sulle spalle quando sono ferito e solo, quando mi allontano volendo conquistare il mondo.

Sento Gesù che mi abbraccia e mi sostiene. Mi guarda commosso. Mi perdona. Che follia di misericordia! Quell’amore infinito sotto forma di stola, di pecora sulle spalle. Desidero quell’amore.

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