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Santa Marianne Cope, la donna che migliorò la tragica esistenza di migliaia di lebbrosi

MARRIANNE COPE

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Sandra Ferrer - pubblicato il 29/11/22

Andò alle Hawaii per donarsi anima e corpo agli emarginati della società

Nel XIX secolo, c’erano ancora milioni di persone in tutto il mondo che soffrivano per la terribile piaga della lebbra, una malattia che all’epoca era non solo mortale, ma condannava anche all’ostracismo chi ne soffriva, perché molti credevano che fosse contagiosa, o quantomeno non se ne conosceva la vera origine.

Pochi erano disposti a giocarsi la vita per dei poveri diavoli condannati a una vita di reclusione insieme ai loro familiari. Ci sono però uomini e donne che sono dei veri angeli in Terra e non esitano ad avvicinarsi ai più emarginati degli emarginati.

Una di questa figure era una donna che conduceva una vita più o meno tranquilla nel suo convento di New York. Era nata come Barbara Koob a Heppenheim, in Germania, il 20 gennaio 1838. La sua era una famiglia semplice, umile e cattolica, che decise di emigrare negli Stati Uniti quando Barbara era ancora bambina. I Koob si insediarono a Utica, nello Stato di New York, e americanizzarono il loro cognome trasformandolo in Cope. 

Barbara studiò in una scuola cattolica, e fin da molto piccola sentì la chiamata alla vita religiosa. Gli obblighi familiari ritardarono tuttavia il suo destino di qualche anno. Barbara dovette infatti abbandonare gli studi per lavorare in una fabbrica per aiutare i genitori a mantenere la famiglia di dieci figli, dei quali lei era la maggiore. Non si lamentò mai, e fu sempre un grande sostegno per i suoi.

A 24 anni, riuscì finalmente a realizzare il suo desiderio ed entrò nella congregazione delle Suore del Terz’Ordine Francescano di Syracuse, dove professò i voti nel 1860 adottando il nome di Marianne. La nuova suora si dedicò totalmente ai compiti educativi dell’ordine, anche se dimostrò presto di essere anche una brava amministratrice. In poco tempo, promosse la creazione di alcuni dei primi ospedali degli Stati Uniti, tra cui l’Ospedale Santa Elisabetta di Utica, istituito nel 1866, e l’Ospedale San Giuseppe di Syracuse, inaugurato tre anni dopo. Entrambi questi centri portano avanti ancora oggi la loro opera assistenziale. Marianne volle che vi venissero assistiti tutti i malati, senza distinzione di razza, credo o origine sociale.

Dal 1873 fu madre superiora della comunità, e portò avanti il suo lavoro instancabile all’interno della congregazione. Dieci anni dopo, ricevette una richiesta di aiuto dalle lontane isole Hawaii. I lebbrosi erano sempre più numerosi nella colonia in cui vivevano reclusi, e serviva aiuto per prendersene cura. L’appello era giunto a molte congregazioni di tutti gli Stati Uniti, ma solo lei, Madre Marianne, accettò di accorrere in loro aiuto senza pensarci due volte.

Insieme a lei viaggiarono altre sei religiose della congregazione, disposte a dare la vita, se quella era la volontà di Dio, per quelle donne e quegli uomini emarginati e malati. Madre Marianne assicurò di non avere paura della malattia e che avrebbe servito con grande gioia quella povera gente. La sua intenzione era organizzare la missione e, una volta gettate le basi per il suo buon funzionamento, tornare a casa, a Syracuse, ma Dio aveva in serbo un altro cammino per lei. Quando Madre Marianne arrivò in terra hawaiiana, seppe che il suo destino era vivere e morire con quelle persone.

La religiosa si mise all’opera, e per più di trent’anni visse nell’isola di Molokai, dove lavorò instancabilmente per far sì che l’esistenza dei lebbrosi e dei loro familiari fosse più dignitosa possibile. Promosse un ampio progetto di pulizia e sanificazione delle strutture, aiutò a creare nuove coltivazioni in cui poter lavorare e coltivare il proprio cibo e aprì centri di insegnamento per i bambini e i malati che avevano ancora la forza per studiare. Madre Marianne diede un senso alla loro vita e restituì una dignità di cui molti si vedevano privati.

Sull’isola conobbe anche l’ingente opera iniziata da padre Damiano di Molokai, che accompagnò negli ultimi momenti della sua vita. Padre Damiano aveva contratto la malattia senza sapere come, ma all’epoca si pensava che fosse stato contagiato, per cui tutti avevano paura di avvicinarsi a lui. Tutti tranne Madre Marianne, che non esitò a consolarlo nelle ultime ore della sua vita terrena, prendendosi cura di lui fino alla morte, nell’aprile 1889. 

Madre Marianne Cope non si ammalò mai di lebbra, pur avendo vissuto per decenni insieme ai lebbrosi, che videro la propria vita migliorare decisamente grazie alla sua dedizione. Il 9 agosto 1918 morì dopo una lunga vita dedicata agli altri. Aveva ottant’anni.

Nel maggio 2005, Papa Benedetto XVI l’ha beatificata sottolineandone il coraggio e l’esempio cristiano:

“Senza dubbio, umanamente parlando, la generosità di Madre Marianne fu esemplare. Tuttavia, le buone intenzioni e l’altruismo non bastano da soli a spiegare in maniera adeguata la sua vocazione. È solo la prospettiva della fede a permetterci di comprendere la sua testimonianza di cristiana e di religiosa di quell’amore sacrificale che raggiunge la pienezza in Gesù Cristo. In tutto ciò che conseguì fu ispirata dall’amore personale per il Signore che espresse a sua volta attraverso l’amore per gli abbandonati e per gli emarginati della società”.

Il 21 ottobre 2012, lo stesso Pontefice l’ha canonizzata. Nella sua omelia, l’ha definita “un luminoso e forte esempio della migliore tradizione cattolica nell’accudire alle sorelle e dello spirito del suo amato San Francesco”.

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