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L’astinenza delle carni al venerdì? Fa bene anche all’ambiente, spiega l’Università di Cambridge

DONNA ADDENTA FILETTO DI MANZO

© Christopher Boswell / Shutterstock

Lucia Graziano - pubblicato il 27/11/22

Cosa succederebbe se i cattolici tornassero a praticare l’astinenza dalle carni in tutti i venerdì dell’anno, come si faceva un tempo? Come dimostra uno studio dell’Università di Cambridge, le emissioni di gas serra diminuirebbero significativamente.

Nel maggio 2011, i vescovi cattolici di Galles e Inghilterra sorpresero i loro fedeli con una comunicazione destinata a far scalpore: a partire dal successivo mese di settembre, i cattolici residenti in quelle zone del Regno Unito sarebbero stati nuovamente tenuti a osservare l’astinenza dalle carni in tutti i venerdì dell’anno, come si faceva un tempo. 

La rigidità di questa norma era stata mitigata dal Concilio Vaticano II, che aveva concesso alle singole conferenze episcopali di poterla declinare nelle modalità più opportune. Fino al 2011, i nostri correligionari d’oltremanica si trovavano nella stessa situazione in cui vivono oggi i cattolici italiani: l’astinenza dalle carni, obbligatoria nei venerdì di Quaresima, è facoltativa negli altri periodi dell’anno. Resta l’obbligo di sottoporsi ogni settimana a qualche piccola forma di mortificazione, che è però a discrezione dei fedeli: per citare le parole della Conferenza Episcopale Italiana, «in tutti gli altri venerdì dell’anno, a meno che coincidano con un giorno annoverato tra le solennità, si deve osservare l’astinenza nel senso detto oppure si deve compiere qualche altra opera di penitenza, di preghiera, di carità». 

Questa, a oggi, la situazione in Italia; e lo stesso valeva, fino a una decina d’anni fa, per i cattolici della Gran Bretagna. Ma, come appunto si diceva, i vescovi d’oltremanica decisero nel 2011 di ripristinare l’obbligo dell’astinenza in ogni venerdì dell’anno, spinti dal desiderio di far sì «che tutti i fedeli fossero nuovamente uniti in un atto di mortificazione comune e chiaramente identificabile» per citare le parole di Marcus Stock, all’epoca segretario della Conferenza Episcopale Cattolica d’Inghilterra e Galles. A motivare questo cambio di rotta, v’erano state anche delle considerazioni di natura pratica: ai vescovi era ben noto che, “abbandonati” alla loro inventiva, molti dei fedeli finivano col trascurare la loro penitenza del venerdì (spesso in buona fede, per banale dimenticanza). Parve dunque ai prelati che potesse essere utile la reintroduzione di un obbligo preciso, che «ci unisce tutti e ci ricorda il nostro dovere personale di sacrificare qualcosa ogni venerdì»; inoltre, «astenersi dalla carne è un’azione molto facile da ricordare, ed è un modo semplice per dare testimonianza a scuola, sul posto di lavoro e in famiglia». 

Un precetto religioso può cambiare la società intera?

Come reagirono i fedeli cattolici di fronte a questo precetto? Gli impatti di una riforma si misurano solamente nel lungo periodo, e infatti l’Università di Cambridge attese una decina d’anni prima di misurare se, e in che misura, la prescrizione avesse realmente influenzato le abitudini alimentari dei cittadini di fede cattolica. A sollecitare la curiosità di tre ricercatori (Shaun Larcom, Luca Panzone e Po-Wen She) non fu unicamente un interesse di tipo sociologico: fin da subito chiaro che l’introduzione di una norma religiosa che ha il potere di cambiare in maniera profonda le abitudini quotidiane di un vasto numero di persone è un evento capace di impattare in modo non trascurabile sull’economia e sul welfare di una nazione intera. In questo caso specifico, poi, la situazione assumeva sfumature ancor più interessanti: è ben noto che l’allevamento di animali da macello ha un forte impatto ambientale e che, in virtù di ciò, molti movimenti a tutela dell’ambiente invitano i cittadini a ridurre drasticamente il consumo di carne. Ma se a chiedere la stessa cosa è un leader religioso, e se l’invito è motivato dalla promessa di far del bene alla propria anima (e non solo all’ambiente), la popolazione sarà maggiormente incline a rispondere a questo appello?

È questo l’interrogativo da cui prese le mosse la ricerca, recentemente data alle stampe dall’Università di Cambridge col titolo diFood for the Soul and the Planet: Measuring the Impact of the Return of Meatless Fridays for (some) UK Catholics.

E se tutti smettessimo di mangiare carne il venerdì?

Per capire se, e in che misura, la reintroduzione dell’obbligo dell’astinenza avesse realmente modificato la dieta dei cittadini di fede cattolica, i ricercatori fecero ricorso a due set di dati. La loro fonte principale fu un sondaggio appositamente commissionato allo scopo, ma furono utilizzati anche i dati di una National Diet and Nutrion Survey che il Ministero della Salute Pubblica compie ogni anno per indagare sui consumi alimentari dei cittadini britannici.

Naturalmente, la prima sfida dei ricercatori fu quella di quantificare la percentuale di fedeli che aveva davvero risposto all’appello dei vescovi; effettivamente, solo il 28% dei cattolici intervistati dichiarò di aver cambiato le sue abitudini alimentari in diretta conseguenza del nuovo obbligo religioso. Beninteso, questo non vuol necessariamente dire che il restante 72% avesse fatto spallucce: alcuni degli intervistati dichiararono di non aver cambiato affatto la loro dieta perché avevano già l’abitudine di praticare l’astinenza tutti i venerdì; altri risposero di non essere troppo ligi nell’osservanza del precetto ma di aver comunque «ridotto» il loro consumo di carne, optando per un menù di magro quando se ne ricordavano o quando avevano la possibilità di farlo senza troppo incomodo. 

A oggi, i cittadini di fede cattolica costituiscono circa il 10% della popolazione di Galles e Inghilterra; partendo dalle stime che parlano di un consumo medio pro capite di 100 grammi di carne al giorno, i ricercatori di Cambridge hanno combinato i due dati e fatto qualche stima. Per esempio: se, per assurdo, tutta la popolazione in età lavorativa (circa 40 milioni di persone) si unisse ai cattolici nel praticare l’astinenza in tutti i venerdì dell’anno, il consumo di carne registrerebbe un calo di 80 tonnellate a settimana.

Chiaramente, uno scenario poco verosimile: non si vede per quale ragione l’interezza della popolazione dovrebbe sentire l’improvviso desiderio di piegarsi ai precetti alimentari di una religione che nemmeno pratica. E questo è ovvio. Tuttavia, i ricercatori invitano a non sottovalutare le ricadute su larga scala che potrebbero avere prescrizioni di questo tipo: per esempio, gruppi di amici che escono assieme il venerdì sera potrebbero optare per un ristorante vegetariano al solo scopo di venire incontro alle necessità di un singolo membro della compagnia. Inoltre, capita di frequente che le mense aziendali, scolastiche e ospedaliere introducano modifiche ai loro menù in omaggio alle necessità di un certo gruppo religioso, soprattutto se appartiene a una minoranza numericamente significativa.

Naturalmente, non furono preoccupazioni di natura ambientale a spingere i vescovi a ripristinare l’astinenza dalle carni obbligatoria; ciò non di meno, scelte di queste tipo portano con sé alcuni graditissimi effetti collaterali. Tornando allo scenario ipotetico in cui tutta la popolazione di Galles e Inghilterra si uniforma alle consuetudini cattoliche praticando l’astinenza del venerdì: quel risparmio di 80 tonnellate di carne a settimana (e cioè, 4160 tonnellate all’anno!) permetterebbe di ridurre dello 0,013% le emissioni annuali di CO2 nel Regno Unito. Grossomodo, è lo stesso risparmio che si verrebbe a creare se, ogni settimana, 1600 persone rinunciassero a un viaggio aereo transoceanico.

E, naturalmente, potrebbero essere fatte considerazioni di simile tenore nell’analizzare l’impatto di questo cambiamento in termini di risparmio delle acque, tutela della biodiversità, abbattimento dei costi di trasporto su strada necessari per portare la carne dai mattatoi ai supermercati…

Il ruolo potenziale della religione nel diffondere buone pratiche tra i suoi fedeli

Ai ricercatori di Cambridge pare l’elemento più interessante del loro studio sia stata la sua capacità di «evidenziare il collegamento tra le prescrizioni religiose, il comportamento quotidiano dei consumatori e le tematiche di sostenibilità ambientale»: un collegamento che «sarebbe apparso ovvio, nel passato remoto del Regno Unito» e che tuttavia si tende oggi a trascurare. In modo un po’ miope, a giudizio degli studiosi: anche perché, di norma, i fedeli che mutano le loro abitudini quotidiane in virtù di un precetto religioso tendono a farlo di buon grado e con profondo convincimento (vale a dire: non si sottomettono di malavoglia a un’imposizione arrivata dall’alto solo perché non vogliono prendere multe). 

In questo senso, i tre ricercatori ritengono che il loro studio sia stato utile per evidenziare «il ruolo esistente, e ancor più il ruolo potenziale che le organizzazioni religiose, i movimenti locali e i gruppi civili distribuiti sul territorio possono svolgere, al fine di ottenere una maggior diffusione degli interventi a favore della sostenibilità ambientale e a mitigazione del cambiamento climatico». 

Un esempio? Se la Chiesa cattolica dovesse decidere di introdurre a livello globale il precetto dell’astinenza dalle carni in tutti i venerdì dell’anno, questa norma avrebbe senza dubbio ricadute ambientali dagli effetti non trascurabili

Difficile dire quanto sia plausibile un simile scenario; certo è che potrebbero comunque essere i singoli fedeli laici a fare tesoro di queste considerazioni, magari nell’intimo delle loro case, decidendo settimana per settimana cosa portare in tavola il venerdì. 

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