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“Santa Anastasia – una speranza per la Pace”: la missione che portò in orbita la santa

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Lucia Graziano - pubblicato il 21/11/22

Correva l’anno 1995 e venti di guerra soffiavano sui Balcani. E mentre tutto il mondo pregava per la pace, la collaborazione internazionale s’attivò per mandare simbolicamente in orbita due icone di santa Anastasia, che martirizzata nell’odierna Serbia: a ospitarle, per sette mesi, fu la stazione spaziale MIR.

Oggigiorno, santa Anastasia di Sirmio non gode di una devozione popolare particolarmente accesa.

Certo, il suo nome sarà familiare ai Veronesi, che la venerano in una delle più belle chiese cittadine; e i Romani avranno senz’altro visitato mille volte la basilica di Sant’Anastasia al Palatino. Ma altrove in Italia, non si può dire che Anastasia sia una delle sante più amate in assoluto.

Completamente diversa era la situazione nel Medioevo: all’epoca, Anastasia di Sirmio era una delle sante più popolari al mondo, in Occidente così come in Oriente. Nata a Roma nel 281, la giovinetta aveva trovato in san Crisogono un prezioso padre spirituale. Ma, quando lei era poco più che adolescente, il suo precettore era stato incarcerato, vittima delle persecuzioni anticristiane; e, in galera, era stato sottoposto a ogni forma di vessazione. Anastasia, profondamente colpita dalle sofferenze che il suo amico aveva dovuto sopportare, aveva giurato a se stessa che, da quel momento in poi, avrebbe dedicato la sua intera vita all’assistenza dei carcerati.

In quel periodo, una violenta persecuzione anticristiana stava mietendo vittime nei Balcani: Anastasia volle dunque raggiungere quella terra di martirio e prese dimora a Sirmio (l’attuale Sremska Mitrovica, in Serbia). Mettendo a frutto le ricchezze che aveva ereditato dai suoi genitori, la santa passò diversi anni della sua vita assistendo (con cibo, preghiere e conforto morale) i cristiani che si trovavano in carcere. Tale sollecitudine risultò sospetta alle autorità, che indagarono sul conto della donna scoprendo anche in lei una cristiana; coraggiosamente, al cospetto dei giudici, Anastasia fece professione di fede e dunque andò incontro al martirio: era il 25 dicembre 304.

Santa Anastasia
A Roman widow of the 4th century, after her husband’s death she dedicated her life to acts of charity and the practice of her Christian faith. During the persecution of Diocletian she was killed for her beliefs. Her feast was originally placed on December 25 and it was customary to commemorate her in a small way each Christmas.

La devozione per sant’Anastasia: forte in Oriente così come in Occidente

Entro la fine del IV secolo, era già stata eretta nella città di Sirmio una chiesa dedicata alla martire. Il culto si propagò rapidamente nei Balcani, ma non restò confinato alla penisola: nel 467, Costantinopoli domandò di poter avere una parte delle reliquie; entro la fine di quel secolo, sant’Anastasia era popolarissima in tutta la Pannonia.

Proveniva dalla Pannonia anche Teodorico, che nel V secolo conquistò l’Italia dando origine al regno ostrogoto. Il sovrano portò con sé molte delle tradizioni della sua terra natia, tra cui la venerazione per santa di Sirmio; e mentre la devozione si diffondeva capillarmente in tutta Italia (e, da lì, in tutto l’Occidente) i missionari cominciavano a parlare di lei anche nelle terre che andavano evangelizzando a Oriente: Crimea, Moravia, Russia, Bulgaria. Entro il X secolo, la martire di Sirmio era nota (e amatissima) in tutta Europa.

Col passar dei secoli, la devozione popolare nei confronti di sant’Anastasia cominciò pian piano ad affievolirsi in Occidente (restando, invece, molto sentita tra i fedeli di confessione ortodossa). Ma la santa seppe trovare il modo per ricominciare a far parlare di sé: e anzi, nel 1995 divenne inaspettatamente protagonista di un’iniziativa che la portò addirittura in orbita. Niente meno!

C’era ancora la Guerra Fredda, ma sant’Anastasia univa già i cuori

Tutto cominciò a Sale San Giovanni, un paesino piemontese delle Langhe nel quale sorge una chiesa romanica dedicata appunto a sant’Anastasia. Lì, nel 1988, furono scoperti sotto uno strato di calce alcuni affreschi pregiati risalenti al XIII secolo; la scoperta ebbe eco internazionale e destò in particolar modo la curiosità di alcuni artisti sovietici (provenienti cioè da una zona in cui le raffigurazioni di sant’Anastasia erano frequentissime nell’iconografia). Sotto la direzione della Soprintendenza per i beni Artistici e Storici, la Regione Piemonte e la Repubblica Federativa Russa collaborarono per coordinare un restauro che, tra il 1991 e il 1992, fu portato avanti da un team di professionisti di ambo le nazionalità. E così, tra le arcate della chiesetta di Sale San Giovanni, ebbe luogo una delle prime collaborazioni internazionali tra un Paese del blocco atlantico e una URSS ormai in fase di dissoluzione: e se il progetto di restauro, in sé, era certamente piccolo, fece scalpore perché fortemente simbolico.

La missione “Santa Anastasia – una speranza per la Pace”: e così, la santa finì in orbita

Questa amicizia internazionale fu il germe da cui prese il via il progetto “Santa Anastasia – una speranza per la Pace”: una di quelle storie che ci fanno sentire improvvisamente vecchi, come se gli eventi che stiamo per descrivere fossero eco di un tempo ormai perduto.

E invece, sono solamente tre le decadi che ci separano da quegli anni Novanta in cui l’Europa assistette, attonita, allo scoppio della guerra jugoslava. Ma il dettaglio che a oggi ci pare più straniante è quello per cui, all’epoca, in un clima di progressiva distensione, la Russia e la UE si trovavano fianco a fianco nel guardare la guerra che dilagava a pochi chilometri da loro.

Poiché le differenze religiose (tra cristiani e musulmani, ma anche tra cattolici e ortodossi) avevano giocato un ruolo non irrilevante nel contrapporre le varie etnie che vivevano tra i Balcani, alle chiese cristiane che erano sul territorio piacque l’idea di invocare sant’Anastasia per chiedere la grazia di una rapida risoluzione del conflitto.

E anche la comunità internazionale si rese presto conto del fatto che, in effetti, quella santa (che era amata dai cattolici così come dagli ortodossi, e che era stata martirizzata proprio nelle zone che si trovavano in guerra) sembrava essere l’interlocutore perfetto a cui indirizzare le preghiere per la pace.

C’era poi quella bella storia di cronaca recente che aveva visto restauratori russi e occidentali lavorare fianco a fianco in un’amicizia che, all’epoca, incarnava il sogno di ogni diplomatico. Insomma: attraverso la cooperazione internazionale, si cominciò a lavorare a un progetto che, con un gesto dalla valenza simbolica, avrebbe spedito nello spazio una immagine della santa vissuta in Serbia. In fin dei conti, lo dicono tutti i cosmonauti: le guerre e le divisioni paiono ancor più prive di senso, quando si guarda la Terra dallo spazio.

La stazione spaziale MIR accettò con piacere di ospitare per qualche tempo una piccola icona della santa. O meglio: accettò di ospitarne due, per dare simbolicamente spazio alle due diverse iconografie (quella occidentale e quella orientale) nelle quali l’immagine della santa s’era cristallizzata nella tradizione cattolica e ortodossa. L’iconografo Nikolai Gaverdosvki realizzò un quadro in pieno stile russo, seguendo lo stile della scuola di Jaroslav; l’artista Nadia Lavrova creò una immagine della santa ispirandosi agli affreschi della cappella piemontese e ricamandola su stoffa con fili d’oro, d’argento e seta. Papa Giovanni Paolo II e il patriarca di Mosca Alessio II benedirono ambedue ognuno dei due quadri, che il 22 luglio 1995 furono caricati sulla navicella Progress-33 prendendo il volo verso la stazione MIR. Qualche giorno più tardi, furono presentati al mondo da due dei cosmonauti che facevano parte della missione e che, con l’occasione, reiterarono ancora una volta il loro appello per la pace; le due immagini della santa rimasero in orbita per sette mesi, compiendo 3000 rotazioni attorno alla Terra.

Sant’Anastasia della Riconciliazione

Al termine della missione spaziale, le due icone rientrarono sul nostro pianeta. Ma non per questo smisero di viaggiare: col patrocinio dell’UNESCO, compirono anzi un pellegrinaggio di 15000 chilometri toccando i principali luoghi legati alla devozione di sant’Anastasia. Nei desideri di tutti, il viaggio avrebbe dovuto concludersi a Sremska Mitroviza, la città serba in cui la santa era stata martirizzata e in cui si sperava di poter edificare una cappella che festeggiasse l’avvenuta pacificazione. Purtroppo, il perdurare delle tensioni rese impossibile la realizzazione di questo sogno: e la piccola cappellina in legno, che nel frattempo era già stata progettata, fu edificata in Piemonte, sul Colle di Santa Maria, lungo la strada che unisce la frazione alta e la frazione bassa del comune di Magliano Alfieri. Simbolicamente, la minuscola chiesetta fu dedicata a sant’Anastasia della Riconciliazione; la si può vedere ancor oggi, profittando magari dell’occasione per fare un’escursione in mezzo alla natura.

Tutto questo succedeva poco meno di trent’anni fa; eppure, guardando a questi eventi, si prova come un senso di vertigine nel contemplare la distanza siderale che sembra separarci da quei tempi lontani in cui la Russia, l’Italia e un’agenzia dell’ONU (per non citare il papa e il patriarca di Mosca) lavoravano fianco a fianco in un appello alla pace.

Tante cose sono cambiate, purtroppo, da quel giorno, ma questo non rende meno preziosa questa storia; anzi, paradossalmente la trasforma forse in qualcosa di molto attuale. Quale momento migliore di questo, per riscoprire la figura di sant’Anastasia della Riconciliazione?

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