È gremita la Cattedrale di Asti, dove il Pontefice ha presieduto la celebrazione eucaristica in chiusura di questi due giorni di "ritorno alle origini" del papa (italo)argentino. In prima fila i cugini di Bergoglio, ma da tutti i comuni vicini sono accorsi per salutare questo Papa che non ha mai dimenticato le sue origini piemontesi, come sottolinea lui stesso a inizio omelia precisando di essere tornato "a ritrovare il sapore delle radici" . Ma non è sulla nostalgia del passato che Francesco batte durante la celebrazione dedicata a Cristo Re.
“Da queste terre – è l’inizio dell’omelia - mio padre è partito per emigrare in Argentina; e in queste terre, rese preziose da buoni prodotti del suolo e soprattutto dalla genuina laboriosità della gente, sono venuto a ritrovare il sapore delle radici”. Ma oggi – aggiunge - è ancora una volta il Vangelo a riportarci alle radici della fede”. Radici che si trovano “nell’arido terreno del Calvario, dove il seme di Gesù, morendo, ha fatto germogliare la speranza: piantato nel cuore della terra ci ha aperto la via al Cielo; con la sua morte ci ha dato la vita eterna; attraverso il legno della croce ci ha portato i frutti della salvezza”
Gesù è un Re "a braccia aperte, a brasa aduerte", ripete il Papa in dialetto piemontese. E questa espressione la ripete più volte nel corso dell'omelia.
"Solo entrando nel suo abbraccio" capiamo cha ha abbracciato "tutto di noi, anche quanto di più distante c'era da Lui: la nostra morte", "il nostro dolore, le nostre povertà, le nostre fragilità e le nostre miserie". "Lui non osserva la tua vita per un momento e basta, non ti dedica uno sguardo fugace come spesso facciamo noi con Lui, ma Lui rimane lì, a brasa aduerte, a dirti nel silenzio che niente di te gli è estraneo, che vuole abbracciarti, rialzarti, salvarti così come sei, con la tua storia, le tue miserie, i tuoi peccati", rimarca il Papa esortando a lasciarci amare da Lui, "perché solo così veniamo liberati dalla schiavitù del nostro io, dalla paura di essere soli, dal pensare di non farcela". Le "brasa aduerte" di Cristo che "dischiudono anche a noi il paradiso, come al 'buon ladrone'", aggiunge riferendosi al Vangelo odierno.
Con la sua morte Gesù, ricorda Francesco, “ci ha dato la vita eterna”. E guardando a Lui, al Crocifisso, vediamo che è un “re dei Giudei” come scritto sulla croce, diverso da tutti gli altri. Non “un uomo forte seduto su un trono”, ma tutto il contrario, “appeso ad un patibolo”.
Il Dio che «rovescia i potenti dai troni» (Lc 1,52) opera come servo messo in croce dai potenti; ornato solo di chiodi e di spine, spogliato di tutto ma ricco di amore, dal trono della croce non ammaestra più le folle con la parola, non alza più la mano per insegnare. Fa di più: non punta il dito contro nessuno, ma apre le braccia a tutti. Così si manifesta il nostro Re: a braccia aperte, a brasa aduerte.
Quindi il Pontefice, citando il brano della Liturgia, mette in guardia dal "contagio letale dell'indifferenza", "una brutta malattia". "L'onda del male si propaga sempre così: comincia dal prendere le distanze, dal guardare senza far nulla, dal non curarsi, poi si pensa solo a ciò che interessa e ci abitua a girarsi dall'altra parte", dice Bergoglio.
"È questo è un rischio anche per la nostra fede - continua -, che appassisce se resta una teoria non diventa pratica, se non c'è coinvolgimento, se non ci si spende in prima persona, se non ci si mette in gioco. Allora si diventa cristiani all'acqua di rose - come io ho sentito dire a casa mia - che dicono di credere in Dio e di volere la pace, ma non pregano e non si prendono cura del prossimo e anche, a loro non interessa Dio, né la pace. Questi cristiani soltanto di parola, superficiali!".