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Per il Papa la pace in Ucraina è possibile. Basta compravendita di armi

Papa Francesco

VINCENZO PINTO/AFP/East News

Lucandrea Massaro - pubblicato il 18/11/22

Una lunga intervista concessa dal Pontefice alla Stampa alla vigilia del viaggio nei luoghi di origine della famiglia di Bergoglio ad Asti. Francesco a tutto campo su molti temi

E’ una intervista di ampio respiro quella raccolta da Domenico Agasso sulla Stampa di oggi al Papa, in cui Bergoglio parla naturalmente della situazione internazionale, delle grandi crisi del nostro tempo, la guerra, la fame, la precarietà, alternando con i ricordi d’infanzia, la famiglia e l’importanza del rapporto nonni-nipoti per una crescita sana ancorata nella storia della propria cultura. Di seguito i passaggi più significativi dell’articolo.

La Guerra, madre di ogni disperazione

Di nuovo il pontefice torna sulle spese militari e il loro impatto duplice sul mondo, da un lato armare i paesi che prima o poi useranno questi strumenti sempre più mortali, dall’altro sottraendo risorse a cause come la fame nel mondo

«È assurdo. […] Mi hanno detto che se in un anno non si fabbricassero e vendessero armi, si cancellerebbe la fame nel mondo. E invece prevale sempre la vocazione distruttrice, che sfocia nelle guerre. Quando gli imperi si indeboliscono puntano a fare una guerra per sentirsi forti, e pure per vendere le armi. In un secolo tre guerre mondiali! E non impariamo! […]».

Gli spiragli di trattativa con il Cremlino, la speranza di una pace in Ucraina

Il Papa conferma il lavoro sottotraccia della diplomazia vaticana e l’instancabile azione del Cardinale Parolin nel cercare vie di mediazione per la situazione ucraina, favorendo un cessate il fuoco un dialogo tra le parti oltre naturalmente a dare disponibilità per una mediazione diretta come in parte richiesto dalla stessa Russia.

«[…] Come ho detto sull’aereo tornando dal Bahrein, la Segreteria di Stato lavora e lavora bene, ogni giorno, e sta valutando qualsiasi ipotesi e dando valore a ogni spiraglio che possa portare verso un cessate il fuoco vero, e dei negoziati veri. Nel frattempo, siamo impegnati nel sostegno umanitario al popolo della martoriata Ucraina, che porto nel cuore insieme alle sue sofferenze […]».

Lei ha speranza che possa avvenire una riconciliazione tra Mosca e Kiev?

«Sì, ho speranza. Non rassegniamoci, la pace è possibile. Però bisogna che tutti si impegnino per smilitarizzare i cuori, a cominciare dal proprio, e poi disinnescare, disarmare la violenza […]». 

Uno sguardo al viaggio ad Asti

Superata la ovviamente importantissima questione della guerra, il Papa spiega i motivi tutti personali del viaggio in Piemonte per festeggiare la cugina, Carla Rabezzana, e vedere i propri parenti, ma anche per respirare un’aria che Bergoglio sente come di casa.

«Da tempo desideravo trascorrere un po’ di ore insieme ai miei parenti nei luoghi della mia famiglia. Prima di diventare papa andavo spesso nell’Astigiano, era un’abitudine: quando arrivavo a Roma da provinciale dei Gesuiti d’Argentina, oppure come arcivescovo per partecipare a qualche sinodo. In ogni occasione facevo un salto in Piemonte per vedere i cugini di papà. Noi siamo molto legati. Con la cugina più grande, Carla, ci sentiamo spesso al telefono. Domani ci troveremo insieme anche ad altri cinque cugini, e questo mi riempie di gioia».

Che cos’è per lei il Piemonte, che cosa rappresenta?

«È la mia lingua, perché quando avevo 13 mesi mia mamma ha avuto un secondo figlio, e i nonni abitavano a 30 metri da casa nostra: mia nonna veniva a prendermi, stavo con loro che parlavano piemontese. Si può dire che mi sono “svegliato alla vita” in piemontese».

La lingua materna, un luogo della memoria

Il Papa rammenta le poesie, in piemontese, della sua infanzia, che fanno ormai parte di lui e che lo accompagnano quotidianamente ricordandogli le sue radici, un tema a cui Bergoglio è molto affezionato.

«La preghiera alla Madonna Consolata. “La Consolà” (“La Consolata”; il Pontefice la pronuncia in piemontese, ndr): “O’ Protetris dla nòstra antica rassa, cudissne Ti, fin che la mòrt an pija: come l’aqua d’un fium la vita a passa, ma ti, Madòna, it reste” (“O Protettrice della nostra antica razza, custodiscimi tu, fino a che la morte mi prenda: come l’acqua di un fiume la vita passa, ma tu, Madonna, tu resti”). Quanta forza, quanto coraggio, quanta fede trasmette questa poesia!».

Quale ruolo dovrebbero avere le radici nella nostra epoca globalizzata e iper-tecnologica?

«Sono fondamentali per due aspetti. Il primo culturale: mai dimenticare e rinnegare le proprie radici culturali. Il secondo familiare: bisogna sempre alimentare e valorizzare le proprie radici familiari, specialmente i nonni. Lo dico sempre: credo che i giovani dovrebbero parlare il più possibile con i nonni; per mantenere salde le proprie radici, non per rimanere lì, fermi, senza guardare al mondo. Anzi: i nonni possono aiutare a trovare l’ispirazione per andare avanti e lontano. Ma se l’albero si stacca dalle radici, non cresce, si secca, muore. È fondamentale tenere vivo il rapporto con le radici, per la nostra crescita culturale e sociale, e anche per lo sviluppo della nostra personalità». 

Dove cerca Dio il Papa?

Il pontificato come servizio, non come traguardo, dieci anni sul Soglio di Pietro e un bilancio di vita fatto ogni giorno seguendo l’esempio di Ignazio di Loyola, con l’esame di coscienza:

«Grazie alla mia vocazione, sono sempre stato felice nei posti in cui il Signore mi ha messo e mandato. Ma non perché “ho vinto qualcosa”, ho vinto niente… questo è un servizio, e la Chiesa me lo ha chiesto; io non pensavo di essere eletto, e invece il Signore lo ha voluto. Dunque avanti. E faccio quello che posso, ogni giorno, cercando di non fermarmi mai».

Dove cerca e trova Dio?

«Io prego. Al mattino celebro l’Eucaristia, lì trovo il Signore. E poi lo trovo in ciò che faccio e soprattutto nelle persone che incontro, in ognuno di voi».

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