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“Mi sento ridicola”. Pensieri senza censure delle suore abusate

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Shutterstock/ Anneka

Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 15/11/22

Paura della fretta, sentirsi sporche, identità distorte: sono tutte le conseguenze che confessano le religiose che hanno subito abusi sessuali

Voci di suore abusate: testimonianze drammatiche di violenze subite, in tempi diversi della loro vita, da parte di preti e consorelle di comunità. Li racconta con coraggio e tanta lucidità, Anna Deodato, consacrata all’Istituto delle Ausiliarie Diocesane di Milano, nel libro Vorrei risorgere dalle mie ferite” (edizioni Dehoniane).

Distorsioni dell’identità

Deodato, esperta in psicologia, ha ascoltato lo stato d’animo delle consorelle che hanno subito abusi sessuali. Il trauma è molto pesante e distorce la propria identità. «Non so chi sono – dice una suora abusata – non so se è stata colpa mia, se me la sono cercata, non capisco più se ho fatto del male, se cercavo un affetto e non dovevo, non so perché mi è successo e cosa devo pagare per questo».

Sentirsi ridicola

Spesso si teme di essere minimizzate e sottovalutate. Ci si sente in colpa per ciò che è accaduto. Un’altra abusata rivela: «Mi sento ridicola. E anche ora, con te, non riesco a verbalizzare nulla. Mi scendono soltanto le lacrime e vorrei morire. Mi sento ridicola. Come qualcosa che sta per finire. O, forse, sono già morta. Lo so che sono io che creo problemi e che le cose che faccio io sono tutte complicate, sbagliate, assurde. Passerà, forse, riuscirò a parlare, non so. Non so più nulla, ho dentro un grande caos. Non riesco ad aggiungere altro, se non che sono un caos, come il mare in burrasca nella foto».

Perdita della dignità

Subire un abuso fa perdere definitivamente una parte essenziale della propria persona e della propria dignità. «Ti senti solo sporca. Dopo ti senti solo sporca e hai solo voglia di lavarti, ma dentro non hai più niente. La violenza la senti sempre dentro e dentro ti resta lo schifo. Uno straccio del pavimento sporco. Mi sento questo, mi sento così».

NUN,

L’importanza di un gesto

Nei confronti di queste persone, bisogna comprendere però molto bene come e quando esprimere con il gesto la vicinanza e l’affetto per non suscitare eccessivamente emozioni e ricordi traumatici troppo violenti. Una suora, all’autrice del volume, dice: «Dammi la tua mano, sento caldo e sento che mi aiuta. Me la ricordo quando mi viene paura. La porto con me, no, dentro di me. Sento che non mi prendi per farmi del male. Grazie».

La riservatezza

La riservatezza è essenziale. Una delle percezioni più sgradevoli e dolorose connesse all’abuso molte volte è quella di avvertire di essere guardata con disprezzo e di sentirsi. «Siamo sicuri che non entra nessuno? Che nessuno ci vede? Che nessuno sente?».

Il senso di colpa

Chi ha subito le molestie di un sacerdote, racconta ad Anna:

«Don X non mi aspettava, forse è una cosa che non ti ho mai detto».

Cosa?

«Che per molto tempo prima che mi facesse quello che ha fatto, mi rinfacciava tutte le volte che io arrivavo in ritardo, se ne andava scocciato e mi diceva che se non volevo andare da lui glielo avrei dovuto dire prima».

E tu?

«Io ci rimanevo molto male, mi faceva sentire molto in colpa, poi mi toglieva delle cose che mi aveva dato».

Che cose?

«A volte degli impegni con gli adolescenti o dei favori che mi chiedeva di fare». Ti ricattava.

«Non lo so, forse sì. Non ho voglia di dire tante cose».

ABUSE

“Mi faceva male in fretta”

La violenza condiziona anche i tempi di esecuzione di una qualunque azione. Una suora, abusata da una consorella, rammenta: «Lei arrivava sempre così, di fretta, non la si sentiva, ma era velocissima, faceva tutto in fretta, mi faceva male in fretta, forse è per questo che io ho paura quando vedo la fretta, mi fa confusione, mi agita».

“Ho paura di sporcare”

«Mi sento agitata – osserva un’altra suora – ho paura di sporcare anche se poi non lo faccio, sto sempre in piedi e cammino più male come un soldatino. Oggi veramente sentivo che avevo bisogno di lasciar uscire la tensione accumulata, che il mio pianto non era di disperazione come altre volte. Poi sono venuta a scrivere e ora devo proprio finire perché si è fatto tardi. Per fortuna ho sonno, spero di addormentarmi subito, anche se la giornata era troppo piena di emozioni. Ho notato anche un’altra cosa: mangio velocemente, con grande fame, mi butto sul cibo e lo divoro masticando poco. Mi fa ricordare ciò che mi diceva la mia mamma, che cioè quando avevo fame ingoiavo il cibo senza masticare bene e perciò poi rimettevo».

Avvicinarsi a Dio

Il superamento del trauma passa per un progressivo itinerario di riconciliazione con la propria storia e la capacità di volgersi verso una bellezza interiore che riapre, in un certo senso, anche il dialogo con Dio: verso di lui una donna che è stata vittima di un abuso può sentire vergogna e colpa.

«Come una sposa – dice una suora – Vorrei parlare a Gesù di tutto questo mettendomi dinanzi a lui tutta, così come sono, con la confidenza di una sposa che ama infinitamente il suo sposo, senza paura, senza vergogna, senza colpa, nell’amore non c’è timore, ma a volte l’ho sentito e vissuto. Vorrei risorgere dalle mie ferite; portandole come segno che mi ricorda l’amore fedele di Gesù che mi ha salvato».

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