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Come utilizzare bene i talenti che il Signore ci dona?

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Jackson David/Unsplash | CC0

don Luigi Maria Epicoco - pubblicato il 15/11/22

La vita vale la pena solo se siamo capaci di investire, di rischiare per qualcosa di grande. La mediocrità è bandita dal regno.  

Vangelo di mercoledì 16 novembre

Mentre essi stavano ad ascoltare queste cose, Gesù disse ancora una parabola perché era vicino a Gerusalemme ed essi credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro. Disse dunque: «Un uomo di nobile stirpe partì per un paese lontano per ricevere un titolo regale e poi ritornare. Chiamati dieci servi, consegnò loro dieci mine, dicendo: Impiegatele fino al mio ritorno. Ma i suoi cittadini lo odiavano e gli mandarono dietro un’ambasceria a dire: Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi. Quando fu di ritorno, dopo aver ottenuto il titolo di re, fece chiamare i servi ai quali aveva consegnato il denaro, per vedere quanto ciascuno avesse guadagnato. Si presentò il primo e disse: Signore, la tua mina ha fruttato altre dieci mine. Gli disse: Bene, bravo servitore; poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città. Poi si presentò il secondo e disse: La tua mina, signore, ha fruttato altre cinque mine. Anche a questo disse: Anche tu sarai a capo di cinque città. Venne poi anche l’altro e disse: Signore, ecco la tua mina, che ho tenuta riposta in un fazzoletto; avevo paura di te che sei un uomo severo e prendi quello che non hai messo in deposito, mieti quello che non hai seminato. Gli rispose: Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi. Disse poi ai presenti: Toglietegli la mina e datela a colui che ne ha dieci. Gli risposero: Signore, ha già dieci mine! Vi dico: A chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me».
Dette queste cose, Gesù proseguì avanti agli altri salendo verso Gerusalemme.

(Luca 19,11-28)

Gesù disse ancora una parabola perché era vicino a Gerusalemme ed essi credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro.

Questi versetti introduttivi che si trovano all’inizio del Vangelo di oggi, fotografano un atteggiamento personale e comunitario che di tanto in tanto si affaccia anche nella vita attuale: farsi molte domande sulla fine del mondo perdendo di vista il presente più immediato.

Ed è proprio per questo che Gesù racconta la parabola dei talenti. Tutto il racconto ruota attorno all’assenza di quest’uomo di nobile stirpe che è partito per un paese lontano e nessuno sa quando tornerà.

Nel frattempo ha affidato ai suoi servi dei talenti, e la cosa interessante è il rapporto che essi costruiscono su questo atto di fiducia.

Tutti investono su di essi, tranne uno che preoccupato di quando sarebbe tornato il padrone e del suo possibile severo giudizio fa questo ragionamento:

Signore, ecco la tua mina, che ho tenuta riposta in un fazzoletto; avevo paura di te che sei un uomo severo e prendi quello che non hai messo in deposito, mieti quello che non hai seminato.

Chi costruisce la propria vita sulla paura non può godere di nulla e raccoglie il vuoto. Non ha senso porci domande che ci fanno fuggire dal presente e dalla realtà.

Dobbiamo domandarci come possiamo impiegare bene del tempo e delle cose che il Signore ci ha dato oggi, diversamente accadrà per noi lo stesso destino di quel servo che pensando di preservare in realtà perde tutto.

La vita vale la pena solo se siamo capaci di investire, di rischiare per qualcosa di grande. La mediocrità è bandita dal regno.  

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