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A Napoli la Diocesi non sa cosa possiede?

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Vincenzo De Bernardo and Boris Stroujko / Shutterstock

Lucandrea Massaro - pubblicato il 08/11/22

Un lungo servizio di Report andato in onda ieri sera ha scoperchiato un situazione di malagestione del patrimonio in capo alla Curia di Napoli, ma è emerso tutto o solo quello che la Rai voleva?

Ieri su Rai Tre è andato in onda un servizio della nota trasmissione di inchiesta, Report. Il tema della puntata era incentrato sul patrimonio immobiliare della Diocesi di Napoli, ed un suo presunto utilizzo poco accorto.

Un patrimonio incerto e quindi difficile da difendere

Tra chiese affidate ad associazioni che si trasformano in teatri e centri congressi e una Curia vescovile che non sa esattamente cosa succede a decine di edifici di culto nel cuore della città partenopea, quello che emerge dalle risposte di Monsignor Vincenzo Doriano De Luca, portavoce Curia Napoli, è di un caos senza fine, fatto di incuria e sciatteria. Don De Luca scherzando dice “nessuno, nemmeno il Signore sa esattamente quanti edifici di culto ci sono nel centro storico di Napoli” ma poi ad un più attento bilancio risponde “noi ne contiamo 203 di cui 79 aperti al culto”, ma in alcune delle decine e decine ormai dismesse, si possono trovare situazioni paradossali: dagli abusi edilizi dei palazzi circostanti che cannibalizzano chiese in disuso, rubandone spazi e facciate, a catacombe trasformate – non si sa come – in deposito di una falegnameria, come accaduto alle cripte di Sant’Agostino alla Zecca, addirittura (sostiene chi le occupa) “privatizzate” e quindi in teoria perse per sempre al patrimonio diocesano. Ci sono molte chiese chiuse date in comodato d’uso gratuito ad associazioni che dovrebbero garantirne la cura e il decoro, ma così non è in molti casi. Ad aprire a questo genere di collaborazioni fu il Cardinale Vincenzo Sepe, quando era a capo della diocesi.

Edifici usciti dal controllo diocesano

Tutta l’inchiesta di Report partirebbe dalle segnalazioni del “fustigatore della Chiesa di Napoli”, il Cavalier Giacomo Onorato, detto “Giacomino” che ha tenuto traccia di molti di questi “abusi”. Tra gli esempi mostrati nel servizio, la Chiesa di San Potito è diventata un polo museale con tanto di biglietto d’ingresso senza che la Curia lo sapesse. Chiesa che in teoria è ancora consacrata.

Sul Messaggero del 2018 si trova anche un riferimento all’uso – poi sanzionato dalla curia con la rescissione del comodato – improprio delle chiese storiche, come quando quella di San Francesco delle Monache, in via Santa Chiara, conosciuta a Napoli come Domus Ars che nel 2013 ospitò una conferenza dai toni sciamaneggiati dell’artista Alejandro Jodorowsky sulla masturbazione femminile.

Di recente hanno fatto rumore le foto della festa di Halloween nella chiesa di San Gennaro all’Olmo, a Napoli (che da tempo non ospita più funzioni religiose) affidata dalla Diocesi in comodato d’uso ad una Fondazione per attività culturali: foto comparse sui social e siti internet con ragazze in abiti succinti, giovani mascherati da diavoli, una impiccagione simulata, oltre ai residui di plastica abbandonati sugli altari del ‘700.

La cittadella apostolica di don Cascella

Ma il cuore dell’inchiesta di malagestione del patrimonio napoletano, secondo Report che gli dedica circa metà della mezz’ora complessiva, riguarda la Cittadella di don Gaetano Cascella.

Nel 1979 la curia di Napoli eredita da don Gaetano Cascella, sacerdote partenopeo che aveva salvato molti nobili di Napoli dai rastrellamenti nazisti e che aveva ricevuto per riconoscenza moltissime donazioni in terreni, aveva messo in piedi una cittadella di migliaia di metri quadrati a Pozzuoli destinata nelle sue volontà testamentarie al sostentamento dei sacerdoti poveri e dei bisognosi e – sempre stando al testamento – con precise condizioni per la Diocesi che riceveva terreni e immobili.

Di nuovo il Cardinal Sepe, ex arcivescovo di Napoli, avrebbe trasformato la destinazione d’uso della cittadella apostolica – voluta da don Gaetano – per la sistemazione dei preti più anziani e le famiglie in difficoltà, in un hotel di lusso.

Dopo un primo tentativo di trasformazione negli anni 2000, affare poi saltato con un danno per la Curia di un milione di euro, “finalmente” nel 2017 il cardinal Sepe riuscì nell’intento di allocare a privati la proprietà, con un contratto di usufrutto per 18 anni all’imprenditore casertano Claudio Ferrara, politicamente vicino a Nicola Cosentino di Forza Italia, l’ex segretario di Stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Sarà quindi Ferrara a trasformare la proprietà in una struttura di lusso, il Grand Hotel Serapide. Il tutto per la cifra (assai modesta) di 666mila euro per tutti e 18 gli anni di usufrutto. Ed è di nuovo il Cavalier “Giacomino” ad aver portato la cosa all’attenzione della Procura.

Una ricostruzione monca?

Don Maurizio Patriciello, coraggioso parroco che combatte la mafia nella Terra dei Fuochi, sulla sua pagina Facebook da 150mila follower però non ci sta e racconta un “retroscena” del servizio di Report:

“Mi era sembrato strano che don Franco Cirino, mio amico, non avesse detto una sola parola riguardo a un bene della Curia di Napoli trasformato in un albergo. Ho telefonato subito al don Franco. Era basito. Di cose lui ne aveva dette, e tante. Tutte completamente tagliate da Report” , ha spiegato con schiettezza don Patricello “Don Franco, Economo della diocesi di Napoli, aveva spiegato agli italiani, credenti e non credenti, come stavano veramente le cose. Ma, evidentemente, a Report non interessava la verità – ha proseguito Padre Maurizio Patriciello – E ci ha propinato un servizio taglia-cuci per dire quello che fin dall’inizio avrebbe voluto dire”.

La questione è più complessa

In attesa che la Diocesi di Napoli dia una risposta articolata ai rilievi di Report specialmente sulla questione della Cittadella Apostolica, quello che possiamo aggiungere noi di Aleteia, ascoltati esponenti della Curia diocesana, è che nella ricostruzione di Report ci sono delle semplificazione che rischiano di non far capire i termini della questione all’ascoltatore meno addentro alle questioni giuridiche. Un esempio è il fatto che molte, se non tutte, le chiese mostrate nel servizio non siano affatto parte del patrimonio della diocesi, ma afferiscano ad enti morali ed ecclesiastici autonomi come ordini religiosi o arciconfraternite, ai quali sì il Cardinal Vincenzo Sepe dette il permesso di operare convenzioni, ma sotto la loro responsabilità, in quanto patrimonio dei suddetti enti.

Se un problema esiste – e certamente si può dire che c’è – è nell’omesso controllo da parte della Diocesi, in caso di abusi, ma questo (almeno in parte) ridimensiona a nostro avviso la questione.

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