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La domanda che può salvare il matrimonio: ci siamo sposati o ci hanno sposati?

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WavebreakMedia - Shutterstock

Orfa Astorga - pubblicato il 04/11/22

Sembrava che quella coppia fosse destinata alla separazione o al divorzio...

“Mia moglie e io attraversiamo una forte crisi di coppia e stiamo prendendo in considerazione l’idea di separarci, anche se abbiamo un figlio piccolo”, diceva addolorato un giovane uomo accompagnato dalla moglie.

“Chi lo avrebbe detto, sembra ieri che siamo andati felici a farci sposare dal giudice e dal sacerdote davanti ai testimoni”, ha aggiunto la moglie con lo stesso atteggiamento.

“Vi propongo di parlare dell’espressione usata da sua moglie: ‘farci sposare’, che molto probabilmente getta luce sul vostro problema”, ho detto.

“Ciò che è certo è che una cosa è costituirsi in un vero matrimonio e un’altra sembrarlo soltanto per il fatto di essersi sposati per le due ‘leggi’.

Qual è la differenza?

Per trovare la risposta possiamo chiederci: nel nostro rapporto con genitori, fratelli, figli…, ci basiamo sui documenti anagrafici per riconoscere i vincoli e trovare sostentamento per l’amore, la tenerezza, l’affetto e la fedeltà che proviamo nei loro confronti?”

“No, ovviamente no”.

“Certo, e questo è dovuto al fatto che i rapporti familiari sono una realtà naturale che si sente nelle viscere, e sono indelebili per il cuore, anche se scomparissero per sempre tutti i documenti che li confermano”.

L’importanza del consenso

“Significa che solo mediante il vostro consenso si può creare un vincolo d’amore, come l’atto più umano di cui la persona è capace, per amarvi tutti i giorni della vostra vita. Un vincolo che non può essere creato da un terzo attraverso una cerimonia religiosa o civile.

È così, perché si tratta di una realtà naturale, concepita nel cuore di chi si ama così. Come l’amore per il vostro bambino, che non è nato dentro di voi quando lo avete riconosciuto come tale, all’anagrafe, ma nel momento stesso in cui lo avete concepito.

Siete stati voi, quindi, a sposarvi, e non ad essere sposati”.

“Ma se è così… a che serve il matrimonio?”

“Contrarre matrimonio implica delle responsabilità sia per i contraenti che per la società stessa, per cui è necessario che si stabiliscano in un contesto legale e formale, ma si deve evitare la confusione per cui il matrimonio come realtà interpersonale e naturale venga assimilato a una realtà legale, formalista o burocratica, come se si trattasse di un semplice contratto”.

“E allora il divorzio?”

“È molto doloroso, perché anche quando i documenti dicono che due persone non sono più sposate, è lo spirito che resta irrimediabilmente danneggiato, perché si pretende qualcosa che non è naturale, come quando si pretende di disconoscere o di smettere di amare figli, genitori o fratelli.

Legami in cui possono certamente verificarsi allontanamenti o rotture, ma che non smettono mai di esistere, e per i quali la carne e lo spirito gridano. È a tal punto così che quando arriva la riconciliazione si recupera una grande gioia, e al contempo si versano molte lacrime”.

Si può salvare l’amore coniugale?

“Con l’amore coniugale succede lo stesso. È riparabile e salvabile, a volte a costo di lacrime, ma con un senso profondo, in cui si supera il dolore, si recupera la pace e si afferma la libertà interiore.

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L’amore nel matrimonio si può sempre recuperare

Quando non accade questo, ci sono anche coloro che, cercando di attenuare il dolore, dopo la rottura del matrimonio pretendono o dicono di rimanere buoni amici, cercando di sostituire l’amore coniugale con un altro tipo di amore, che non è più per l’altra persona in quanto uomo, in quanto donna, uniti nella totalità del loro essere”.

I due hanno deciso di recuperare una relazione che, hanno riconosciuto, apparteneva solo a loro, e che era una realtà naturale generata dalla parte più intima del loro essere.

E c’è stato un lieto fine.

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