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Una nuova mostra fotografica dà nuova umanità alle vittime di Auschwitz

AUSCHWITZ, OBÓZ
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Daniel R. Esparza - pubblicato il 31/10/22
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Ampliando dettagli spesso trascurati, la mostra va oltre lo sguardo degli aguzzini

La maggior parte delle fotografie che hanno modellato la nostra comprensione dei campi di concentramento è stata scattata da quanti hanno perpetrato l'Olocausto, non dalle vittime di Auschwitz. Come dice Harriet Sherwood, “sono le prove di un lavoro che veniva svolto: l'assassinio di più di un milione di persone”. Una nuova mostra a Londra vuole indicare che “queste fotografie non sono affatto fonti neutrali: stiamo guardando a un pezzo di realtà […] dal punto di vista nazista”, ha spiegato il curatore, Paul Salmons.

Nel suo articolo per The Guardian, la Sherwood cita l'opinione di Salmons circa l'importanza di questa mostra: “Bisogna fermarsi e analizzare [le fotografie] per vedere davvero ciò che rivela ogni immagine, non solo sul luogo e il momento, ma anche sugli autori, sulle persone ritratte, e perfino su di noi come spettatori”.

Le immagini incluse nella mostra provengono da un album scoperto da un sopravvissuto all'Olocausto. Indicato come “L'Album di Auschwitz”, conteneva 193 immagini scattate in un periodo di tre mesi nel 1944. Le fotografie documentano l'arrivo della gente nel campo di sterminio e come le persone che venivano mandate nelle camere a gas venissero “scelte”. Solo quell'anno, ad Auschwitz sono state uccise 400.000 persone, per la maggior parte ebree.

Salmons ha detto alla Sherwood che questo album fotografico è una “notevole fonte storica che ha dominato la nostra comprensione del luogo, ma è anche molto problematica […]. In queste immagini non c'è nulla di clandestino. Quello che vi vediamo è lo sguardo dell'assassino. Quando vediamo la gente arrivare o essere selezionata, vediamo quello che ci vogliono far vedere – un processo efficiente, qualcosa di cui vanno fieri”.

I fotografi erano probabilmente gli ufficiali delle SS Ernst Hofmann e Bernhard Walter. 

La mostra cerca di “riumanizzare” gli obiettivi della disumanizzazione ampliando dettagli spesso trascurati nelle fotografie: “Se guardiamo più da vicino quelle che [per il fotografo] sono folle senza volto, possiamo prendere degli individui, provare a riumanizzarli, analizzare le interazioni, ad esempio, tra un recluso e uno dei nuovi arrivati”, ha affermato Salmons. “Sappiamo che a volte i prigionieri sussurravano consigli affrettati anche se comportava un grande rischio. Molto spesso, i nostri occhi sorvolano su dettagli di questo tipo. In un certo senso, quindi, penso che questa mostra comporti il fatto di guardare più da vicino”.

Ulteriori informazioni sulla mostra qui.