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5 modi per un cattolico di festeggiare il vero Halloween della tradizione

BAMBINO CON ALI DA ANGELO PER HOLYWEEN

@Beatrice-Heydiri

Lucia Graziano - pubblicato il 30/10/22

Prima che il consumismo e la deriva horror sporcassero questa festa con i loro eccessi, All Hallows’ Eve – la vigilia di Ognissanti – era celebrata, da grandi e piccoli, con festeggiamenti di vario tipo. Festeggiamenti di stampo cristiano, va da sé: ne abbiamo isolati cinque, che vi riproponiamo.

Che fare, se un bimbo cresciuto in una famiglia cattolica chiede insistentemente di poter festeggiare Halloween, come fanno i suoi amichetti e i suoi compagni di scuola?

Ovviamente, ogni famiglia avrà ben modo di fare le sue valutazioni; e, del resto, a vantaggio di quelle famiglie che si sentono a disagio all’idea di festeggiare Halloween, molte parrocchie organizzano allegre festicciole suggestivamente rinominate Holyween: rigorosamente banditi zombie e streghette; via libera invece ai bimbi travestiti da santo

Apprezzabilissime iniziative; ma ipotizziamo che il bambino di cui sopra non si accontenti. Il piccoletto, quello che chiede ostinatamente di poter festeggiare Halloween, insiste nel dire che vuole farlo allo stesso modo dei suoi amichetti: con zucche, storielle paurose, dolcetti e così via dicendo. 

C’è spazio per questo tipo di attività, in una famiglia che vuole vivere in una dimensione cristiana? 

A me pare di sì, anche perché (sarà bene ricordarlo) il termine Halloween altro non è che la contrazione di All Hallows’ Eve, ovverosia “vigilia della festa di Ognissanti”: le più antiche tradizioni legate al 31 ottobre nascono per accompagnare una festa che era, all’epoca, profondamente cristiana. Se liberate da quegli eccessi horror e da quelle incrostazioni di consumismo che le hanno appesantite negli ultimi decenni, le originarie tradizioni di Halloween si mostrano per come erano un tempo: non certo anticristiane; né prive di valore.

Qui ne presento cinque, tutte da riscoprire (e magari anche da riproporre in casa, perché no?) 

1Preparare le soul cakes per ricordare le anime purganti 

Oppure il pan dei morti della Lombardia, o le ossa di morto che si mangiano in Sicilia; o qualsiasi altra specialità della propria tradizione regionale. Basterà fare una ricerca su Google per rendersene conto: la pasticceria italiana è strapiena di dolcetti di vario tipo che venivano consumati nel periodo di Ognissanti e che, fin dal nome, richiamavano quei morti di cui si fa memoria in questi giorni.

Non si trattava di appellativi messi lì per caso. Anticamente, questi biscotti venivano preparati il 31 ottobre e distribuiti ai mendicanti che ne facevano richiesta bussando di casa in casa, con la certezza di vedersi elargire qualche piccola elemosina. E la ricevevano; ché i dolcetti venivano distribuiti col sorriso, in cambio di una semplice promessa: quella di recitare un Requiem per i defunti che stavano a cuore a chi li stava regalando.

Certo, oggigiorno i tempi sono cambiati (anche se nulla vieta di tener viva la tradizione donando un po’ di cibo ai bisognosi!); ma le feste di questi giorni potrebbero essere l’occasione per riscoprire questi dolcetti dal sapore antico. Tra i mille esempi che si potrebbero fare, qui propongo la ricetta dei soul cakes, biscottini tipici della tradizione anglosassone e perciò strettamente legati all’Halloween irlandese. 

Questi gli ingredienti:

Burro: 175 grammi
Zucchero; 175 grammi
Farina: 450 grammi
Latte: 125 grammi
Ribes secco oppure uvetta: 100 grammi
Tre rossi d’uovo
Tre cucchiaini di spezie per dolci

Per la preparazione: tutti gli ingredienti vanno amalgamati bene in una ciotola. Si otterrà un composto dalla consistenza solida che va lasciato riposare in frigorifero per mezz’ora e poi steso con un mattarello fino allo spessore di 1 centimetro. A questo punto, si procede alla creazione dei biscotti, utilizzando (se si vuole essere aderenti alla tradizione) un coppapasta di forma rotonda, largo circa 10 centimetri. Tradizione vuole che ogni biscotto venga delicatamente inciso col coltello per creare una croce sulla sua superfice; a quel punto, i dolcetti sono pronti per essere passati in forno già caldo a 180°, per circa un quarto d’ora o comunque fino a doratura.

Simbolicamente, i pezzettini di frutta secca che fanno capolino dall’impasto rappresentano le anime purganti, strette attorno alla salvifica croce. Quelle stesse anime per cui appunto, in origine, si chiedevano preghiere: a suo modo, anche un biscotto può fare da… promemoria!

2Lasciare la tavola imbandita per accogliere le anime dei morti 

È una tradizione antichissima, attestata ovunque nell’Europa medievale e conservatasi fino a pochi decenni fa in quasi tutti i paesi a tradizione cattolica. A ben vedere, è possibile che molti dei nostri nonni ricordino di aver assistito a scene simili, quand’erano bambini (mio padre, classe 1947, lo ricorda benissimo e anzi ancor oggi tiene viva questa usanza).

Ma di che si tratta, esattamente?

Beh: nella notte tra il 1° e il 2 novembre (più raramente in quella tra il 31 ottobre e il 1° novembre, a seconda delle zone), le famiglie andavano a dormire lasciando la tavola apparecchiata, con mille prelibatezze in bella mostra sulla tovaglia. Destinatari di tutte queste dovizie erano, simbolicamente, i morti della famiglia, ai quali (secondo la tradizione) Dio concedeva la grazia di poter tornare sulla terra per qualche ora, in quella notte benedetta che era la vigilia della loro festa. 

Era ovviamente un ritorno lieto che i vivi attendevano con gioia, così come si aspetta la visita di un nonno che abita lontano: le tavole venivano imbandite proprio per sottolineare “concretamente” l’affetto con cui si immaginare di poter dare il bentornato a queste care anime. Si trattava di un simbolo, ovviamente, che non era però privo di significato: nella sua semplicità, questa tradizione sottolineava l’esistenza di una comunione che neppure la morte può spezzare. E anzi: ricordava che ci sono ancora molte cose che i vivi possono fare a vantaggio delle anime defunte! 

Le quali, va da sé, di certo non mangiano i cibi che sono stati lasciati per loro sulla tovaglia, e hanno bisogno di Messe e di preghiere. Ma, nel suo piccolo, anche una tavola apparecchiata a festa può essere un affettuoso richiamo alla preghiera.

3Accendere un lumino in onore dei morti

È una consuetudine che, in età moderna, era attestata in tutte le isole britanniche (e non solo). Gli Irlandesi avevano l’abitudine di intagliare rape e farne piccolissime lucerne decorate, con cui illuminavano le finestre di casa; da questa usanza, nel corso del XIX secolo, nacque la tradizione di fare lanterne con le zucche (decisamente molto più maneggevoli). 

I Gallesi, meno amanti dei fai-da-te, esponevano sui davanzali le candele di ogni giorno. In Scozia e nelle regioni settentrionali dell’Inghilterra, si accendevano grandi falò in piazza, come fanno molte città italiane in occasione della festa estiva di San Giovanni. Ma usanze simili a quelle anglosassoni erano diffuse anche in Italia; parlando di Halloween, è inevitabile citare le lumere della tradizione veneta: zucche intagliate con motivi geometrici o con faccioni bonari e sorridenti, che davvero ricordano molto da vicino il Jack o’ Lantern della tradizione anglosassone. 

Questi lumi erano l’omologo dei ceri che oggi portiamo sulle tombe dei nostri cari, nel corso della tradizionale visita al camposanto. Anticamente, le candele venivano accese direttamente in casa, in un omaggio ai defunti che diventava ancor più intimo e familiare; mentre la fiammella bruciava nella notte, grandi e bambini si riunivano attorno alla lanterna e passavano la serata in allegria: recitando qualche preghiera per i morti della famiglia; riportando alla memoria vecchi aneddoti che li avevano riguardati; non raramente, intrattenendo i piccoli con storielle di paura.

Che, sì: in una certa misura, sono sempre state associate alla notte di Halloween. Ma si trattava di storie con morale, spaventose perché mettevano in scena protagonisti che avevano condotto una vita dissoluta e che, una volta morti, si rendevano drammaticamente conto di ciò che accade ai peccatori impenitenti.

4Dare un senso alla zucca intagliata, raccontando la vera storia di Jack o’ Lantern 

La più celebre di queste storie ha addirittura dato il nome a quello che è il simbolo per eccellenza del moderno Halloween: il Jack o’ Lantern, cioè la zucca intagliata.

Secondo la leggenda irlandese, Jack era un bugiardo, uno spergiuro, un ladro e un truffatore. Era un individuo così orribile da aver colpito positivamente addirittura Satana; che un giorno, ammirato da contato peccatore, volle andare a incontrarlo di persona. Jack approfittò dell’occasione per sfidare il diavolo a una partita a dadi; e vinse, naturalmente, visto che fra le altre cose era anche un baro al gioco che usava oggetti truccati.

Il palio che era stato messo in posta per quella partita era niente meno che l’anima di Jack; e il diavolo, sconfitto, si trovò costretto a giurare che non l’avrebbe mai reclamata per l’Inferno nel momento in cui fosse giunta la sua ora.

Cullandosi in questa confortante prospettiva, Jack si abbandonò a una vita di totale dissolutezza; ormai anziano, morì senza neanche l’ombra di un pentimento, anzi fiero di se stesso e del brillante piano che aveva ordito.

Un piano che però presentava una grossa falla: da qualche parte, dopo la morte, bisogna pur andare. E il fatto che Satana non ne reclamasse l’anima per l’Inferno implicò certo che il Paradiso fosse disposto ad accogliere Jack; e neppure il Purgatorio fu considerata un’opzione praticabile, a causa della enorme quantità di peccati gravi che l’uomo aveva commesso, senza mai pentirsene. Da quel giorno (dice la leggenda) l’anima di Jack vaga sulla terra, rifiutata dall’Inferno e tuttavia impossibilitata a guadagnarsi una salvezza che non ha meritato. La zucca di Halloween che porta il suo nome, e che viene intagliata per trasformarsi in una lucerna, simboleggia il lumicino con cui l’anima in pena si fa strada in quel suo eterno vagare senza meta. 

Nella smorfia cattiva del moderno Jack o’ Lantern, alcuni leggono un segno della rabbia che Jack prova contro se stesso, quando ripensa alla sciocca alterigia con cui aveva presunto la sua salvezza; e anche se quest’ultimo dettaglio non è presente nella leggenda originale, si tratta d’una piccola aggiunta che, in fin dei conti, non stona troppo.

5Raccontare storie di paura…con morale

Se poi non ci si volesse limitare a quest’unica leggenda: beh, la tradizione cattolica offre centinaia di storie sulla stessa linea. Se vogliamo, anche molte agiografie presentano elementi a loro modo “spaventosi”: per citare un caso eclatante, le storie dei santi che lottarono contro il demonio sono capaci di regalare ben più d’un brivido di paura. 

E che dire poi delle vite dei martiri, con le orribili torture sopportate dai campioni della fede? Qualche genitore potrebbe persino sbizzarrirsi nel creare una festa di Halloween interamente ispirata ai santi più famosi: tra i denti cavati di sant’Apollonia, il piattino con gli occhi che santa Lucia si porta appresso, i lembi di pelle di san Bartolomeo scuoiato vivo e il coltellaccio che san Pietro martire ha conficcato nella testa, ci sarebbe veramente l’imbarazzo della scelta per un costume perfettamente agiografico… e assolutamente spaventoso al tempo stesso!

Ma, per chi si volesse divertire con storie forse meno note, qui raccolgo una decina di leggende con morale, che ben si prestano a far scendere un brivido lungo la schiena. Tra lupi mannari, draghi minacciosi, maghi cattivissimi e anime dolenti, la tradizione cattolica non ha proprio niente da invidiare alle paurose storie di Halloween! Anzi, ha anche un lieto fine garantito: naturalmente, all’insegna del non prevalebunt. 

E per chi invece preferisse… la via del martirio, ecco alcune storie realmente spaventose:

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