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Abusi e riconciliazione: come ricostruire la Chiesa sfregiata dal peccato? 

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TABLICA POŚWIĘCONA PAMIĘCI OFIAR PRZEMOCY SEKSUALNEJ

LOIC VENANCE/AFP/East News

Benoist de Sinety - pubblicato il 24/10/22

In una comunità ecclesiale deturpata dalle colpe dei suoi membri, non basta che qualcuno chieda perdono. Bisognerà piuttosto rivolgersi, tutti insieme, verso coloro che sono stati respinti e scandalizzati.

Circa trentacinque anni fa, entravo in seminario. Diventare prete era ancora un impegno riconosciuto e possibile per un certo numero di giovani – più raro che in passato, ma insomma. Numi tutelari e rassicuranti, nella perennità della Chiesa di Francia, ci confortavano nella speranza che l’avvenire – benché fosse grave – non era vero di promesse. Il Papa veniva spesso a visitare il nostro bel Paese e vi fiorivano ancora le porpore cardinalizie – a Parigi come in provincia: questi erano ricevuti, insieme con alcuni teologi e intellettuali cristiani, sulla scena del dibattito pubblico, che in tal modo andavano ad alimentare. 

Di fianco a Lustiger, Decourtray, Frossard, Rémond, c’erano de Lubac e Congar, vegliardi ma pur sempre loro, e molti “fondatori” che con un largo sorriso ci promettevano di aver trovato la quadra per rendere di nuovo cristiani i nostri fratelli. Ogni domenica mattina, ogni stazione radio “periferica” lasciava la parola al giornalista incaricato di coprire l’attualità religiosa. Personaggi di rilievo guardavano con sufficienza l’Azione Cattolica, che volentieri dicevano essere esangue, e molti pretendevano di poter assicurare essi soli la missionarietà del futuro. 

Sappiamo che il volto del prete di domani sarà sicuramente molto diverso da quello del prete di oggi, e facciamo ancora fatica ad accettare che possa essere tanto distante da quello di ieri. Reclamiamo battendo i pugni che ci sia presentata una “spiritualità del prete diocesano”. Ne parliamo molto, tra noi, e ognuno ci mette quel che sognava: il tipo di preghiera, la vita comunitaria, l’organizzazione delle giornate, figure mistiche da porre a modello e ispirazione… Spesso eravamo inviati, in estate o nel resto dell’anno, una volta alla settimana, a stare con bambini e giovani (colonie, campi, catechesi, cappellanie…). Essere seminaristi e futuri preti e giocare con dei minorenni non era ancora attività sospetta, non c’era da sentirsene in colpa. I nostri formatori ci spiegavano che un domani si sarebbe dovuto lavorare con i laici in nome del concetto di “corresponsabilità” (che si faticava a definire bene), e dunque mano a mano che si andava avanti capivamo che le cose non sarebbero state così semplici. 

L’immagine (rassicurante) del “prete che decide” restava, tuttavia, e sembrava insuperabile. Trasecolavamo ai racconti di certe province, lontane dalla nostra periferia parigina, donde giungevano voci su parrocchie nelle quali dei fedeli avevano “preso il potere”, anche se non ci sentivamo a nostro agio neppure con le affermazioni maciste o un poco sprezzanti che uscivano dalle nostre bocche quando commentavamo quei movimenti. Cominciavano a svelarsi i primi scandali (im)morali di ecclesiastici depravati, ma era roba di Oltreoceano, oppure veniva dall’Austria: insomma non ci riguardava troppo. Da noi la Chiesa era povera, era fedele, era retta. Il tempo passò. 

L’inverno che viene 

Ed eccoci testimoni di un dramma al quale il nostro amor proprio non era preparato. Tutto all’intorno è una ecatombe: una marea di vittime e qualche drappello di farisei determinati a minimizzarne l’importanza ad ogni costo; decisioni prese d’urgenza da responsabili di cui scoprivamo, sconvolti, che talvolta anch’essi potevano essersi comportati da delinquenti sessuali, miserabili e non sempre inconsapevoli complici di coloro sui quali, come vescovi, avrebbero dovuto vegliare… Che resta di quelle comunità nuove che si innalzavano, orgoglioso stendardo di una reconquista promessa? Quali frutti erano ancora possibili per i Legionari di Cristo, il cui fondatore rifiutò (ultima provocazione al Cielo) di ricevere i sacramenti sul letto di morte? E il rinnovamento teologico promesso da fr. Philippe? Quali promesse per l’avvenire – profetizzate ieri nell’euforia del Rinnovamento – possono ancora essere mantenute? E da chi? 

Dopo la primavera promessa, ecco ora che arriva l’inverno. Ci fiocca sulle spalle, grave del peso dei nostri accecamenti; gelido delle nostre illusioni di riuscire a costruire il Regno coi nostri propri meriti. Ed ecco che all’improvviso molti semplicemente non ci sono più – rigettati dalle nostre grandi messe trionfanti perché troppo peccatori per poter presenziare, indubbiamente. Ma precisamente… non è appunto lì il piccolo germoglio di speranza che già spunta da sotto la coltre nevosa, impedendole di gelare tutto? Non sono quegli uomini e donne che ieri guardavamo come dei poveretti, come dei peccatori ai quali pensavamo di dover insegnare a vivere, anzi ai quali pensavamo di spiegare la Vita – sì, non c’è lì il germe di qualcosa? 

Ogni battezzato prenda il proprio bastone da camminata 

Si è chiesto perdono alle vittime di stupri e di abusi sessuali commessi da chierici o da responsabili laici nel corso degli ultimi cinquant’anni. Ma non è ance verso tutti quelli che hanno avuto la sensazione di non poter essere accolti nella Casa del Padre che dobbiamo oggi rivolgerci? Dicendo loro non tanto di tornare, ma di accettare di ricostruire con noi questa Chiesa che, benché resti santificata da Cristo, è nondimeno marchiata dalla lebbra del peccato di ciascuno dei suoi membri. 

Non deleghiamo il potere di questo perdono ad alcuni di noi – per quanto possano essere eminenti. È ormai ora che ne siamo i portatori per tutti quelli che attorno a noi si sono sentiti feriti o rigettati: 

Vieni, amico, e discutiamo. Lo Spirito mostri agli uni e agli altri come rialzare ciò che è stato abbattuto per la colpa del nostro orgoglio e del nostro rifiuto di vedere… 

La posta in gioco è troppo grande perché soltanto alcuni se la intestino: nessuno ha, da solo, la competenza necessaria – in nessuna parrocchia, in nessuna comunità, in nessuna diocesi. Che ogni battezzato prenda il proprio bastone da camminata e indossi calzature adatte: bisogna che avanziamo nel deserto in cui Dio ci dice di andare. Nutriti dalla presenza santificante dell’Agnello, ciascuno con le nostre forze e i nostri talenti, non abbiamo nulla da temere. Parliamo, discutiamo, dialoghiamo, preghiamo e – allora – costruiamo! 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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