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Hate speech: No all’odio in rete! 

hate speech

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Umberto Macchi - pubblicato il 18/10/22

Bisogna educare al rispetto online e insegnare a dire no alle discriminazioni, al razzismo e ai comportamenti stereotipati e intimidatori. 

Che cos’è 

Per hate speech o discorso d’odio si intendono quelle espressioni d’intolleranza rivolte contro delle minoranze, un fenomeno sempre più presente nelle nostre società e che in buona parte è legato alla comunicazione online. Il fenomeno di “incitamento all’odio” indica discorsi (post, immagini, commenti) e pratiche (non solo online) che esprimono odio e intolleranza e che rischiano di provocare violente reazioni a catena. Più ampiamente, il termine indica un’offesa fondata su una qualsiasi discriminazione (razziale, etnica, religiosa, di genere o di orientamento sessuale, di disabilità eccetera) ai danni di una persona o di un gruppo. 

Il fenomeno dell’incitamento all’odio trova diffusione in rete e nei social network, dove si garantisce il diritto all’anonimato, ed è diventato un fenomeno poco governabile che sta infestando Internet. L’hate speech ha a che fare non solo con il mondo dei ragazzi, vedi i casi di cyberbullismo, ma anche con quello degli adulti. Principale bersaglio dell’odio via web sono le donne, vittime del 63% dei tweet negativi analizzati, seguite dagli omosessuali, 10,8%, dagli immigrati, 10%, dai diversamente abili (6,4%) e dagli ebrei (2,2%).  

Come e dove si presenta 

Secondo alcune ricerche, nove giovani su dieci ritengono che i discorsi d’odio siano un fatto molto grave, ma uno su dieci (il valore sale nei giovani con bassa scolarità) lo ritiene normale. Il 73,2% degli intervistati dichiara di non aver mai postato contenuti che potrebbero essere ritenuti hate speech, il resto lo ha fatto almeno una volta. Secondo gli intervistati, per contrastare questi episodi è necessaria una segnalazione alle piattaforme o ai siti (78,4%), far eliminare da parte delle autorità l’hate speech (73,3%), applicare censure da parte delle piattaforme e dei siti (70,1%). Esiste una maggioranza silenziosa (il 58%) che crede possibile un web migliore, una zona grigia che va sensibilizzata ed educata (il 32%), e infine un 10% di irriducibili con cui bisogna lavorare solo in termini di contenimento del danno. 

Cosa dice la legge 

Nel mondo occidentale l’incitamento all’odio è considerato reato e sanzionato come tale. Tuttavia,

un aspetto un po’ delicato della perseguibilità dell’incitamento all’odio è quello della sua compatibilità con la libertà di espressione. Il movimento CRT (Critical Race Theory), un movimento di giuristi nato negli anni ottanta del Novecento, ha evidenziato quanto la libertà d’espressione, simbolo e valore fondante delle odierne democrazie occidentali, spesso giochi a sfavore delle minoranze, e come la protezione della libertà di parola possa trasformarsi in un facile strumento di offesa e di incitamento al disprezzo. 

Il Novecento, per esempio, con la teorizzazione pseudoscientifica della superiorità della razza e i nazionalismi, ha rappresentato uno dei momenti storici in cui si è ricorso in maniera massiccia a discorsi di incitamento all’odio. Fu proprio nel XX secolo che si cominciò a parlare di hate speech negli Stati Uniti, per giungere, negli anni venti, ai primi testi legislativi che si proponevano di tutelare le minoranze di ebrei e neri. 

Come prevenirlo e combatterlo 

Una pratica comune è quella della moderazione dei commenti da parte di piattaforme e testate giornalistiche. Il Fatto Quotidiano passa al vaglio tutti i commenti per l’approvazione prima della pubblicazione; La Stampa, invece, ha deciso di chiudere i commenti sul sito concentrando gli sforzi di condivisione e moderazione sui vari social network; YouTube vieta esplicitamente l’incitamento all’odio, inteso secondo la definizione generale di linguaggio offensivo di tipo discriminatorio; Facebook lo vieta ma ammette messaggi con “chiari fini umoristici o satirici”; Twitter non vieta né cita esplicitamente l’incitamento all’odio, eccetto che in una nota sugli annunci pubblicitari. 

Lo sviluppo delle competenze digitali e la media education, inoltre, assumono un ruolo centrale anche per la promozione della consapevolezza di queste dinamiche in rete, e dovrebbe essere promossa tra le giovani generazioni nell’ottica di favorire il coinvolgimento e la partecipazione contro ogni forma di violenza e discriminazione. 

Occorre fornire ai più giovani gli strumenti necessari per decostruire gli stereotipi su cui spesso si fondano forme di hate speech e promuovere la partecipazione civica e l’impegno anche attraverso i media digitali e i social network. La campagna nohatespeech, per esempio, volta a contrastare la diffusione dell’odio come responsabilità etica del giornalismo, ha incoraggiato la pratica di coinvolgere attivamente la community con la richiesta di segnalare e isolare le provocazioni.

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