La sera del 4 ottobre 1582, una buona parte della cattolicità si infilò sotto le coperte e andò a dormire per risvegliarsi il 15 dello stesso mese. Naturalmente, non si era trattato di un attacco di narcolessia collettiva: semplicemente, in quella notte era entrato in vigore il calendario gregoriano.
La storia è nota, ma merita d’esser riassunta per sommi capi: la riforma nasceva con lo scopo di apportare alcune correzioni al calendario giuliano, entrato in vigore nel 46 a.C. Purtroppo, quel calendario presentava alcune piccole imperfezioni di calcolo, che non erano state notate ai tempi dell’Antica Roma ma che erano balzate all’occhio degli astronomi rinascimentali. Col passar dei secoli, tanti errori di poco si erano sommati dando origine a un problema macroscopico: il calendario giuliano non era più allineato al reale ciclo delle stagioni; i solstizi e gli equinozi non corrispondevano più alle date in cui li segnava il calendario. Vale a dire: la primavera, per convenzione, iniziava il 21 marzo, ma in realtà il sole si trovava in equinozio attorno all’11 del mese - uno scarto di dieci giorni abbondanti!
Determinato a risolvere il problema, papa Gregorio XIII radunò attorno a sé un team di studiosi che approntò un metodo di calcolo più preciso, impedendo il ripetersi di questo errore attraverso l’uso degli anni bisestili. Bisognava però fare qualcosa per correggere il disallineamento che si era creato nel frattempo, e si scelse di agire con metodo chirurgico: dal 1582 furono “asportati” dieci giorni; quelli che appunto andavano dal 5 al 14 del mese di ottobre. Ne sa qualcosa santa Teresa d’Avila, che entrò in agonia nella sera del 4 ed esalò il suo ultimo respiro il 15 mattina: nell’arco di quelle poche ore, la riforma del calendario aveva avuto luogo.
Naturalmente, cancellare dieci giorni dell’anno con un colpo di spugna non è quel tipo di cosa che si fa a cuor leggero. E in effetti vien da chiedersi: ma perché fu proprio il papa a doversi prendere la briga di coordinare questa rognosissima operazione, inevitabilmente destinata a generare proteste e confusione?
Qualcuno potrebbe anche dire: ma ne valeva la pena? In fin dei conti, cosa cambia se il calendario appeso al muro non è perfettamente in linea coi movimenti del sole?
Una riforma necessaria
Quello di Gregorio XIII non era solamente un puntiglio da scienziato pazzo: talvolta tendiamo a sottovalutare quest’aspetto, ma la data della Pasqua viene calcolata a partire dall’equinozio di primavera. Dipende da questo il cardine dell’anno liturgico, e le discussioni sul miglior modo di calcolare la data della Pasqua avevano generato, nei primi secoli di Storia cristiana, violentissimi litigi, minacce di scismi e sinodi convocati apposta per dirimere la questione. Quando Gregorio XIII fu informato del fatto che il “vero” equinozio di primavera cadeva in una data significativamente diversa rispetto a quella indicata sul calendario, la gravità della situazione fu immediatamente chiara: bisognava fare qualcosa per eliminare la discrepanza!
Fortunatamente, c’era chi era già pronto a correre ai ripari: per buona parte della sua vita, un astronomo calabrese di nome Luigi Lilio aveva dedicato i suoi studi all’annosa questione. Lo scienziato era già morto nel momento in cui le sue ricerche furono presentate a Gregorio XIII; e tuttavia, furono proprio i suoi studi a porre la base per la riforma calendariale che il papa affidò a un team di tutto rispetto, capeggiato da Vincenzo di Lauro, vescovo di Mondovì ed esperto in astronomia. Dopo anni di lavori, con la bolla Inter gravissima del 24 febbraio 1582, Gregorio XIII annunciava l’adozione del nuovo calendario, che sarebbe appunto entrato in vigore a partire dal 4 ottobre. Una storia a lieto fine, se non fosse per un piccolo dettaglio: non è facile stravolgere il calendario; nemmeno se si è il papa.
Una riforma contestata
Con la sua bolla, Gregorio XIII aveva imposto l’adozione del nuovo calendario all’unica categoria umana cui poteva ragionevolmente permettersi di dare ordini: e cioè, ai Cattolici. Già questo sarebbe bastato a tagliar fuori una larga parte d’Europa, ma va detto che neppure i Paesi a maggioranza cattolica mostrarono troppo entusiasmo per la strampalata richiesta di rinunciare a dieci giorni del mese, con tutto il caos burocratico conseguente. La Francia accettò di uniformarsi al calendario gregoriano, ma per comodità volle farlo alla fine dell’anno; i Paesi Bassi adottarono il nuovo calendario nel 1583; l’Austria e la Baviera nel 1584.
I Paesi protestanti rifiutarono nella maniera più assoluta di piegarsi a quel diktat papalino. La loro opposizione non era di natura scientifica, ma aveva motivazioni apertamente ideologiche: l'idea che il papa di Roma pretendesse di governare il mondo al punto tale da cambiare addirittura la data segnata sul calendario pareva loro un affronto intollerabile. In questa riforma, gli intellettuali protestanti videro addirittura una conferma della malvagità del papa: il teologo James Heerbrand, per esempio, accusò Gregorio XIII di volersi sostituire a Dio nel regolare il corso del tempo.
Fu un’opposizione ferma e violenta, e non priva di effetti pratici: gli Stati che rifiutavano di uniformarsi alla riforma vivevano “dieci giorni indietro” rispetto ai loro vicini di casa, con le pittoresche conseguenze burocratiche del caso.
La Prussia fu la prima ad ammorbidire le sue posizioni per ragioni di comodità, rassegnandosi ad adottare il nuovo calendario a partire dal 1610. Ma fu un caso isolato: gli altri Paesi accettarono di mettersi al passo solo nel XVIII secolo, quando fu Liebniz in persona a… fare da influencer, esprimendosi a favore del calendario gregoriano forte della sua enorme popolarità. Entro il 1753, il calendario “papista” aveva conquistato tutta l’Europa protestante.
Problema risolto? Proprio per niente: mancavano all’appello gli Stati a maggioranza ortodossa, per i quali il calendario giuliano era divenuto col passar dei secoli una specie di vessillo ideologico che ne sottolineava la distanza culturale dall’Europa. Impossibile non citare a questo punto la “rivoluzione di ottobre” che fece tremare l’Impero zarista; in realtà, era ottobre solo in Russia: secondo il resto del mondo, i moti di piazza avevano avuto luogo il 6 e il 7 novembre.
Fu proprio la rivoluzione a determinare in Russia un cambio di rotta: il nuovo governo si unì presto all’Europa occidentale nell’adozione del calendario gregoriano, spinto dalla volontà di prendere le distanze dalle idiosincrasie zariste. Questo esempio sensibilizzò anche gli altri Paesi di cultura ortodossa: la Bulgaria si mise al passo nel 1918; la Jugoslavia e la Romania seguirono a ruota nel 1919; l’ultima a unirsi fu la Grecia, che adottò il calendario gregoriano nel febbraio 1923.
All’epoca, mia nonna aveva due anni. Un pensiero che fa venire le vertigini, se pensiamo che i primi Stati ad aderire la riforma avevano adottato il calendario gregoriano in un’epoca in cui non era ancora stata scoperta l’Australia.