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Perché i monasteri attirano tanto i non credenti?

Geoffroy Kemplin OSB

i.Media per Aleteia - pubblicato il 17/09/22

Padre Geoffroy Kemlin, nuovo superiore dell'abbazia benedettina francese di Solesmes, nota in tutto il mondo per aver riscoperto il canto gregoriano, rivela dettagli del suo incontro recente con Papa Francesco

Ad appena 43 anni, il sacerdote benedettino Geoffroy Kemlin è stato scelto come superiore non solo della storica abbazia di Saint-Pierre di Solesmes, in Francia, ma di tutta la congregazione di Solesmes, a cui ascritti 24 monasteri benedettini di monaci e otto di monache in tutto il mondo, tra cui quelli spagnoli di Santo Domingo de Silos, San Salvador de Leyre e il Valle de los Caídos. 

Attualmente, queste comunità sono formate da circa 600 monaci, 175 monache e 115 religiose serve dei poveri (oblate benedettine ascritte alla congregazione).

L’abbazia di Saint-Pierre di Solesmes, più che millenaria, essendo stata fondata nel 1010, è nota in tutto il mondo per aver recuperato nel XIX secolo il canto gregoriano, riprendendone l’interpretazione musicale originale.

In questa intervista, il giovane abate rivela alcuni dei temi che ha affrontato con Papa Francesco venendo ricevuto in udienza privata il 5 settembre.

Perché ha incontrato Papa Francesco?

La settimana scorsa ha avuto luogo il sinodo degli abati benedettini a Subiaco (abbazia fondata da San Benedetto nella prima metà del VI secolo vicino Roma). Questo incontro annuale avrebbe dovuto essere celebrato in Polonia, ma per via della guerra in Ucraina e dell’accoglienza dei rifugiati nel monastero che doveva ospitarci abbiamo deciso di andare a Subiaco.

Visto che sono stato appena eletto abate, ho approfittato della mia permanenza in Italia per trascorrere qualche giorno a Roma per conoscere la sede dell’Ordine di San Benedetto a Roma, Sant’Anselmo, e visitare alcune congregazioni. Con un po’ di audacia, ho chiesto di essere ricevuto dal Papa e mi ha concesso un’udienza.

Com’è stata?

È stato un momento molto bello. Il Papa è stato molto paterno e fraterno con me. Sono arrivato con delle domande sulla liturgia, dopo la pubblicazione della lettera apostolica in forma di motu proprio sull’uso della liturgia romana precedente alla riforma del 1970 Traditionis custodes, nel 2021. Mi ha chiarito alcuni punti, e mi sento soddisfatto.

Quanto al modo di fare le cose a Solesmes, la sua risposta è stata interessante. Mi ha detto: “Mi trovo a duemila chilometri dal monastero. Sei un monaco, e il discernimento è una cosa propria dei monaci. Non ti dico né ‘Sì’ né ‘No’, ma ti lascerò discernere e prendere la tua decisione”. Questo consiglio, che il Papa aveva già dato ai vescovi francesi che sono venuti a trovarlo, è molto paterno.

Mi sento quindi libero e tranquillo. Quando dovrò prendere una decisione, so che farò ciò che vuole Papa Francesco.

Sentiva che il Papa è consapevole della “turbolenza” che la Traditionis custodes ha provocato in alcune parti della Chiesa?

Gli ho raccontato com’è stato percepito questo testo in Francia e perché ha provocato malintesi tra i cattolici che si sentono legati alla forma straordinaria del rito romano [la Messa in latino secondo il messale precedente al Concilio Vaticano II].

Mi ha spiegato com’erano andate le cose. Mi sembra che fosse già al corrente della situazione, e mi ha anche assicurato che quello che gli stavo raccontando gli era già stato trasmesso con altri canali. Sono uscito da quell’incontro tranquillizzato e rafforzato nel mio ruolo di abate per discernere le situazioni. Questa fiducia del Santo Padre è decisamente apprezzabile.

A differenza del suo predecessore Benedetto XVI, Papa Francesco sembra essere più lontano dalla tradizione monastica benedettina. Come vi ispira a livello spirituale questo pontificato?

Ci invita a non accontentarci. Papa Francesco ci fa riflettere sul nostro stile di vita. Ci invita a riscoprire i nostri valori e ci chiede perché siano importanti per noi. In qualche modo, ci radica nella nostra vita di monaci benedettini. Il Papa ci aiuta anche a correggere certi aspetti, come adagiarci, conformarci a vivere in clausura senza preoccuparci di ciò che accade fuori. Questo non è Vangelo.

Non credo che possiamo opporre i Papi tra loro. Benedetto XVI aveva ovviamente un’evidente sensibilità nei confronti di San Benedetto, ma i Papi formano una continuità, e ciascuno apporta una piccola nota. Sarebbe un grande errore scartare un Papa perché non assomiglia ai suoi predecessori. C’è sempre qualcosa da imparare da un Pontefice. Almeno è questo che lo Spirito ci chiama a vivere.

Il tema delle periferie è centrale per Papa Francesco. Dal 2013, chiama i fedeli cattolici a uscire dalla propria zona di comfort. Cosa significa per un monaco questa chiamata a uscire verso le periferie?

Nelle nostre foresterie arrivano quelli che potremmo definire “buoni cristiani”, che vengono a “ricaricare le pile”, ma bussano alla porta anche molte persone di altre religioni o non credenti. Sono le “periferie” che vengono a farci visita. Credo che in qualche modo i monasteri attirino queste periferie.

Papa Francesco ci invita ad accoglierli davvero. È così che accogliamo la sua chiamata, non uscendo dalle nostre mura, ma essendo disponibili e attenti nei confronti di chi viene a farci visita.

Cosa crede che attiri queste persone?

Credo che sia il nostro stile di vita radicale, una vita che è diversa da tutto quello che si può trovare nel mondo. Probabilmente vengono a cercare un rifugio. Dobbiamo lasciarci interrogare, chiederci cosa lo Spirito vuole che facciamo quando incontriamo queste persone.

Devo dire che molte volte il monaco incaricato della foresteria o quello a cui è affidata l’accoglienza mi si è avvicinato e mi ha detto: “Ho conosciuto una persona che a prima vista mi ha fatto fare un passo indietro, ma pensando a quello che ci insegna Papa Francesco mi ha sono detto che sono le periferie sono queste, per cui non dobbiamo dubitare e dobbiamo accoglierle”.

Lo scorso anno, Papa Francesco ha avviato il sinodo sulla sinodalità, un vasto progetto di due anni che si concluderà nell’ottobre 2023. Come partecipa un monastero benedettino a questo sinodo?

Nella Regola di San Benedetto c’è il famoso terzo capitolo in cui si parla della sinodalità. Benedetto spiega che l’abate ha un potere assoluto nel governo della comunità, ma che dev’essere consigliato per ogni decisione.

Se la questione è importante, deve consultare il Capitolo. Benedetto chiarisce che deve chiedere l’opinione di tutti i fratelli, anche dei più giovani. Per le decisioni meno importanti, l’abate consulta il suo Consiglio, attualmente in parte eletto dalla comunità e in parte nominato dall’abate stesso.

L’esercizio della sinodalità è difficile nella vita quotidiana?

Ha le sue insidie. C’è un proverbio africano che dice: «Se vuoi andare velocemente vai da solo, ma se vuoi arrivare lontano cammina con altri». Questo è sempre vero. Ci sembra che in squadra lavoriamo più lentamente, ma è più fecondo per la vita monastica. Coinvolgere i monaci in un progetto contribuisce al fatto che lo accettino.

In quest’epoca di sinodo, i monaci hanno qualcosa da dire alla Chiesa?

La Regola di San Benedetto è certamente molto utile. Di fatto, si menziona nei documenti del sinodo. Nel documento preparatorio, ad esempio, è scritto che San Benedetto sottolinea che “il Signore rivela spesso la decisione migliore” a chi non ricopre incarichi importanti nella comunità, e quindi gli organizzatori del sinodo hanno già fatto ricorso alla Regola benedettina.

Da parte nostra, noi monaci dobbiamo assicurarci di non vivere ai margini di quello che chiedeva San Benedetto.

La Chiesa in Occidente è in crisi. Il numero di Battesimi diminuisce inesorabilmente, come anche quello delle vocazioni sacerdotali. A volte, però, si ha l’impressione che questa crisi risparmi i monasteri. Qual è la situazione?

A Solesmes siamo forse meno consapevoli di questa crisi. La nostra casa per gli ospiti è piena, e c’è gente che viene a Messa la domenica. La situazione, ad ogni modo, non assomiglia affatto a quella degli anni Sessanta del secolo scorso, quando per venire a Messa bisognava prenotare. Mi dicevano che c’era una fila che arrivava fino in strada.

Anche se non sperimentiamo un calo del numero di persone che vengono nella nostra foresteria, constatiamo una diminuzione delle vocazioni. La crisi delle vocazioni non si è sentita davvero negli anni Settanta, quando venivamo percepiti come monasteri “conservatori”.

Non abbiamo sperimentato le turbolenze del periodo successivo al Concilio Vaticano II, ma dagli anni Novanta i numeri hanno iniziato a diminuire. Nel 1995 c’erano circa 25 novizi, oggi ne abbiamo quattro. Attualmente siamo 42 fratelli in totale. È un buon numero, è vero, ma una quarantina di anni fa eravamo cento.

La cosa comunque non mi preoccupa. Nella storia, come sappiamo, ci sono fluttuazioni. Nella prima metà del XIX secolo, ad esempio, c’erano pochissime vocazioni, e se in Europa questa crisi ci colpisce, non accade lo stesso in altre regioni del mondo, come l’Africa, dove non sanno più dove accogliere i postulanti.

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