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Kazakistan, giorno 1: Francesco nella steppa del futuro 

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FILIPPO MONTEFORTE | AFP

Camille Dalmas - pubblicato il 14/09/22

Dall’arrivo di papa Francesco in Kazakistan, i.Media ha seguito i primi passi del pontefice a Nur-Sultan, la sbalorditiva capitale del Paese.

Dopo aver sorvolato per ore gli altipiani ocra dell’Asia centrale, il Pontefice è atterrato nel tardo pomeriggio del 13 settembre all’aeroporto internazionale di Nur-Sultan, collocato alle porte della capitale del Kazakistan (un tempo chiamata Astana). Dallo strano terminale sormontato da una cupola, donde è sceso in sedia a rotelle, si poteva vedere di lontano la città, strana metropoli scintillante dalle forme avanguardiste, spuntata come un fungo nel bel mezzo della grande steppa kazaka. 

Fino al 1991 e all’indipendenza del Paese, il piccolo borgo che si trovava lì portava il nome (assai appropriato) di “Tselinograd” – “città delle terre vergini” in russo. Prese in seguito il nome di Astana, nel 1998, ossia “la capitale” in lingua kazaka, e così sostituì in questa veste la ex capitale sovietica, Almaty. Sotto l’impulso del primo presidente, Nur-Sultan Nazarbaiev – il cui nome è stato usato nel 2019 per l’ultimo cambio onomastico – la piccola città un tempo isolata nelle sconfinate praterie fu concepita come una vetrina del Paese. 

La prima giornata del pontefice argentino in questa strana città, dove hanno operato i più grandi nomi dell’architettura del XX secolo (come Kisho Kurokawa o Norman Foster) è consistita principalmente nel circolare in questo panorama dove tutto è oroazzurro – i colori della bandiera kazaka –, vetri e metalli cromati. Il pontefice è stato quindi accolto con fasto e onore ad Ak Orda – cioè la “Casa Bianca” –, palazzo presidenziale di Nur-Sultan dalla cupola d’un blu vivace sormontata da una guglia dorata. In mezzo a imponenti colonnati di similmarmi della sala d’onore (che suonavano vuoti), davanti a muri tappezzati da sbalorditivi arazzi narranti l’epoca in cui i cavalli dominavano le piane dintorno, e sotto immensi lampadari rutilanti, il Papa ha ascoltato la guardia d’onore del palazzo ruggire l’inno nazionale del Paese. 

Il Pontefice ha quindi pronunciato un discorso nel “Kazakh Concert Hall”, stupenda struttura in vetro blu-bluastro immaginata da due architetti italiani, che potrebbe essere stata concepita per illustrare la tettonica a zolle. 

Nell’impeccabile sala da concerti, stranamente vuota per metà, il Papa ha reso omaggio all’armonia kazaka, che fa vivere fianco a fianco laicità e religione, Oriente e Occidente, modernità e tradizioni… Una sorta di paradosso iscritto senza equivoco nella strana città di Nur-Sultan, città futurista perduta nelle piane senza età del Kazakistan. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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