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La religiosità della Regina Elisabetta era solo di facciata?

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AFP PHOTO / OSSERVATORE ROMANO

Lucia Graziano - pubblicato il 09/09/22

Quando John Hall prese servizio come decano di Westminster ed ebbe modo di familiarizzare con le tradizioni dell’abbazia, fu sorpreso nello scoprire un dettaglio riguardo i rituali che accompagnano l’incoronazione del re del Regno Unito. Durante il momento più solenne della cerimonia, il re siede su un trono che è rivolto verso l’altare. 

«In qualche modo, avevo dato per scontato che la cerimonia di incoronazione si svolgesse in modo tale da renderla visibile al maggior numero possibile di persone» ebbe a dire anni dopo il sacerdote anglicano. E invece, no. «Al cuore della cerimonia, c’è un certo grado di privacy e di intimità. Il sovrano guarda l’altar maggiore, la parte più sacra di tutta l’abbazia, proprio come fa una coppia di sposi durante la celebrazione del matrimonio». Il paragone non è campato per aria: in effetti «nell’incoronazione, il sovrano prende un impegno con Dio. È quella, la relazione chiave che si viene a creare».

Nel 2012, in occasione del ‘giubileo di diamante’ che commemorava i sessant’anni di regno della regina Elisabetta, John Hall diede alle stampe queste e altre riflessioni in un libro dedicato aQueen Elizabeth II and Her Church. Ripercorrendo le cerimonie religiose che da sempre legano la Royal Family alla chiesa di Westminster, l’autore si poneva la domanda: in che modo e in che misura la regina Elisabetta ha vissuto il suo ruolo agli occhi della fede?

Il tema non è banale. Nel corso del suo lungo regno, non sono mancate le occasioni in cui the Queen è stata criticata da gruppi di correligionari, con l’accusa di non aver fatto sentire la sua voce nel momento in cui i governi formatisi sotto la sua egida approvavano leggi non in linea col Vangelo. Va da sé che (Costituzione alla mano) la regina non avrebbe mai potuto ribaltare una decisione che era già stata presa dal governo in carica, perché non è questo il ruolo che le dà la legge; quali fossero i sentimenti che albergavano nel suo cuore in questi e in altri momenti di crisi nazionale, lo scopriremo (forse) quando e se verranno dati alle stampe i diari privati che la donna ha voluto compilare per buona parte della sua vita, seguendo l’esempio della regina Vittoria.

Ciò che invece si può dire senza timore di sbagliare è che the Queen non era quel tipo di persona che si imbarazza all’idea di parlare apertamente della sua fede religiosa

I richiami evangelici sono particolarmente numerosi nei discorsi alla nazione che la regina era solita tenere nel giorno di Natale. In una delle sue più forti testimonianze di fede, pronunciata il 25 dicembre 2000, la regina aveva dichiarato che «gli insegnamenti di Cristo e la consapevolezza della mia responsabilità personale di fronte a Dio sono la cornice entro la quale cerco di condurre la mia vita». E persino nella drammatica primavera del 2020, parlando a una nazione che stava vivendo la prova del lockdown, la regina aveva colto l’occasione per suggerire pacatamente ai sudditi «di ogni religione» di utilizzare quei giorni di pausa forzata «come un’opportunità per rallentare, fermarsi e riflettere, in preghiera o in meditazione».

Solamente una religiosità di facciata? 

Non si direbbe. I giornalisti si sono più volte soffermati sulla regolarità con cui la regina partecipava alla liturgia domenicale, senza cedere alla tentazione di concedersi qualche strappo alla regola in virtù dei suoi molti impegni. Gli strappi alla regola, semmai, se li concedeva nel senso opposto: è noto come la regina avesse l’abitudine di festeggiare il Natale andando in chiesa due volte di fila nell’arco di due ore. Prima della tradizionale passeggiata “a favor di camera” verso la chiesa, in compagnia degli altri membri della Royal Family, la donna amava visitare la cappella da sola, nelle prime ore del mattino, lontana dallo sguardo dei giornalisti: era il suo modo di vivere privatamente la devozione, prima di doverla declinare in chiave pubblica.

Forse il lettore obietterà che certamente è bene essere caritatevoli coi defunti, ma non per questo c’è il bisogno di confezionare il “santino” di ogni personaggio pubblico che viene a mancare – tantopiù se costui, come in questo caso, non professava fede cattolica. 

Indubbiamente una valida obiezione. E tuttavia (se è vero che «ognuno di noi è speciale e uguale agli occhi di Dio», come osservava la regina nel Natale 2020 commentando la parabola del buon samaritano, in cui la salvezza arriva per mano di «un individuo che appartiene a un’altra religione e a un’altra cultura»), non farà male riflettere per qualche istante sugli insegnamenti universali che si possono trarre guardando alla vita di the Queen.

Il più grande di tutti riguarda probabilmente il suo leggendario senso del dovere. Molti, in questi giorni, hanno commentato lo spirito di abnegazione con cui la regina Elisabetta ha lavorato fino a quarantott’ore prima della sua morte, rifiutando con decisione la possibilità di abdicare e di godersi in serenità qualche anno di “pensione”. 

Parecchi, nel riflettere su questo tema, hanno fatto riferimento al celebre discorso che la allora principessa aveva tenuto in occasione del suo ventunesimo compleanno, giurando di dedicare la sua intera vita al servizio della nazione. Ma forse non farà male citare anche le parole che, qualche anno dopo, la giovane regina aveva pronunciato nel giorno della sua incoronazione. 

Poche ore prima, seduta su quel trono che la metteva faccia a faccia con Dio e che anni dopo avrebbe suscitato tanto stupore nel decano di Westminster, la regina aveva promesso una volta ancora di dedicare la sua vita al servizio dei suoi sudditi.  

L’aveva promesso innanzi tutto a Dio, e con tutta la solennità del caso: ché davvero la cerimonia di incoronazione in uso nel Regno Unito è una celebrazione dal sapore profondamente religioso. Il sovrano manifesta a Dio la sua volontà di servirlo nel miglior modo che gli sarà possibile, impegnandosi a governare la nazione che l’Onnipotente ha voluto affidargli, e in cambio di questa promessa Gli domanda di poter ricevere il suo sostegno e la sua benedizione. 

«Si tratta di cerimonie antiche», ebbe a dire quella sera la regina, «le cui origini sono velate a tratti dalle nebbie del passato. Ma il loro spirito e il loro significato brillano attraverso i secoli»; ed è «in sincerità che io mi sono messa al vostro servizio, così come molti di voi sono al servizio della mia persona. Per tutta la mia vita, e con tutto il mio cuore, farò tutto ciò che è in mio potere per essere degna della vostra fiducia». 

E in un’epoca in cui il “per sempre” fa paura e proporre a qualcuno un impegno per la vita sembra una via di mezzo tra l’insulto e l’attacco di sadismo, si potrebbe dire che la regina Elisabetta ci offre, in questo, un esempio che va controcorrente. In tal senso, il suo servizio instancabile e solerte, portato avanti per oltre settant’anni, davvero brilla d’una scintilla luminosa, che ha quel fascino antico che ammanta le cose belle e d’altri tempi.  

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