Si possono cogliere i segnali di un ragazzino o di una ragazzina che pensa al suicidio? La risposta è affermativa. Ci sono delle parole e degli atteggiamenti da non sottovalutare.
Il suicidio di Alessandro
Che il disagio giovanile sia crescente è sotto gli occhi di tutti: basti pensare, solo ultimo in ordine di tempo, alla fine di Alessandro, il 13enne suicida a Gragnano, nel Napoletano per colpa dei bulli. A questo si aggiungono i numeri di Telefono Amico, snocciolati da Avvenire (6 settembre): nel 2021 le chiamate di persone attraversate dal pensiero del suicidio o preoccupate per il possibile suicidio di un caro sono state quasi 6mila: oltre il 55% rispetto al 2020, quasi quattro volte tante rispetto al 2019, cioè prima della pandemia.
I numeri allarmanti di Telefono Amico
E c’è di più: quest’anno, delle 2.700 telefonate d’emergenza già registrate, il 28% hanno visto come protagonisti giovani sotto i 25 anni. È la punta dell’iceberg, naturalmente: secondo l’Istat sono 220mila i ragazzi tra i 14 e i 19 anni insoddisfatti della propria vita e, allo stesso tempo, in una condizione di scarso benessere psicologico.
Le frasi da tenere sotto controllo
Il quotidiano dei vescovi ha intervistato Maurizio Pompili, ordinario di Psichiatria all’Università Sapienza di Roma e direttore della Uoc di Psichiatria presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant’Andrea di Roma. Lo psichiatra ha spiegato alcuni segnali che possono far pensare a tendenze di suicidio tra i ragazzini.
«Innanzitutto andrebbe sempre prestata grande attenzione alle comunicazioni verbali: frasi come “mollo tutto” o “a che serve vivere” o ancora “non ce la faccio più” non dovrebbero essere mai sottovalutate. Il sonno è un’altra spia da tenere sotto controllo: l’agitazione notturna e l’insonnia sono sintomi chiari di una situazione di disagio».
I cambiamenti d’umore
«Ancora - prosegue il professore Pompili - cambiamenti repentini di umore (da fasi di sofferenza ad altre di grande sollievo), gesti eloquenti e dirompenti (la rinuncia a un oggetto a cui si teneva tanto, il mettere a posto le proprie cose e i propri affari). Naturalmente nei più giovani questi segnali possono essere più mascherati: i cambiamenti vanno recepiti, richiedono occhi in grado di vederli».
Non solo genitori
Sui segnali da cogliere per prevenire il rischio suicidio tra i giovanissimi, il docente di psichiatria avverte: «Non solo ai genitori. La prevenzione è uno sforzo congiunto, da compiere tutti insieme: famiglia, amici, insegnanti, medici. E per arrivare prima servono formazione e informazione: nel nostro Paese si parla ancora troppo poco di suicidio. Il tema viene considerato tabù».
Cosa può fare la scuola
Invece, sottolinea Pompili, «bisognerebbe farlo a cominciare dalla scuola, e proprio dai ragazzi: dobbiamo parlare a loro di cosa può accadere, nella mente, quando ci si trova in un tunnel senza uscita; dobbiamo insegnare loro a reagire, a parlare, anche quando in questo tunnel vedono entrare i loro coetanei. La domanda “hai mai pensato di toglierti la vita?” andrebbe posta senza troppi problemi e senza esitazione, senza ritardo».
Il problema dei social network e delle chat
Sui suicidi tra i ragazzini, hanno un forte impatto i social e il mondo delle chat. «Dal cyberspace - conclude lo psichiatra - i nostri ragazzi vengono impadroniti tutti insieme, all’improvviso, senza allenamento o preparazione. Si tratta di un pacchetto preconfezionato, che difficilmente riescono a padroneggiare. In rete ogni cosa viene amplificata ed enfatizzata. Servirebbe formazione anche per questo: sono convinto che l’idea di un patentino per l’uso dello smartphone e delle nuove tecnologie andrebbe ripresa e messa in pratica quanto prima».