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“Teologia della casa”: creare e custodire un ambiente che elevi l’anima 

Théologie de la maison

Theology of Home

Marzena Wilkanowicz-Devoud - pubblicato il 02/09/22

Oggetti che innalzano lo spirito, che illuminano, che indicano un senso sono dappertutto. Invadono le case, si tratti di grandi ville o di minuscoli appartamenti… Ma cos’è questa nuova aspirazione a fare della propria casa un luogo in cui Dio trovi il proprio posto e l’anima la sua gioia? Parliamone.

Questa è la storia di Carrie Gress e Nelle Mering, due madri americane e autrici di numerose opere, uno dei cui tratti di continuità potrebbe riassumersi nella profonda convinzione che le donne sono la forza evangelica spesso sottostimata nella storia: 

Se un numero sufficiente di noi comprendesse il potere che abbiamo come donne, di trasmettere la fede agli altri, potremmo cambiare il mondo quasi da un giorno all’altro. 

È quello che scrivono sotto forma di un manifesto pubblicato sulla homepage della loro rivista telematica Theology of home, il frutto della loro riflessione comune. 

Molto elegante, il sito fa pensare a una rivista di lifestyle con le brave rubriche decorazioni, stile, benessere, viaggi, cucina… Eppure c’è una differenza fondamentale: offre alle lettrici americane la possibilità di abbeverarsi a «la speranza, la gioia e la pace» in una comunità di donne cristiane. 

La pagina offre anche ispirazioni con un supplemento d’anima per abbellire l’ambiente di vita quotidiana: decorazioni, bellezza, ricette culinarie… Carrie Gress dichiara ad Aleteia: 

Le donne hanno l’incredibile capacità di essere creative per mettere l’eterno in casa loro e altrove, ma oggi il mondo ha reso queste realtà difficili da manifestare. 

Un luogo che capta sia l’anima sia lo spirito 

L’elegante parola inglese home è di grande respiro semantico: essa comprende tutti i significati di “focolare” e anche quelli di “casa” (per cui esiste più specificamente la parola house). Il focolare, che designa le persone legate dalla parentela e che vivono sotto lo stesso tetto, dalla radice di “fuoco”, resta simbolo del calore e della luce. È un luogo di accoglienza e di ritrovo. Ci si aspetta di essere al sicuro, lì: nutriti, riconosciuti e capaci di vivere e amare liberamente. 

Home sweet home”: questa espressione suggestiva, un po’ lisa da quanto è invocata, non sempre a proposito, costituisce il fil rouge delle trasmissioni e dei documentari sull’arte di decorare la casa: inondano YouTube, Netflix e tutte le piattaforme. I numeri che fanno registrare, in America come in Europa, provano che l’attrazione generale per la casa è incontestabile. 

Ma cosa significa veramente quest’attrazione universale di tutte le generazioni e le estrazioni? Che cos’è che, in questo luogo dai molteplici sensi, capta tanto lo spirito quanto l’anima? 

La gente – analizza Carrie Grass – vuole circondarsi di cose che abbiano senso: siamo fatti per cercare del senso, non solo dei beni materiali. Per questo assistiamo al ritorno dei valori, perché mano a mano che la nostra cultura evolve verso l’assenza di anima, la fame naturale dello spirituale deve essere soddisfatta da qualche parte. Le nostre anime hanno fame, se non vengono nutrite da Dio, eterno e infinito. 

Da parte sua, Lidevij Edelkoort, riconosciuta “veggente di mode e tendenze contemporanee”, spiega che la casa diventa oggi un vero luogo di ristorazione spirituale. L’arrivo della pandemia da Covid-19 ha cristallizzato ancora di più tale ricerca. 

Noto effettivamente – spiega Anne-Christine Gromnicki, decoratrice parigina – un vero interesse per degli oggetti con una storia, degli oggetti portatori di senso, che fanno luce – in tutti i sensi del termine. Raccogliere l’anima del luogo sembra molto più importante di prima. 

Qualche anno fa si cercava di creare degli interni moderni, oggi la parola “moderno” non è mai pronunciata: è rimpiazzata da “ambiente”, “storia” e appunto da “anima”. 

«Quando compri dei mobili dici a te stesso: “Non avrò mai più il problema di un divano! Qualsiasi cosa capiti, il problema del divano è risolto!” E poi…»
«Che tu viva in un castello o magari in un igloo, / una casa è la tua casa quando dentro ci sei tu».

Ma allora che cos’è che dà l’essenza di un focolare? Gilbert Keith Chesterton, celebre scrittore inglese del primo Novecento, citato da Carrie Gress nel suo editoriale, lo dice con precisione: 

Il posto in cui i bambini nascono, dove gli uomini muoiono, dove si svolge il dramma della vita mortale, non è un ufficio, un negozio o una boutique. È qualcosa di molto più piccolo, come dimensioni, e di molto più grande per portata. E se nessuno è abbastanza pazzo da pretendere che sia il solo posto in cui le persone dovrebbero lavorare, o anche il solo posto in cui le donne debbano lavorare, c’è un carattere di unità e di universalità che non si trova in alcuna delle frammentarie esperienze della suddivisione del lavoro. 

«La casa sul confine dei ricordi, / la stessa sempre, come tu la sai. / E tu ricerchi là le tue radici, / se vuoi capire l’anima che hai».

Un santuario in cui l’anima trova la propria felicità 

Come ha detto Chesterton, il focolare è piccolo in rapporto a un’impresa o a un ufficio, ma enorme per l’impressione che fa e che lascia su ciascuno. Per sua natura, esso tocca l’eterno. Il fenomeno del “ritorno al focolare”, luogo di ristorazione anche spirituale, dimostra un’aspirazione essenziale: quella di fare della propria casa un santuario in cui Dio trova il proprio posto e l’anima la propria felicità. È una piccola chiesa completa di tutto. Giovanni Paolo II l’ha chiamata, nella sua Lettera alle famiglie, una «chiesa domestica». Un luogo in cui la vostra maniera di vivere la vostra fede avvia un effetto domino che può cambiare il mondo. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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