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Altro che dimissioni: coi Cardinali il Papa sta parlando dei laici!

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AFP

Giovanni Marcotullio - pubblicato il 30/08/22

Trapelano poche informazioni dalle stanze che ospitano la due-giorni dei circa 200 porporati con Francesco: a tema la Prædicate Evangelium e le sue applicazioni ancora da definire.

È da qualche settimana che alcuni media allungano l’avaro brodo delle letture estive con illazioni e/o presunte rivelazioni circa le imminenti dimissioni di papa Francesco. A tal fine hanno giovato, nel costruire le condizioni di verosimiglianza, principalmente queste circostanze: 

Molti indizi che non fanno una prova

  • la risposta (di per sé generalissima e identica a quella già data altre volte precedentemente) del Santo Padre circa una sua possibile dimissione futura, durante il viaggio di ritorno dal Canada; 
  • l’(in)consuetudine di un concistoro agostano per la creazione di venti nuovi cardinali; 
  • il fatto che tale concistoro sia stato spezzato dalla visita papale a L’Aquila, sulla tomba di Celestino V (e la contestuale apologia di Francesco: «Il suo non fu “il gran rifiuto”»); 
  • l’indizione di una grande riunione col collegio cardinalizio, per di più da tenersi a porte chiuse
  • il ristabilimento del card. Becciu nelle sue prerogative cardinalizie (a stringere, della sua facoltà di entrare in conclave in caso di sede vacante), datato a pochi giorni fa e avvenuto mentre il porporato è ancora sotto processo in Vaticano. 

Bisogna riconoscere che la congiuntura di queste informazioni è quantomeno suggestiva, e che soddisfa ad abundantiam il principio del “tre indizi fanno una prova” coniato da Agatha Christie. 

Si capisce dunque che i media e i social si siano buttati sulla versione romanzata e gialla, laddove la realtà rischia di rivelarsi estremamente meno rispondente al gusto per le curiosità: l’incontro a porte chiuse con i cardinali ha effettivamente qualcosa di eccezionale nella storia della Chiesa, non foss’altro che per le proporzioni della riunione (non si erano mai visti duecento cardinali tutti insieme a colloquio prolungato col Papa, anche perché il collegio cardinalizio non era mai arrivato a questa dilatazione); dalle aule in cui si scandiscono i momenti del loro incontro, tuttavia, giungono appena frasette centellinate. La materia dell’augusto vertice, del resto, è quanto di più tecnico (se non arido) la Chiesa cattolica possa offrire: si parla della costituzione apostolica Prædicate Evangelium, promulgata il 19 marzo scorso dopo un lavoro novennale, e se il Preambolo della Costituzione è molto godibile anche ai non addetti, i suoi 12 paragrafi si leggono assai rapidamente: quel che segue sono altri 12 paragrafetti di “principî e criterî” e quindi, dal cap. III all’XI, 250 articoli, talvolta suddivisi in paragrafi, dedicati alla «Curia Romana e al suo servizio alla Chiesa e al Mondo». 

La riforma della Curia dal 2013 al 2022 (e oltre)

Potrebbe essere insomma la magna charta della riforma della Curia Romana, uno dei compiti che il conclave del 2013 volle affidare al card. Bergoglio eleggendolo Papa, e la traduzione tecnico-normativa dell’ispirazione di Evangelii gaudium (l’esortazione apostolica-fiume, del novembre 2013, è forse non a caso il secondo testo per numero di citazioni all’interno della Costituzione – quattro rimandi, successivi solo ai dieci dedicati alla Lumen Gentium del Concilio Vaticano II). 

Che la Riforma fosse un desideratum del Conclave non è una speculazione giornalistica, bensì lo si legge nero su bianco (riprendendo parole pronunciate nel concistoro del febbraio 2015) alla fine del Preambolo

Deve pertanto essere chiaro che «la riforma non è fine a se stessa, ma un mezzo per dare una forte testimonianza cristiana; per favorire una più efficace evangelizzazione; per promuovere un più fecondo spirito ecumenico; per incoraggiare un dialogo più costruttivo con tutti. La riforma, auspicata vivamente dalla maggioranza dei Cardinali nell’ambito delle Congregazioni generali prima del Conclave, dovrà perfezionare ancora di più l’identità della stessa Curia Romana, ossia quella di coadiuvare il successore di Pietro nell’esercizio del suo supremo Ufficio pastorale per il bene e il servizio della Chiesa universale e delle Chiese particolari. Esercizio col quale si rafforzano l’unità di fede e la comunione del popolo di Dio e si promuove la missione propria della Chiesa nel mondo. Certamente raggiungere una tale meta non è facile: richiede tempo, determinazione e soprattutto la collaborazione di tutti. Ma per realizzare questo dobbiamo innanzitutto affidarci allo Spirito Santo, che è la vera guida della Chiesa, implorando nella preghiera il dono dell’autentico discernimento»[23].

Francesco, Prædicate Evangelium 12 

Vi si legge insomma che i cardinali hanno auspicato la Riforma nel 2013 e che già dal 2015 Francesco si proponeva di vagliare con lo stesso Sacro Collegio le proposte che man mano andava formulando per la riforma. Certo il documento è già in vigore (dal 5 giugno scorso, domenica di Pentecoste), ed è dunque da vedersi che tipo di contributo possa esprimere una riunione come quella della due-giorni che si conclude oggi (non è da escludersi che abbia profetato giusto il card. Miglio dicendo: «Per me il 29 sarà il primo giorno di scuola»). Salvatore Cernuzio ha raccolto le impressioni di alcuni prelati freschi di porpora, tra cui quella del prefetto del Dicastero per il Culto divino, l’inglese Artur Roche, il quale 

alla domanda sul motivo per cui il Papa abbia sentito l’esigenza di riunire l’intero Collegio cardinalizio per approfondire significato e modalità di questa riforma, invita ad ampliare lo sguardo. «La Praedicate Evangelium non è solo qualcosa per la riforma della Curia, è anche per le relazioni tra tutte le Conferenze episcopali e la Santa Sede». L’incontro che vedrà 197 porporati e patriarchi riuniti a porte chiuse sarà anche occasione per solidificare quella unità che a volte, per vari motivi, sembra venir meno nel tessuto ecclesiale. «Il Papa – dice Roche, che in passato ha denunciato “battaglie” sommerse nella Chiesa – ha la responsabilità per l’unità. È molto importante che si ascolti bene ciò che il Papa dice in questo momento. Lui dà una direzione che per la Chiesa è la direzione del Concilio Vaticano II, la più alta legge della Chiesa».

Certo, si fa presto a dire “Concilio Vaticano II”, laddove il punto è spesso non nei testi dei Padri Conciliari, ma nell’ermeneutica (della rottura nella discontinuità o della riforma nella continuità) a cui questi vengono sottoposti. Il cardinale parroco, Enrico Feroci (porporato dal 25 ottobre 2020), ha spiegato 

che i porporati hanno affrontato due temi principali: quello della comunione, cioè della testimonianza dell’amore reciproco tra i cristiani, e poi la questione della difficoltà da parte della società odierna di aprirsi al messaggio evangelico con una considerazione sulle vie per superare queste difficoltà. 

Il nodo dei laici (in posizioni apicali del governo ecclesiastico)

È tuttavia nella terza sessione, avviata stamane e tuttora in corso, che si sta mettendo a fuoco il tema grosso, già abbozzato nel paragrafo 10 del Preambolo

Il Papa, i Vescovi e gli altri ministri ordinati non sono gli unici evangelizzatori nella Chiesa. Essi «sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutto il peso della missione salvifica della Chiesa verso il mondo»[19]. Ogni cristiano, in virtù del Battesimo, è un discepolo-missionario «nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù»[20]. Non si può non tenerne conto nell’aggiornamento della Curia, la cui riforma, pertanto, deve prevedere il coinvolgimento di laiche e laici, anche in ruoli di governo e di responsabilità. La loro presenza e partecipazione è, inoltre, imprescindibile, perché essi cooperano al bene di tutta la Chiesa[21] e, per la loro vita familiare, per la loro conoscenza delle realtà sociali e per la loro fede che li porta a scoprire i cammini di Dio nel mondo, possono apportare validi contributi, soprattutto quando si tratta della promozione della famiglia e del rispetto dei valori della vita e del creato, del Vangelo come fermento delle realtà temporali e del discernimento dei segni dei tempi.

Cernuzio ha ricordato che già 

nel corso della conferenza stampa di presentazione della Costituzione, il 21 marzo, alcuni relatori, tra cui il neo cardinale Gianfranco Ghirlanda, avevano sottolineato che «ci sono Dicasteri in cui è conveniente che ci siano dei laici alla guida». Un esempio è il Dicastero Laici, Famiglia e Vita che, diceva il canonista, abbraccia settori che i laici “vivono” e sui quali “hanno esperienza”. «Non c’è una preclusione stabilita», affermava Ghirlanda. Allo stesso tempo, aggiungeva, nel caso dei Tribunali «la Costituzione non abroga il Codice di Diritto Canonico che stabilisce che nelle questioni che riguardano i chierici siano i chierici a giudicare… La Chiesa rimane con una gerarchia. Non si elimina la funzione di un sacerdote o un vescovo, dipende dalle diverse situazioni».

Non trapelano tuttavia novità o parole decisive: 

Lo spiega anche il cardinale Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena, a Vatican News. «Quando si lavora in piccoli gruppi, è più facile confrontarsi e dialogare. Il tema sappiamo che è il confronto aperto e sereno sulla nuova Costituzione e in particolare sulla sua applicazione, su come metterla in pratica. Nei gruppi più che elementi di novità, sono state messe in rete alcune idee… È possibile che ci siano dei passaggi che aiutano la comprensione di alcuni elementi che risultano meno chiari, meno evidenti, in particolare quello che riguarda la presenza dei laici anche in funzioni apicali dei Dicasteri. È questa una porta aperta che speriamo si possa percorrere nel modo migliore».

La storia della Chiesa è sempre stata puntellata da laici eccezionali assurti non “solo” alla gloria degli altari, ma “anche” ai vertici della gerarchia ecclesiastica (almeno dai tempi di Prospero di Aquitania, il quale non fu chierico ma che Leone Magno volle per cancelliere personale), dunque il tema non propone una novità assoluta: a trattenere però da troppo facili entusiasmi in tal senso c’è sicuramente la questione della natura gerarchica della Chiesa, ricordata da Ghirlanda e Lojudice; non si può tuttavia escludere che ponga un freno anche l’esperienza di alcune chiese che già nell’immediato post-concilio hanno promosso e generalizzato l’accesso laicale a funzioni di governo e che patiscono ora gli amari contrasti implicati dall’aver reso la Chiesa “un luogo di lavoro”. 

Si capisce che il governo universale della Chiesa si voglia prudente e ispirato a un discernimento anche coraggioso e profetico, ma non avventato e modaiolo. 

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