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«Tenere i nemici per i migliori amici»: una preghiera di Thomas More

BD Thomas Mora

© Triomphe

Marzena Wilkanowicz-Devoud - pubblicato il 25/08/22

Piuttosto che rinnegare la propria fede e quella della Chiesa, sir Thomas More (1478-1535), cancelliere del Re d’Inghilterra, ha preferito perdere la vita. Nella cella del carcere, pochi mesi prima di morire, scrisse una toccante preghiera… per i suoi nemici. Ed ha spiegato come trattare chi ci fa del male.

Pregare per i nemici sembra impossibile. Eppure, quando si arriva al senso profondo di questo precetto del Signore, ciò diventa quasi naturale. Fu quanto accadde a Thomas More. 

Brillante avvocato e cancelliere del re, fu imprigionato il 17 aprile 1534 nella Torre di Londra. Fu condannato dopo essersi dissociato dal divorzio di Enrico VIII con Caterina d’Aragona e dal suo “nuovo matrimonio” con Anna Bolena. A prezzo della vita, l’uomo politico si è opposto col suo silenzio all’autoproclamazione del re come capo della Chiesa d’Inghilterra (atto col quale il sovrano rinnegava il Papa e infliggeva un ulteriore scisma all’unità dei cristiani). 

Tenere i più grandi nemici per migliori amici 

A margine elle sue ultime riflessioni annotate in carcere, poco prima della sua esecuzione (per decapitazione), il 6 luglio 1535, l’ex cancelliere scrisse una toccante preghiera per i suoi nemici, spiegando come bisogna trattare quanti ci fanno del male: 

Perché dunque dovrei odiare, adesso, per qualche tempo, un uomo che poi mi amerà per sempre? E perché oggi dovrò essere nemico di un uomo al quale nel mondo che verrà sarò congiunto da amicizia eterna? E d’altro canto, se lui continua ad essere cattivo e viene dannato, conoscerà eternamente pene tanto spaventose che veramente sarei un miserabile indegnamente crudele, se oggi non prendessi parte alla sua infelicità compatendolo, invece di volere del male alla sua persona. 

E offre questo luminoso consiglio a tutti i suoi amici: tenere i più grandi nemici per i migliori amici. 

Dirò questo, in verità: consiglierei a tutti i miei buoni amici che, a meno che non si trovino in condizione di punire un uomo per ufficio, lascino a Dio il desiderio di punire, ed eventualmente ad altri uomini, che siano così profondamente radicati nella carità, e che tanto siano abbarbicati a Dio da risultare refrattari ad ogni aspra e crudele affezione segreta (che eventualmente possa ammantarsi sotto lo smalto di un virtuoso zelo di giustizia) e li mini dall’interno. Noi, che non siamo migliori dei peggiori tra gli uomini, preghiamo sempre perché essi ricevano la grazia di emendarsi, come la nostra propria coscienza ci mostra che ne abbiamo bisogno noi stessi. 

E allora, come evitare di fare il gioco del nemico? Come amare i nemici col cuore di Cristo? 

Egli – ha spiegato nel suo Trattato sulla Passione parlando di Gesù – non era incostante, come tanti che amano in modo passeggero, poi abbandonano alla prima occasione e da amici diventano nemici, come fece Giuda il traditore. 

Gesù ha perseverato nell’amore fino alla fine, fino a che – proprio per quell’amore – ne sia venuto alla dolorosa estremità. E non soltanto per quanti erano già suoi amici, ma anche per i suoi nemici, al fine di farne degli amici. 

Per imparare ad amare i nemici – che si tratti di colleghi sul posto di lavoro o di avversari politici – Cristo propone quest’arma sconcertante: pregare per loro. Come fece Thomas More con i suoi. 

Donami per tua grazia, Signore buono,
di custodire in memoria i fini ultimi;
di non trattare la morte da estranea;
di pensare al fuoco eterno dell’inferno e di considerarlo;
di pregare per il mio perdono prima che arrivi il Giudice;
di avere continuamente allo spirito
la passione che Cristo soffrì per me;
di recuperare il tempo che ho già perso;
di evitare la facile euforia e la folle spensieratezza;
di tagliare corto con gli intrattenimenti superflui;
di tenere i miei più grandi nemici per i migliori amici. 

Ultima parte di una preghiera annotata nei margini del suo breviario (1534 ca.) 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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