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Guerra in Ucraina: lo stallo e l’assestamento 

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Jean-Baptiste Noé - pubblicato il 25/08/22
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Sei mesi dopo l’inizio dell’invasione russa in Ucraina, la guerra sembra rallentare. Il fronte militare si stabilizza attorno alle posizioni russe. Dietro le quinte, la diplomazia si attiva. Il geopolitico Jean-Baptiste Noé fa il punto sulle discussioni in corso, con particolare riguardo per l’esportazione dei cereali (e questo fa entrare il conflitto in una certa normalità).

Chi non avesse seguito l’attualità ucraina dall’inizio del mese di agosto non si sarebbe perso granché: il fronte è pressoché lo stesso della fine di luglio. La Russia controlla ancora pressoché il 20% del territorio ucraino, specialmente il Donbass e la parte meridionale fino alla Crimea. 

La grade offensiva ucraina annunciata a fine luglio, che doveva mobilitare un milione di uomini e che avrebbe portato alla riscossa di Kherson, non ha avuto luogo. Per mancanza di uomini, di materiali, di forze e anche di strategie. Ormai le due parti ristanno sulle rispettive posizioni e nessuno sembra in grado di cedere o di rovesciare l’avversario. 

Tra accelerazioni e assestamenti 

La guerra entra in una fase di assestamento che ricorda quanto accadde nel Donbass dal 2014. Dopo l’insurrezione delle regioni separatiste e la replica dell’esercito di Kiev, il fronte si è arrestato e ciascuno ha condotto una guerra di posizione. Questo tipo di guerra funziona nell’alternanza di accelerazione e di assestamento. Accelerazione nel 2014 con la presa della Crimea e di una parte del Donbass, poi assestamento fino al febbraio 2022, quando una nuova accelerazione ha avuto luogo e la Russia ha preso l’Ucraina orientale. 

L’attuale assestamento può durare molto tempo, prima che una nuova offensiva – forse tra qualche settimana, forse tra qualche anno, apporti una nuova accelerazione al conflitto. E così via. La guerra nello Yemen dura essa pure dal 2014, la guerra in Iraq è durata 8 anni, la guerra in Yugoslavia una quindicina d’anni e quella in Siria, scoppiata nel 2013, non è ancora terminata. L’ipotesi più probabile è che questa guerra sia lunga, e che l’attuale status quo divenga lo stato di fatto della linea di frattura. 

Tra negoziati e normalizzazioni 

Se il fronte militare è stabile, il fronte diplomatico si fa più intenso. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan è l’incontestabile vincitore di questa fase: pur essendo membro della NATO incontra Putin e parla con lui, serve da intermediario e scambia buoni ufficio tra le parti. La situazione geografica della Turchia fa sì che sia imprescindibile: è da lì che passano i gasdotti che potranno alimentare l’Europa in assenza di gas russo; è da lì che passano pure le navi cariche di cereali che lasciano il Mar Nero per nutrire il mondo. Questa attività diplomatica ha normalizzato Erdogan, che meno di due anni fa era il nemico degli Europei, col suo giocare una partita difficile nel Mediterraneo orientale, tra Corno d’Africa e Siria. La ruota della fortuna ha girato rapidamente per la Turchia. Bando però all’orgoglio imperiale di credersi arrivati: rapidamente risalita, la Turchia potrebbe riprecipitare altrettanto velocemente se i venti cambiassero direzione. 

I negoziati sull’esportazione di cereali hanno permesso la partenza di alcuni convogli, essenziali per alimentare l’Africa e il Medio Oriente. Se tale accordo era indispensabile per i Paesi dipendenti, esso si rivela lama a doppio taglio per l’Ucraina, perché essi normalizzano la situazione eccezionale dell’occupazione russa. Se le esportazioni vanno bene, come al momento sembrerebbe, saranno proprio quelle a fissare la realtà di una occupazione che diventerebbe sempre più difficile da cancellare. 

I magazzini bellici si vuotano 

A dispetto dei proclami, gli Europei riducono le consegne di armi, perché i magazzini si vuotano. Lo sforzo bellico iniziato da febbraio tocca qui i suoi limiti: l’industria europea non produce abbastanza per sovvenire ai bisogni dell’Ucraina. Quanto agli aiuti finanziari, essi pure diventano via via più delicati, tenendo conto delle nubi minacciose che incombono sulle economie dei Paesi. 

Se gli Europei hanno fino ad ora sostenuto l’Ucraina era perché non sopportavano le conseguenze di questa guerra. Se l’inflazione prosegue il suo cammino, se i prezzi dell’energia aumentano ancora, se questo inverno ci saranno interruzioni o razionamenti nelle erogazioni, non è certo che si proseguirà col sostegno. 

La durata della guerra – già sei mesi – è tale da far sbiadire il cartellino della straordinarietà e guadagnarle quello dell’ordinarietà. In una siffatta condizione subentrano la stanchezza, il disinteresse e perfino il rigetto. Davanti all’assestamento e alla normalizzazione, la Russia dispone di uno strumento-maestro: il tempo, che gioca dalla sua parte. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]