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Perché la preparazione al matrimonio non riguarda (solo) il fatto di imparare delle cose

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Photo by Ishan @seefromthesky on Unsplash

i.Media per Aleteia - pubblicato il 16/08/22

Don Fabio Rosini, vicario per le vocazioni – inclusa la vocazione al matrimonio – di Roma, sulla preparazione delle coppie

Come si possono accompagnare meglio le famiglie e le coppie?

Questa domanda è stata al centro delle riflessioni del X Incontro Mondiale delle Famiglie, svoltosi a Roma a giugno.

Le Chiese locali di tutto il mondo stanno riconsiderando questa sfida dopo che il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita ha pubblicato una guida il 15 giugno per chi è coinvolto in quest’opera pastorale. Il testo offre orientamenti alle diocesi, invitate a lanciare un “progetto pilota” nelle parrocchie. Papa Francesco ha scritto la prefazione del documento.

Intervenendo all’Incontro Mondiale delle Famiglie il 24 giugno, don Fabio Rosini, direttore delle vocazioni del Vicariato di Roma dal 2012, ha parlato di come sacerdoti e seminaristi possano essere formati nella cura pastorale delle Coppie.

I.MEDIA lo ha intervistato sull’argomento. L’intervista verrà pubblicata in due parti.

Qual è stata la sua esperienza finora nell’accompagnare coppie fidanzate e sposate?

Io sono da 10 anni il Direttore del Servizio per le Vocazioni del Vicariato di Roma e il nostro ufficio si occupa di servire tutte le vocazioni. Infatti io vivo nel seminario romano, dove collaboro con l’equipe che si occupa della formazione sacerdotale dei seminaristi, e poi mi occupo anche di servire la vocazione matrimoniale.

Adesso si parla molto del prepararsi al matrimonio, ma nel 2012 fummo un po’ dei pionieri nel creare questi corsi di preparazione dove pensammo a come aiutare i ragazzi a non distruggere i loro matrimoni. All’inizio di questa avventura, proprio nel tempo in cui facevamo il nostro primo corso di preparazione remota al matrimonio, mi trovai ad avere una collaboratrice che poi è diventata famosa, Chiara Corbella Petrillo [una madre che ha respinto terapie per un cancro mentre era incinta per proteggere suo figlio ed ora è in corso la causa per la sua beatificazione, ndr] insieme a suo marito Enrico.

L’altra coppia che collaborava con noi erano il medico che accompagnò Chiara fino all’ultimo momento, Angelo Carfi, e sua moglie e cara amica di Chiara, Elisa Tinti. Loro ancora mi aiutano oggi e sono quelli che parleranno con me all’Incontro mondiale delle famiglie.

Come sono pensati e strutturati i vostri corsi di preparazione al matrimonio?

La preparazione sarebbe pensata per tutti i giovani perché bisogna prepararsi da molto prima cioè capire che cos’è il fidanzamento, come si vive il fidanzamento, etc. Il Santo Padre, nel documento appena pubblicato, “Itinerari Catecumeni per la Vita Matrimoniale” dice “possibile che per fare un prete ci vogliono 7 anni e per addestrare al matrimonio ci vogliono solo 10 incontri?” È una cosa inaccettabile sotto il punto di vista quantitativo, e allora noi pensammo di fare un lungo percorso che prendeva almeno un anno e dove sono poi venuti tanti giovani.

In questi anni abbiamo poi visto che tanti sacerdoti si sono interessati nei nostri corsi e quindi gli abbiamo condivisi anche con altre diocese e parrocchie fuori Roma e fuori dall’Italia. I nostri corsi hanno una struttura molto semplice. Nel libro delle benedizioni, il Benedizionale, c’è la benedizione dei fidanzati che si fa nel momento in cui i fidanzati scelgono di puntare direttamente al matrimonio, ovvero sono arrivati ad un certo momento del loro discernimento. Allora noi pensavamo di preparagli a quel rito. Il motto è che il buon fidanzamento non è quello che finisce con il matrimonio, ma quello che finisce con la verità. Cioè è un percorso di verità tra un ragazzo e una ragazza che verificano se la loro attrazione, la loro sintonia, il loro incontro, ha sostanza oppure se è evanescente.

Secondo lei cos’è l’elemento più importante nella formazione di un prete o un seminarista per accompagnare le coppie e le famiglie?

Fino adesso abbiamo fondamentalmente pensato che la formazione, specialmente di un sacerdote, sia intellettuale, crediamo che formiamo i giovani spiegandogli le cose. I sacerdoti sono formati teologicamente a sapere molta teoria e molto poco praticamente. Descartes ci ha condizionato in maniera totale su questo. Pare che capire significa vivere, ma invece vivere significa imparare a vivere.

Il problema è appunto che se viene proposto un itinerario di stampo catecumenale al matrimonio, ovvero un’iniziazione, la persona deve aver vissuto anche lei un’iniziazione. Per esempio se dobbiamo seguire un sentiero di montagna, la migliore guida che ci può portare sarà quella che ha già fatto il percorso. Come si può insegnare a dei giovani un’iniziazione alla vita matrimoniale senza aver vissuto una propria iniziazione personale? Questo concetto è come una leva che dovrà cambiare radicalmente la nostra impostazione della formazione sacerdotale che ad oggi è tutta impostata sugli studi teologici, che sono importantissimi e imprescindibili ma insufficienti. È come se io per capire la cucina francese imparassi perfettamente a memoria la ricetta. Ma non funziona così, il giorno in cui mangio un piatto francese conoscerò bene la cucina francese. Devo mangiare e sperimentare quello che ho studiato.

Già negli anni ’80 il Cardinal Jean-Marie Lustiger, Arcivescovo di Parigi, fece dei passi avanti molto seri su questo, ai quali noi ci ispiriamo. Fu pensata una formazione molto più pragmatica e iniziatica alla vita sacerdotale. Infatti ci sono stati ottimi frutti nel clero parigino che conosco anche personalmente che hanno mutuato questa logica di un sentiero di trasformazione integrale della persona. È quello di cui abbiamo bisogno non solo nella formazione al matrimonio

E concretamente cosa significa aver vissuto un’iniziazione? Come può un sacerdote, che non ha vissuto un matrimonio, parlare legittimamente alle famiglie e alle coppie ?

A cosa si devono addestrare gli sposi ? All’amore. Noi come cristiani conosciamo l’amore attraverso la croce di Cristo, Lui ci ha mostrato un amore pasquale che va oltre la morte. Il problema è conoscere questo salto, questo passaggio, questo amore, che si può vivere dovunque. Allora chi può insegnare l’arte di amare? Chi ha vissuto l’avventura della trasformazione e conversione pasquale.

Per cui, come dico sempre ai ragazzi che formo, il frustrato non è chi non ha sessualità, ma chi non ha imparato ad amare. Se abbiamo un modello di sacerdote che si fa i fatti suoi, quasi come se fosse single, una persona individuale, e che vive solo delle sue performance clericali, logicamente non avrà niente da insegnare a nessuno. Se invece è un prete che ha imparato la comunione, che ha imparato a stare con gli altri, imparato l’arte di chiedere perdono, di accogliere la povertà altrui, ecco questo è uno da cui si può imparare.

La persona che può insegnarmi ad amare non è semplicemente chi fa la mia stessa identica cosa ma chi ha imparato l’arte di andare oltre il momento limite che c’è sempre fra due persone in una relazione di amicizia, di matrimonio, di collaborazione, di lavoro, etc. Non si tratta tanto di essere dei preti che insegnano agli sposi, ma dei Cristiani figli di Dio che insegnano ad altri figli di Dio a vivere la vita dei figli di Dio.

Cosa ha pensato dei recenti orientamenti pastorali diffusi da Papa Francesco “Itinerari Catecumeni per la Vita Matrimoniale” ? Come immagina si potrebbero applicare questi suggerimenti concretamente ?

Bisognerà radicalmente mettere in discussione la nostra attitudine, bisognerà diventare iniziatori molti più che gestori di una posizione ecclesiale e si dovrà curare il percorso dei giovani che chiederanno aiuto. C’è una frase fondamentale in Evangelii Gaudium che fotografa il cambiamento d’epoca che stiamo vivendo. Dice che c’è una supremazia del tempo rispetto allo spazio, e quindi questa supremazia impone di non conquistare spazi ma innescare processi.

La domanda è come si innescano processi? Questo è un po’ mancato nella formazione per il matrimonio. Bisognerà imparare ad innescare processi, guardare a chi lo sa fare ed imparare da loro. Il problema è sempre stato innescare il processo dell’incontro fra lo Spirito Santo e il cuore umano. E per fare questo bisogna averne l’esperienza, bisogna capire quali sono le condizioni di fecondazione per questa vita nuova che deve nascere. Tante cose cambieranno se prendiamo sul serio questa sfida. Tanti preti dovranno cambiare il modo di essere preti, cioè non potranno più fare gli organizzatori o i gestori, dovranno fare i padri. Dovranno fecondare, dovranno iniziare processi nelle persone, e possono essere capaci di farli solo avendo imparato a farli.

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