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Lo strano caso di Charlotte Wells: gli abusi nella Chiesa e le lezioni da trarne

AGGRESSIONE DONNA

Di alexeisido|Shutterstock

Giovanni Marcotullio - pubblicato il 12/08/22

C’è chi raccoglie storie di abusi per danneggiare la Chiesa (o per favorirne qualche competitor): il grande problema sta negli abusi su cui non possiamo/vogliamo intervenire, perché noi stessi siamo radicati in un sistema in cui tutti da sempre possiamo essere abusatori e/o abusati.

Un lettore ci ha recentemente scritto chiedendo la nostra impressione circa un post comparso su un blog apparentemente orientato da uno strano concetto di evangelizzazione: citazioni scritturistiche piene d’ispirazione e belle immagini fanno da cornice ai racconti delle cocenti delusioni di quanti, per un motivo o per l’altro, hanno smesso di essere cattolici. Si tratta evidentemente di un blog gestito da protestanti per qualche ragione persuasi che far “volare gli stracci” degli scandali avvenuti nella Chiesa cattolica spinga le persone ad abbracciare una confessione evangelica… 

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Il disturbante racconto di “Charlotte Wells”

La fallacia logica (nessuno andrebbe a vivere dal cugino di un criminale per il fatto che si tratta del cugino e non del criminale stesso) e scritturistica («È inevitabile che avvengano degli scandali» Mt 18,7; Lc 17,1) di tale impostazione si commenta da sé, e facilmente si potrà ravvisare in queste stropicciature della ragione e della verità la mano del Nemico dell’uomo. Il lettore però ci chiedeva di un post in particolare, dedicato alla figura di tale Charlotte Wells: si tratta di più di 100mila battute (il libro medio che acquistate in libreria ne ha appena il doppio) tradotte dalla versione inglese comparsa su un sito ispirato da sentimenti anti-cattolici analoghi a quelli del blog italiano. Sulla donna si legge in particolare: 

Ella è nata nel 1898, ed è entrata in convento approssimativamente nel 1910. Ha sperimentato la salvezza nel 1945, e da allora ha cominciato a rendere questa sua testimonianza negli Stati Uniti e in Canada per 15 anni, sotto lo pseudonimo “Charlotte Wells”, per proteggersi da possibili ritorsioni. Si è spenta nel 1983 in una clinica in California.

Dove è nata e da chi? Come mai una dodicenne sarebbe riuscita a entrare in convento (e in quale convento), se pochi anni prima Thérèse Martin non riuscì a farsi carmelitana a quattordici anni neanche appellandosi a una dispensa pontificia richiesta direttamente a Leone XIII? La vaghezza di queste informazioni pare appena mitigata da quelle, poco meno gassose, che seguono: 

La sorella che Charlotte incontrò e grazie alla quale conobbe il Signore (se ne parla alla fine della testimonianza) è Nilah Rutledge, moglie del pastore John Mean della chiesa di Dartmouth. Nilah seguì Charlotte nei suoi viaggi in USA e in Canada.

Da qualche altro sito (anglofono) si apprende che Charlotte Wells sarebbe pseudonimo di “Charlotte Keckler”, e che Nilah Rutledge sarebbe stata un’altra ex consacrata poi diventata moglie di un pastore evangelico nordamericano. Pare che dal 1952 le due donne abbiano fondato il “Nilah and Charlotte Evangelistic Team”, dedito alla promozione di una comunità ecclesiale mediante la denigrazione di una chiesa. 

Del disturbante contenuto della “testimonianza” sono state realizzate versioni info-grafiche pubblicate su YouTube per “Every Roman Catholic”. La logica di fondo è chiaramente quella espressa sopra. I contenuti sono dei più estremi e inverosimili: dalla Bibbia proibita alle punizioni corporali, passando per le torture psicologiche e per l’immancabile “camera del prete”. 

Dopo questo, la mia corrispondenza fu interrotta. Non mi fecero più avere lettere dalla mia famiglia. Neppure una. Appartenevo al Papa. Appartenevo a Roma. E allora, dopo tutto questo, la madre superiora e i voti, il prete mi invitò ad andare nella camera delle nozze. Direte: “Ci sei andata?” No. Decisamente no. Non ero entrata in convento per essere una prostituta. Sarebbe stato molto più facile vivere fuori dal convento se volevo essere una donna empia. Non avevo preso il velo ed ero vissuta in povertà e avevo subito e sofferto per poi essere una donna empia.

Sarebbe facile e bello poter respingere questo tsunami melmoso con una citazione dalla Deus caritas est di Benedetto XVI: 

Ma è veramente così? Il cristianesimo ha davvero distrutto l’eros? Guardiamo al mondo pre-cristiano. I greci — senz’altro in analogia con altre culture — hanno visto nell’eros innanzitutto l’ebbrezza, la sopraffazione della ragione da parte di una « pazzia divina » che strappa l’uomo alla limitatezza della sua esistenza e, in questo essere sconvolto da una potenza divina, gli fa sperimentare la più alta beatitudine. Tutte le altre potenze tra il cielo e la terra appaiono, così, d’importanza secondaria: «Omnia vincit amor», afferma Virgilio nelle Bucoliche — l’amore vince tutto — e aggiunge: «et nos cedamus amori» — cediamo anche noi all’amore [2]. Nelle religioni questo atteggiamento si è tradotto nei culti della fertilità, ai quali appartiene la prostituzione « sacra » che fioriva in molti templi. L’eros venne quindi celebrato come forza divina, come comunione col Divino.

A questa forma di religione, che contrasta come potentissima tentazione con la fede nell’unico Dio, l’Antico Testamento si è opposto con massima fermezza, combattendola come perversione della religiosità. Con ciò però non ha per nulla rifiutato l’eros come tale, ma ha dichiarato guerra al suo stravolgimento distruttore, poiché la falsa divinizzazione dell’eros, che qui avviene, lo priva della sua dignità, lo disumanizza. Infatti, nel tempio, le prostitute, che devono donare l’ebbrezza del Divino, non vengono trattate come esseri umani e persone, ma servono soltanto come strumenti per suscitare la « pazzia divina »: in realtà, esse non sono dee, ma persone umane di cui si abusa. Per questo l’eros ebbro ed indisciplinato non è ascesa, « estasi » verso il Divino, ma caduta, degradazione dell’uomo. Così diventa evidente che l’eros ha bisogno di disciplina, di purificazione per donare all’uomo non il piacere di un istante, ma un certo pregustamento del vertice dell’esistenza, di quella beatitudine a cui tutto il nostro essere tende.

Benedetto XVI, Deus caritas est

Era il 2005 e il Santo Padre non temeva di annunciare francamente l’evangelo dell’eros cristiano, quantunque già da un lustro fosse scoppiato il caso Spotlight, che pure su di lui personalmente avrebbe tentato (ancora fino a tempi recentissimi) di stendere cupe ombre. 

La difficoltà di porsi in ascolto delle storie di abusi

La questione degli abusi sessuali, specie su minori, non può mettere in ombra quella, pure montante, degli abusi su consacrate, che da decenni affiorano qua e là: anche là dove le testimonianze sollevano qualche dubbio (per incongruenze, per affiliazioni dubbie delle donne che le rilasciano o semplicemente per l’enormità dei crimini prospettati), la Chiesa non può permettersi di chiudere un occhio sulla faccenda. Il fatto anzi che in alcuni casi (certamente troppo numerosi) ci si sia riparati dietro una spessa coltre di omertà è in sé un crimine orrendo del quale non si chiederà mai perdono a sufficienza, e nessun blog protestantoide potrà mai essere severo e al contempo veritiero quanto dovrà tentare di esserlo la Chiesa cattolica nel battersi il petto e nel fare penitenza davanti al suo Sposo, la cui divina fecondità rende perfettamente casti. 

Anche qui su Aleteia abbiamo cercato di rendere conto, nel nostro mestiere di servire la Verità mediante l’informazione, dei cocenti scandali di abusi sui minori e degli abusi sulle religiose. A ogni presunta rivelazione la raffica delle sensazioni e dei pensieri che ci assalgono è, con qualche variabile: 

  • che storia pazzesca! Forse anche troppo incredibile… ma potrà essere vera? 
  • ecco: appena qualcuno rompe il muro dell’omertà noi rifiutiamo di vedere e accettare la realtà! 
  • sì ma questo/a però l’avete visto/a? Ma non è che sta cercando un quarto d’ora di fama e un facile vitalizio? 
  • che persone orribili siamo, anche solo per aver pensato di poter dubitare di una persona che (forse) ha subito queste cose atroci! 
  • adesso non esageriamo: non è che glie le abbiamo fatte noi, quelle cose, e se non ci è permesso dubitare come potremo scampare alle truffe di chi cerca gloria, soldi e/o di infamare la Chiesa? 
  • non glie le abbiamo fatte noi materialmente, ma con questa mentalità refrattaria ad ascoltare le vittime noi per primi costruiamo il contesto remoto e la condizione di possibilità culturale per cui queste cose possono darsi. Quanti altri casi Jean Vanier dovrete vedere, per accettare questo fatto?! 

Il contrasto interiore potrebbe andare avanti ancora a lungo: questo incipit esemplificativo solo per dire che non è mai facile districarsi tra verità e menzogna, quando in ballo ci sono questi racconti, anche laddove si dia la migliore delle precondizioni epistemiche, e cioè la sincera disponibilità a conoscere la verità quale che essa sia, senza precomprensioni apologetiche di sorta. 

Quando leggiamo la “testimonianza” della persona nota come Charlotte Wells siamo presi da molti dubbî, e ben circostanziati, che vorrebbero chiedere a quella donna più informazioni, più riscontri, più dettagli, più nomi: qual era l’ordine a cui afferiva il suo convento? chi era la superiora? chi il prete? chi le altre suore? chi le aveva detto che lei “apparteneva al papa”, e basandosi su quale diritto? Bisogna però che questo sia molto chiaro: facciamo tante domande perché ci pare di vedere altrettanti buchi aperti nel suo racconto, non perché ci preme che lei dica il falso. Speriamo bene che lei non abbia subito nulla di ciò che denuncia, ma ancor meno vorremmo sospettare che i suoi racconti siano frutto d’invenzione e di perfidia: non c’è colpa nell’essere abusati, mentre la calunnia è colpa tra le più gravi. 

Insomma vorremmo negare e anzi capovolgere l’asserto implicito del “Nilah and Charlotte Evangelistic Team”: 

  1. il protestantesimo non sarebbe vero se fosse falso il cattolicesimo; e soprattutto 
  2. il cattolicesimo non sarebbe falso neanche se “Charlotte” fosse in tutto e per tutto veridica e veritiera. 

Deponiamo le armi della nostra incredulità: la fede cattolica non sta in piedi se “Charlotte” è bugiarda o mitomane, né cade se ella dice il vero. Allora perché faremmo tante domande a “Charlotte”, potendo ipoteticamente interloquire con lei, se non per sbugiardarla? Qui viene la parte impegnativa, quella che in realtà diciamo a cuor leggero, nel caso di una persona vissuta cent’anni fa, perché tante domande dovremmo farle per andare a indagare, verificare, far pulizia. E ovviamente è più facile dire “purtroppo non possiamo fare più niente” che andare a disturbare dinamiche ora in atto, rapporti di forza ora in essere, vincoli personali ora saldi. 

Quando non agiamo su abusi probabilmente in corso nel presente

Tutti sappiamo, ad esempio, di strane “congregazioni” (perlopiù femminili, ma non esclusivamente) erette da privati chierici (perlopiù preti, ma non esclusivamente): nel corso degli ultimi anni anche nella nostra redazione sono arrivati racconti su ragazze tenute segregate da un noto prete italiano, un ribelle già sottoposto a severi provvedimenti disciplinari, le quali giovani non escono mai dal “monastero” né mai ricevono le visite della famiglia.

«Possono incontrare i famigliari quando vogliono», ribatte sibillino il prete quando viene interpellato sull’argomento dalla trasmissione “Le Iene”. Quelle donne non sono certo in carcere, e se volessero uscire dall’edificio in cui vivono potrebbero farlo in qualunque istante. «Si tratta poi di maggiorenni», come ha ricordato il prete, mancano i segni di coartazione della volontà… in base a quale ipotesi di reato lo Stato potrebbe indagare? La gerarchia ecclesiastica ha già esaurito tutte le sue (scarse) cartucce, nel caso di specie… chi può intervenire a verificare cosa accada nel “convento”, quali siano le condizioni psicofisiche delle giovani che vivono lì, e a quel punto in che modo quella comunità esprima un carisma del quale l’intera compagine ecclesiale si arricchirebbe? 

Abbiamo pensato a quelle ragazze, delle quali nel corso degli ultimi anni qualcuno è venuto a parlarci, mentre leggevamo la “testimonianza” di “Charlotte”: se oggi o domani una o più di loro uscissero dal luogo in cui si trovano e cominciassero a girare l’Italia e il mondo raccontando la loro “testimonianza”, 

  1. le loro storie apparirebbero congrue e credibili? 
  2. più nello specifico, i loro contenuti sarebbero compatibili con ciò che sappiamo della Chiesa cattolica e del cristianesimo? 
  3. e sul piano morale, avrem(m)o noi la facoltà di chiedere perdono, domani, non avendo oggi quella di intervenire? 

Abusatori e abusati: tutti possiamo esserlo (in men che non si dica) 

Questo è un grosso tema, parlando di abusi: “giurisdizione” e “consenso” possono facilmente diventare le maschere urbane dell’omertà – summum ius, diceva Cicerone, summa iniuria. Ma ce n’è un altro più vicino, benché più rarefatto, che l’intelligenza di governo di Papa Francesco cerca di evidenziare coi suoi interventi: l’abuso sessuale, quando c’è, è spesso il corollario dell’abuso di potere e dell’abuso psicologico/spirituale. I giornali sono perlopiù ben disposti a dar voce alle “Charlotte Wells”, purché i dettagli della “camera del prete” siano descritti con dovizia di particolari: bene il razzismo tra le suore, anche quello si vende bene, però meglio se lo esercitano i preti e non le superiore; benissimo i preti africani che elargiscono mancette alle suore africane in cambio di “certe mezz’ore”, purché alla fine non siamo noi a fare la figura dei razzisti. La verità, però, è che all’abuso di coscienza, cioè all’abuso spirituale (a commetterlo e a subirlo) siamo tutti quanti esposti.

Giusto ieri un ragazzo mi raccontava del religioso che seguiva lui e la sua ragazza, e che un giorno ha seccamente ordinato alla giovane coppia: «Lasciatevi. Voi non siete fatti per stare insieme. Non riprovateci, non alimentate le speranze, non chiamatevi e non mandatevi messaggini, voltate pagina». Sono rimasto senza fiato: con che coraggio questi sant’uomini si espongono ai venti dello Spirito, così da compiere tanto dirigisticamente il famoso discernimento già da fuori le coscienze altrui! Se fossi al posto loro riuscirei a malapena a raccomandare a una coppia sposata un timido “non vi lasciate!” (e in qualche caso andrei perfino contro la dottrina della Chiesa!), e qui fioccano santi chiaroveggenti che escludono guarigioni, conversioni, “piccoli passi possibili”… Certamente può capitare il caso di una relazione così tossica che anche un amico di uno solo dei due possa arrivare a consigliare: «Fatevi un favore, staccate un momento». Anche questo però è un consiglio, ed è diverso dal paternalistico ordine di chi millanta di vedere il destino specifico delle persone che si affidano al suo parere. 

All’inizio della seconda Lettera ai Corinzî, Paolo scrive: «Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia» (2Cor 1,24). Ecco un versetto che non solo chi si avvia al tremendo compito della “guida spirituale” dovrebbe farsi tatuare su ogni angolo di pelle (meglio se dalle due parti: sopra e sotto), ma pure chi una guida spirituale va cercando, chi vorrebbe farsi dire come vivere, chi cerca riparo, conforto, consolazione. Va benissimo tutto questo: è umano e Colui che «non disdegnò l’utero della Vergine» (Te Deum) è venuto appunto per corrispondere a questi sensi «al di là di ogni desiderio e di ogni merito». Non bisogna però abbandonarsi alla tentazione di giocare ai burattinai nella vita degli altri, perché spesso se ne lasciano delle carcasse smangiucchiate che se ne vanno girando come morti viventi (magari pure dando “testimonianze”); e d’altro canto non bisogna cedere alla lusinga di abbandonarsi alle mani del primo che passa (ma neanche del decimo e del centesimo). 

Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi – raccomandava infatti san Paolo ai Galati –; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù.

Gal 5,1 

Ultima domanda: come si fa però a vivere una vita spirituale seria senza confrontarsi con qualcuno? Chi ci garantisce che la nostra vita spirituale non sia una gigantesca proiezione di noi stessi, con tutte le nostre idiosincrasie? Giusta obiezione: la risposta è “certo che ci vuole qualcuno con cui stare”, perché il “Dio-con-noi” ci ha mandato lo Spirito ma sempre “con-noi”. 

Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri.

Gal 5,2 
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