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Chi è la prostituta della Babilonia dell’Apocalisse?

WHORE OF BABYLON

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Anthony Pagliarini - pubblicato il 29/07/22

La grande distruttrice della speranza nell'efficacia della vittoria di Cristo è un appello a guardare al di là di questa

“Vieni, ti farò vedere il giudizio che spetta alla grande prostituta” (Ap 17, 1). L’Apocalisse ci presenta così la figura di una donna con cui “i re della terra hanno fornicato” e “gli abitanti della terra si sono ubriacati con il vino della sua prostituzione” (Ap 17, 2).

Ma chi è questa prostituta? La Chiesa cattolica, ovviamente! O almeno è quello che molti su YouTube vogliono farci pensare. Per fortuna, c’è una lettura più intelligente e anche molto più arricchente.

Nel Libro dell’Apocalisse, Giovanni conclude le sue visioni con un racconto della “santa città, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo” (Ap 21, 2).

Questo, il perenne rifugio dei fedeli, è omologo e contrappunto della “grande città” (18, 10), che ora opera con prepotenza la persecuzione dei fedeli. Di questa è immagine la prostituta, quella che “era ubriaca del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù” (17, 6). Come dice Giovanni, “la donna che hai vista è la grande città che domina sui re della terra” (17, 18).

Ma che città è “la grande città”? Cos’è “Babilonia”? Nel Libro dell’Apocalisse ci sono molti elementi che fanno pensare a Roma. Dopo tutto, di chi se non della città imperiale si può dire che “domina sui re della terra”? E dopo le persecuzioni del I secolo sotto Nerone e Domiziano, chi meglio di lei potrebbe scoprirsi ubriaca “del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù”?

C’è anche il commento che sembra collocare la grande città sui tradizionali sette colli di Roma. Le teste del dragone su cui siede la donna “sono sette monti” (17, 9). E ovviamente c’è il precedente, nello stesso Nuovo Testamento, del fatto di parlare di Roma come figura di “Babilonia” (cfr. 1 Pietro 5,13).

Nonostante questo, molti elementi suggeriscono un’altra lettura. Si dice che la “grande Città” sia il luogo “dove il Signore è stato crocifisso” (11, 8). È stato anche il luogo della persecuzione dei profeti (18, 24). È ovvio, è Gerusalemme! E se ricordiamo i gusti di Santo Stefano e di San Giacomo, potremmo definire le sue vite “ebbre” come quelle di Roma.

La distruzione della città, poi, sembra dover avvenire presto (20, 6-12), un possibile riferimento alla caduta di Gerusalemme nell’anno 70. Sembra infine appropriato che la “Gerusalemme celeste” trovasse la sua controparte nella Gerusalemme terrena.

Le argomentazioni sono convincenti in entrambi i casi, ma forse la questione è proprio questa. Nel tipo di scritto che troviamo nel Libro dell’Apocalisse si impiegano molto le immagini, e anche se queste fungono da chiave per realtà storiche specifiche (Roma, Gerusalemme), sono anche destinate ad abbracciare riferimenti futuri.

Prima dell’arrivo di quella “città santa, la nuova Gerusalemme”, non scarseggiano i personaggi o i luoghi il cui esercizio del potere fa gridare ai fedeli “Fino a quando aspetterai, o Signore santo e veritiero, per fare giustizia e vendicare il nostro sangue su quelli che abitano sulla terra?” (Ap 6, 10).

Il modo più significativo di intendere la prostituta e la grande città che rappresenta è forse allora vederla come quella che Agostino chiama “la città dell’uomo”. Il ruolo della prostituta di Babilonia è innanzitutto opporsi all’Agnello.

Babilonia rappresenta qualcuno il cui potere sembra determinante di tutto, il cui governo si presenta come inevitabile e del tutto irresistibile. È lei che a qualsiasi età esercita il dominio e che, per il bene della propria gloria, configura il mondo a sua immagine.

Detto in altri termini, “Babilonia” è tutto ciò che distrugge la speranza nell’efficacia della vittoria di Cristo, tutto quello che porta i fedeli a seguire l’Agnello “dovunque vada”(14, 4).

È sull’Agnello, che sembra “come immolato” (Ap 5, 6), che l’Apocalisse ci invita maggiormente a riflettere. La donna – sfacciata, ebbra e condannata – rende solo visibile quella che Simon Tugwell chiama “l’onnipotente debolezza di Dio”.

L’Agnello che è morto è “vivo per sempre”, e solo Lui ha “le chiavi della morte e dell’Ade” (Ap 1, 18). Chiamando la donna e la grande città “Babilonia”, Giovanni cerca di modellare in lei il ruolo del grande nemico storico di Israele.

In questo modo, parla non solo del terrore che lei infligge, ma anche della sua inevitabile caduta. Babilonia è il nome della sconfitta. È il nome di ciò che sembra invincibile ma cade in un istante. “Ahi! ahi! Babilonia, la grande città, la potente città! Il tuo giudizio è venuto in un momento!” (Ap 18,10).

Chi è allora la prostituta di Babilonia? Ci sono molte risposte, e molte altre potrebbero sorgere. Giovanni ci mostra ciò che è comune a tutte e, cosa più importante, mostra chi è in tutti i casi la causa della caduta di Babilonia: Cristo, l’Agnello sacrificato.

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