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L’arcivescovo di Mosca e l’auspicio di una visita papale in Ucraina e Russia

Pope Francis leads a mass for the Solemnity of Saints Peter and Paul

Antoine Mekary | ALETEIA

Agi - pubblicato il 24/07/22

Monsignor Paolo Pezzi ritiene la presenza di Papa Francesco a Mosca e Kiev un passaggio fondamentale per aprire una riconciliazione. E all'Agi racconta dell'odio che sta crescendo tra i due popoli, mentre i rapporti ecumenici sono "molto difficili" e il dialogo è fermo


Pregare per la pace incessantemente, perché “quanto sta accadendo in Ucraina porta non solo morte e distruzione ma un incremento dell’odio” tra i due popoli, che avrà conseguenze di lungo termine; auspicare un viaggio del papa a Mosca e Kiev per aprire a una riconciliazione col necessario coinvolgimento, però, delle autorità religiose locali.

È quello che dal 24 febbraio, all’avvio di quella che in Russia si chiama “operazione militare speciale”, non smette di fare l’arcivescovo cattolico di Mosca, mons. Paolo Pezzi.

Il Papa lo ha detto esplicitamente che è pronto a lavorare per una mediazione“, ricorda il responsabile dell’arcidiocesi della Madre di Dio, in un’intervista all’AGI nel suo ufficio presso la curia, dietro la grande cattedrale dell’Immacolata Concezione, un imponente edificio in stile neogotico, piuttosto raro a Mosca.

“Una visita del Pontefice”, continua, “è molto auspicabile, ma dovrebbe essere doppia, nelle due capitali, perché non penso che un viaggio unilaterale sarebbe positivo“.

Una cosa importante, secondo l’arcivescovo – romagnolo, classe 1960, della provincia di Ravenna e che dal 2003 ha fatto della Russia la sua casa – “è che quando e se avverranno queste visite, coinvolgano i responsabili religiosi locali, fondamentali per gettare le basi di una pacificazione delle società”.

Pezzi tocca con mano l’odio che sta crescendo tra russi e ucraini: tra i 700mila cattolici che si stimano in Russia, ci sono anche tedeschi, armeni e molti ucraini; diversi fedeli hanno parenti o amici nelle zone di conflitto.

“In questi cinque mesi, continuo a ripetere loro che come cristiani abbiamo la forza della preghiera per la pace; poi invito tutti ad avere l’umiltà di domandare a Dio la forza di perdonare e chiedere perdono, ma a questo i fedeli rispondono con difficoltà”, ammette l’arcivescovo che ha organizzato nella sua comunità diverse raccolte di aiuti sia per la popolazione in Ucraina, che per i profughi all’estero.

Ho dei fedeli che ritengono quanto accade come un’azione demoniaca contraria all’umanità e altri, anche di origine ucraina, che sono assolutamente favorevoli perché la vedono come il male minore, come un passo che prima o andava intrapreso”, racconta.

“Si tratta di persone che non sono solo del Donbass, ma cattolici di Kiev o Leopoli”, sottolinea Pezzi, “poi ci sono i cattolici di Lugansk e Donetsk i quali riferiscono che dal 2014 non hanno mai vissuto un momento di tregua da parte delle forze ucraine. Magari qualcuno esagera, ma penso sia un aspetto da tenere in conto. Io penso, invece, che comunque lo si voglia chiamare, il ricorso alla forza militare, dovrebbe essere una soluzione superata nel mondo moderno, dove però vediamo aumentare guerre e conflitti. È una sconfitta per tutta l’umanità”.

Oggi, nota l’arcivescovo, “il rapporto tra i due popoli è molto difficile, credo siamo almeno al livello di quanto avvenuto tra polacchi e tedeschi, e inoltre l’aspetto religioso ha aggiunto un’ulteriore complicazione. Servirebbe un forte gesto di perdono reciproco e per questo è necessario un coinvolgimento delle Chiese ortodosse”.

Il Patriarcato di Mosca ha di fatto benedetto la scelta del Cremlino di inviare l’esercito oltre confine, ma anche il mufti’ di Russia ha appoggiato quanto sta accadendo.

“Ognuno ha la sua ragione, che io mi permetterei di contrastare, ma che è così e queste posizioni hanno creato un’ulteriore distanza: la Chiesa ortodossa ucraina sotto la giurisdizione di Mosca ha deciso un allontanamento, non ancora una separazione, e alcuni sacerdoti e parrocchie sono passati alla Chiesa ortodossa d’Ucraina riconosciuta autocefala dal Patriarca Bartolomeo, un gesto quest’ultimo che, a sua volta, ha alienato Mosca da Costantinopoli”.

La situazione in Ucraina ostacola, di certo, il realizzarsi dell’agognata visita di un Papa a Mosca, su cui si è iniziato a sperare di più dopo il primo incontro tra Francesco e il Patriarca Kirill a Cuba nel 2016. Al momento, si tratta di un’ipotesi a cui il Cremlino, più che il Patriarcato russo ortodosso, guarda con cautela.

“Dall’amministrazione del presidente abbiamo registrato segnali di cautela”, spiega Pezzi, “quando il Papa ha espresso il desiderio di venire, hanno detto di non aver ancora ricevuto una richiesta ufficiale, ma per quel che riguarda il Patriarcato non penso abbiano obiezioni”.

Francesco e Kirill dovevano incontrarsi di nuovo a Gerusalemme a giugno scorso, “ma al Papa è stata suggerita l’inopportunità di un faccia a faccia in questo contesto e, di comune accordo, il viaggio è stato declinato”.

Ora si attende il Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali, che si terrà a Nur-Sultan, in Kazakistan, il 14-15 settembre. “Sarà un appuntamento molto importante”, conclude Pezzi, “dovrebbero esserci sia il Papa, che ha espresso il desiderio di andare, che Kirill e Bartolomeo”.

La crisi ucraina ha di fatto congelato il dialogo ecumenico, che anche se a rilento aveva compiuto dei passi significativi negli ultimi anni: “Sono sincero”, conclude l’arcivescovo, “i rapporti ecumenici ora sono difficili, io cerco di non chiudere nessun canale, ma il dialogo si è fermato; con la Chiesa ortodossa abbiamo concordato insieme solo un progetto di aiuto umanitario all’Ucraina ma di cosa possiamo parlare quando ci incontriamo, mentre intorno succede tutto questo?”.

L’originale su AGI

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