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Cuba, un anno dopo le proteste: “La povertà peggiore è la mancanza di libertà”

HAVANA

YAMIL LAGE / AFP

Aiuto alla Chiesa che Soffre - pubblicato il 20/07/22

L'11 luglio si è commemorato un anno dalle storiche proteste pacifiche a Cuba, che hanno mobilitato milioni di persone in tutto il Paese caraibico. Negli ultimi mesi, la crisi economica e sociale sta facendo aumentare l'emigrazione

Padre Bladimir Navarro, sacerdote cubano residente in Spagna, ha parlato con Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) della situazione nel suo Paese.

Com’è in questo momento la situazione nel Paese?

Il popolo di Cuba soffre la fame e ha moltissime necessità. È molto triste vedere come gli anziani vendano i propri averi in strada per ottenere il minimo per comprare qualcosa da mangiare, o assistere alle lunghe file davanti ai negozi. Il popolo cubano sta sopravvivendo, e la povertà peggiore è la mancanza di libertà. A parte la miseria a livello economico, viviamo la miseria della paura, dell’emigrazione, della mancanza di valori. Un altro tema urgente è la mancanza di medicinali. Non si riescono ad avere né paracetamolo né ibuprofene, e ovviamente neanche antibiotici.

La situazione si è aggravata dopo l’11 luglio dell’anno scorso, quando si sono verificate le proteste pacifiche?

Moltissimo. La dittatura comunista cubana ha paura di perdere il potere. Sono state approvate nuove leggi per perpetuare la sua ideologia marxista. L’inflazione è aumentata enormemente. I Cubani sono stati molto contenti quando è stato detto che i salari sarebbero aumentati, ma ora il prezzo dei prodotti di base è altissimo, non si può comprare il latte e non ci sono medicine. Stiamo vedendo molte case crollare in tutto il Paese, mentre all’Avana si costruiscono nuovi alberghi. Se alzi la voce e dici la verità vanno contro di te, ti diffamano. Hanno aumentato le pene carcerarie.

Qual è la necessità principale dei Cubani?

La necessità di essere liberi e di veder rispettata la propria dignità. Il danno umano, antropologico che sta subendo il popolo cubano è enorme. Perché per il fatto di pensarla diversamente dal regime comunista devi essere considerato una scoria, un verme, un nemico? Alla base di tutto questo c’è il danno umano che ha provocato l’ideologia marxista per 60 anni a Cuba. Il marxismo va contro la famiglia, distrugge la libertà e la dignità dell’essere umano. È la miseria e il peggio che sta accadendo ora ai Cubani.

Cosa sta accadendo alle persone che l’anno scorso hanno chiesto libertà?

È deplorevole vedere tantissimi giovani in carcere. Le pene sono durissime, di oltre 10 anni pe rmolti giovani, alcuni di appena 17 anni. Hanno solo detto “Vogliamo libertà, vogliamo vita; vogliamo vivere e non sopravvivere”. Ora si persegue chiunque metta una foto o qualcosa contro il comunismo sulle reti sociali.

Chiunque racconti qualcosa della quotidianità, dalla fila per il pane a qualcosa che è accaduto a scuola dei figli, viene minacciato. Per questo, molte persone hanno deciso di andare via, e l’emigrazione sta aumentando moltissimo. La gente è stanca di alzare la voce e di essere arrestata. Ci sono ancora più di 900 persone in carcere solo per aver manifestato pacificamente l’11 luglio, senza attaccare, solo camminando.

Cosa sta facendo la Chiesa di Cuba, e fino a dove può arrivare per alleviare la sofferenza?

La parola è accompagnare, accompagnare la sofferenza del popolo. Come ha fatto Mosè col popolo di Israele, tirandolo fuori dalla schiavitù. Ci sono molte persone, religiosi, sacerdoti, vescovi e laici impegnati che stanno accompagnando i più sofferenti, offrendo incoraggiamento e speranza in un momento tanto triste.

L’aiuto non è solo materiale, come nel caso della missione di Caritas Cuba o di istituzioni come Aiuto alla Chiesa che Soffre, che ci stanno aiutando moltissimo. Bisogna accompagnare, ascoltare, stare accanto a chi soffre e rafforzarlo a livello materiale e spirituale. 

Possiamo dire che Cristo è la vera speranza di cui ha bisogno in questo momento il popolo cubano?

È vero che Cristo è l’unica speranza, Lui è “la speranza che non delude”, ma le cose vanno male, e questa speranza si è indebolita, soprattutto tra i giovani, che vedono come unica soluzione andarsene dal Paese. Gesù, però, ha parole di speranza, e la Chiesa con la sua dottrina sociale può risollevare la speranza dei Cubani. La Chiesa è un rifugio di speranza, per collegarsi al Signore e guarire le ferite dell’ideologia marxista.

Cosa possiamo fare da qui per allargare le braccia della Chiesa cubana?

Essere la voce di chi non ha voce, per capire cosa sta accadendo a Cuba, perché dopo ciò che è successo l’11 luglio Cuba ha smesso di fare notizia. La situazione si è aggravata molto, e non solo per la guerra in Ucraina, ma per anni di cattiva gestione. Anche la preghiera è fondamentale. Ovviamente è decisivo l’aiuto materiale, attraverso organizzazioni e fondazioni, come ACS. Ci auguriamo che ACS continui a offrire il suo sostegno perché i Cubani sentano che non sono soli.

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