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La CEI integra i ministeri di Francesco: occhio agli effetti collaterali

KOBIETY PRZY OŁTARZU

Pascal Deloche / Godong

Giovanni Marcotullio - pubblicato il 13/07/22

Accolitato, Lettorato e Catechistato non sono più appannaggio del sacerdozio ministeriale. La Conferenza episcopale intende integrarli alla verifica sinodale, ma nessuna precauzione sarà di per sé sufficiente ad evitare perversioni (anche fragorose e scandalose).

Il 13 luglio 2022 l’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Conferenza episcopale italiana ha pubblicato una scheda esplicativa alla Nota sui ministeri istituiti del Lettore, dell’Accolito e del Catechista per le Chiese che sono in Italia, la quale invece era stata pubblicata il 5 giugno scorso, nella domenica di Pentecoste. 

Dichiaratamente, si raccolgono i contenuti dei motu proprioSpiritus Domini” e “Antiquum Ministerium”, ossia gli atti magisteriali con cui papa Francesco ha completato la parabola montiniana di Ministeria quædam (per la quale gli ordini minori vengono restituiti ai fedeli laici) e aggiunto al novero del Lettorato e dell’Accolitato il ministero istituito del Catechistato. La Nota aveva anche inserito «il tema dei “ministeri istituiti” all’interno del Cammino sinodale che costituirà così un luogo ideale di verifica sull’effettiva ricaduta nel tempo e nei territori». 

La Scheda pare intesa, in un certo senso, a sintetizzare in una pagina e mezza le sei della Nota, anche se non sembra che la lettura di quella possa dispensare dall’assimilazione di questa. L’affermazione “laici e laiche assumono così un ufficio qualificato all’interno della Chiesa” (Scheda), altrimenti, potrebbe oscurare quella giustamente volta a ricordare che «il servizio nella Chiesa non si configura come una professione, né come una carica onorifica» (Nota). 

Se volessimo anche noi esercitarci in una “sintesi della sintesi”, una specie di bignamino dei ministeri (ma diremmo piuttosto un “indice della materia” – che inviti quindi per sua natura all’attenta lettura di entrambi i documenti), diremmo anzitutto questo: 

  1. I ministeri vengono suscitati da Cristo, nello Spirito e per il Regno del Padre. 
  2. Ciò significa che si manifestano (perlopiù) nella Chiesa (visibile) e che sempre per essa e al suo interno sono intesi. 
  3. Deputata a compiere la delicata opera del discernimento sui ministeri è la comunione gerarchica della Chiesa, e quindi in primis il Vescovo, debitamente assistito e supportato dalle rappresentanze di tutti gli altri segmenti ecclesiali. 

È altresì importante ricordare che: 

  • La Chiesa ha potere di decidere come strutturare i ministeri laicali, proprio per il fatto che essi sono “di diritto ecclesiastico” e non divino (a differenza della struttura gerarchica d’ordine); 
  • Pur afferendo al diritto ecclesiastico, le loro finalità (non remote ma prossime) riguardano strettamente l’avvento del Regno di Dio e l’implantatio Ecclesiæ, dunque la Chiesa stessa deve darseli come se li stesse ricevendo (dal momento che se li dà per i fini che ha effettivamente ricevuto e che costituiscono la propria stessa ragion d’essere). 

È superfluo che stiamo qui a ripetere quel che sia la Nota sia la Scheda illustrano sugli scopi dei tre singoli ministeri istituiti. Giova però riportare qui, a titolo esemplificativo, questo: 

La CEI ha scelto di conferire il “ministero istituito” del/la Catechista a una o più figure di coordinamento dei catechisti dell’iniziazione cristiana dei ragazzi e a coloro che in modo più specifico svolgono il servizio dell’annuncio nel catecumenato degli adulti. 

Con una sintesi brutale: non tutti i catechisti saranno Catechisti (le maiuscole e le minuscole sono presenti nella stessa Scheda, che le riprende esattamente dalla Nota), ma solo quelli dediti al catecumenato degli adulti e alcuni di quelli dediti all’iniziazione cristiana dei ragazzi. Il che è del tutto sensato e ragionevole, considerando quanto spesso i catechisti si trovino ad essere, nella realtà fattuale delle attuali parrocchie italiane, soprattutto persone volenterose e ben disposte che si mettono a disposizione della comunità condividendo quel che a loro volta hanno ricevuto (ciò non significa che l’abbiano approfondito e integrato in una adeguata riflessione teorica, e soprattutto in una vita armoniosamente radicata nell’Evangelo fedelmente trasmesso dal Magistero ecclesiastico). Tutto questo è del tutto sensato, dicevamo, ma lascia le condizioni perché si presentino almeno questi problemi: 

  • in tutte le parrocchie si scateneranno ovvie dinamiche di prevaricazione, invidia, gelosia, per un titolo che ha un bel dirsi “non una carica onorifica”, significando comunque “un ufficio qualificato all’interno della Chiesa” (e in moltissime comunità si commettono peccati non veniali per titoli assai meno impegnativi); 
  • nei movimenti ecclesiali che al ministero di catechista attribuiscono per statuto un’importanza di fatto spesso superiore a quella del presbitero e talvolta sconfinante con quella del vescovo (chi scrive ha visto in più circostanze ordinazioni presbiterali rinviate per il giudizio del catechista e contro quello del vescovo…) l’eventuale mancato conferimento dell’istituzione ministeriale a chi già esercita il catechistato (e quel catechistato) significherebbe un insostenibile discredito per il/la stesso/a catechista all’interno della propria comunità. Ciò conferirebbe 

    • da un lato una forte leva in mano al Vescovo per “moderare” le tendenze serpeggianti in certi contesti ecclesiali… 
    • e dall’altro un “inquadramento normativo” che, per quanto gradito, potrebbe ricadere comunque “riduttivo” per contesti in cui la catechesi e il catechista hanno un’importanza inespressa altrove. 

Resta da tener presente (e forse lo si poteva precisare più chiaramente) che in ordine al ministero, preso nel suo complesso, si devono distinguere: 

  • il rito (che conferisce un “qualcosa” di permanente e che pertanto non può essere neppure ripetuto); 
  • e il mandato (che invece è dato ad quinquennium e che va soggetto a verifica e rinnovo). 

Nel complesso, lo strumento proposto dal Papa e adottato dalla CEI è potente e molto articolato… il che non lo esime dai rischi di distorsioni (anche forti) in seno alla comunità. Il riferimento alla verifica sinodale è in tal senso più che appropriato, ma pure la sinodalità è un’arte che non si impara senza il Soffio del Consolatore (mai da dare per scontato) e che neppure in quel caso prescinde dalle fragilità, dalle ferite, dalle debolezze degli uomini (e delle donne). Il che, visto che si parla di strumenti volti ad evangelizzare, va certamente tenuto in considerazione. 

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