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Come san Benedetto ristabilì l’umiltà fra i monaci 

WEB SAINT BENOIT EUROPE t  Meister von Meßkirch ©Wikimedia

Maestro di Meßkirch, San Benedetto in preghiera, 1530. © Wikimedia

Aliénor Goudet - pubblicato il 11/07/22

Quando l’eremita Benedetto da Norcia (480-547) accettò di tornare tra i monaci, restò scandalizzato dalla decadenza della vita monastica. Un’atmosfera tanto debosciata gli ispirò più tardi i temi della famosa Regola, per ricondurre i monaci all’umiltà, virtù da lui ritenuta la più importante. Per questo egli impiegò un metodo semplice ma efficace: l’equilibrio tra lavoro e preghiera.

Lazio, anno di grazia 510. Erano diverse ore che Benedetto camminava, lo sguardo nel vuoto e il pensiero amareggiato. Pochi metri più in là, tra pericolosi spuntoni di roccia, il monaco avrebbe ritrovato la grotta nella quale aveva vissuto da eremita per tre anni. Benché sollevato dall’aver ritrovato la propria cella di fortuna, dove si sentiva più vicino a Dio, il suo cuore era ancora carico di tristezza. 

Dopo aver rifiutato per più volte di prendere il posto di un padre defunto della comunità di Vicovaro, Benedetto aveva ceduto. Appena arrivato, però, si era rapidamente reso conto che l’avevano scelto per la sua reputazione di sant’uomo, ma che i monaci conducevano una vita troppo comoda, godendosi le elemosine e dimenticando l’ascesi. Quando lui aveva cercato di raddrizzare i costumi corrotti, i fratelli avevano cercato di avvelenarlo. Ferito dal gesto, Benedetto aveva lasciato Vicovaro. «Signore – si lamentava col buon Dio nella grotta –, com’è possibile che i tuoi servi si lascino andare fino a questo punto?». 

Scegliendo Dio, i monaci non dovevano osservare la povertà, l’obbedienza e l’umiltà? Come hanno fatto i suoi fratelli a tentare di avvelenare il loro prossimo per preservare un comfort materiale che non ha alcun valore per la vita dell’anima? Come si può dimenticare tanto rapidamente il sacrificio di Dio per gli uomini? Benedetto piangeva lacrime caldissime e offriva la propria preghiera per i monaci dissoluti. 

Il lavoro manuale, cammino verso l’umiltà 

Qualche tempo dopo, quando Benedetto aveva ripreso la propria vita di eremita, il santo trovò davanti alla propria grotta un giovane monaco col fiato corto. Benedetto gli chiese che cosa ci facesse lì. 

Maestro – lo pregò quello –, fa’ di me il tuo discepolo e insegnami la vita della preghiera. 

Benedetto lo benedisse ma lo rimandò. Il giorno seguente, altri tre monaci arrivarono a trovarlo. L’indomani erano venti. La settimana seguente, fu un gruppo di cento che si trovò alla grotta. Il numero non cessava di aumentare. Alla fine Benedetto accettò, vedendo nella loro supplica la volontà di Dio. S’installò presso il laghetto di Subiaco con i suoi condiscepoli. 

I monaci furono divisi in dodici gruppi da tredici. Per Benedetto la parola d’ordine era “equilibrio”. Se l’ascesi riveste una parte importante della vita monastica, non bisogna dimenticare il lavoro manuale. Non c’è metodo migliore per ritrovare l’umiltà, soprattutto in un’epoca che spesso lasciava agli schiavi il lavoro manuale. Se c’è una cosa che Benedetto rimproverava in ogni circostanza, questa erano gli eccessi nelle penitenze e nelle mortificazioni. 

– Non è consono al mio rango! – protestò uno dei monaci, proveniente dall’aristocrazia – Io non posso abbassarmi a questo. 

– Dunque il tuo orgoglio – rispose netto Benedetto – ha più importanza di Dio? In tal caso, vattene. 

Gli altri monaci seguirono Benedetto con slancio. La piccola comunità fiorì e incantò gli abitanti dei dintorni, che lasciarono le chiese locali per assistere alle messe dei monaci. La gelosia portò i preti della regione a calunniare i monaci. Per una seconda volta, Benedetto scampò a un tentativo di avvelenamento. In campo a una ventina d’anni, gli attacchi malevoli divennero tanti e tali che i monaci, verso il 529, decisero di lasciare Subiaco. 

Il capolavoro che è la Regola 

Benedetto condusse i suoi condiscepoli verso il monte di Cassino, dove si trovavano i resti di un tempio pagano dedicato ad Apollo. I monaci provvidero a distruggere gli idoli e ad avviare i lavori di ristrutturazione degli edifici. Verso il 534, Benedetto cominciò a redigere la Regola. 

Una semplice frase guida la composizione: «Ora et labora». L’equilibrio che Benedetto cercava era un’armonia perfetta tra la preghiera e il lavoro. La regola permetteva poi al monastero di essere autosufficiente, poiché i monaci lavoravano la terra. Benedetto mise in guardia i monaci contro le mortificazioni eccessive: 

I servi di Dio hanno il dovere di digiunare spesso e di non abusare mai dei beni, ma non devono trascurare il necessario. 

I monaci dovettero rinunciare alla vita mondana e osservare obbedienza, umiltà, pietà, silenzio e povertà. I tempi di preghiera vennero condensati perché, secondo Benedetto, la loro lunghezza non comportava in sé una loro maggiore qualità. […] Insisteva sul fatto che fervore e bontà d’intenzione rivestono un’importanza assai maggiore. Questa impostazione fece sì che il monastero di Montecassino emanasse tutto un’infinita dolcezza. 

Benedetto nacque al cielo nel 547 a Montecassino. Volendo trovare un modello di vita umile, rigoroso e semplice, Benedetto giunse a scrivere la Regola, che ancora oggi serve da modello a numerosissimi consacrati al mondo. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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