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Andrea, illustratore e padre di 8 figli: “il nostro matrimonio grazie a San Giovanni Paolo II”

ANDREA PUCCI E CRISTINA

Andrea Pucci

Silvia Lucchetti - pubblicato il 09/07/22

Andrea e Cristina si conoscono nel 1989 alla Giornata Mondiale della Gioventù di Santiago di Compostela. "Non abbiate paura di essere santi" annunciò il Santo Padre ai giovani accorsi da tutto il mondo, e i due su queste parole hanno posto le fondamenta del loro matrimonio

Oggi vi presento Andrea Pucci, sposo, padre, nonno, disegnatore professionista. Lo seguivo sui social già da un po’ di tempo, ma l’idea di intervistarlo mi è venuta quando ha pubblicato l’immagine del ricordino che ha realizzato per il decimo anniversario della nascita al Cielo di Chiara Corbella Petrillo.

CHIARA CORBELLA PETRILLO, RICORDINO,

È stato un onore per me. Enrico (Enrico Petrillo, marito della serva di Dio Chiara Corbella NdR.) mi ha chiamato e mi ha detto: “ma quest’anno te la sentiresti di fare il ricordino di Chiara?”. “Certo, mi fa piacere un sacco”, gli ho risposto. Ero contentissimo della richiesta. “Tu che idee hai?”, gli ho chiesto. “Chiara è legata tanto a San Francesco, al simbolo del Tau. Alfa e omega in ebraico è aleph e tau, dove Cristo è l’inizio e il fine (non la fine) di tutte le cose, e Chiara l’ha vissuto”. Così ci ho pensato un po’ e ho deciso di inserire questi elementi. L’abbraccio del Padre, l’abbraccio del Figlio, Cristo che abbraccia Francesco che è a forma di Tau e Chiara che sta dentro a tutto questo, che porta i segni della passione: la benda sull’occhio. Lo spazio è verde, la creazione, perché in Gesù Cristo c’è ricapitolato tutto il creato. La cosa bella è che quando siamo andati ad Assisi in occasione della messa per Chiara, mia moglie Cristina mi fa: “ma oggi è la Santissima Trinità e nel ricordino l’hai rappresentata, te ne sei accorto?”. Ma io non ci avevo pensato, è stata una coincidenza, mentre Enrico credeva l’avessi fatto di proposito. Invece no ed è stata una conferma, un bel segno.

Ho intervistato Andrea Pucci il giorno del mio anniversario di matrimonio, 9 anni, venivo da settimane di affanno e di fatica, (tra le altre cose era morta mia nonna) sentivo che stavo perdendo qualcosa di bello soprattutto in famiglia e con i figli dietro a lamentele, mormorazioni, impazienza, insofferenza. Cercavo risposte concrete, testimonianze in grado di mostrarmi la bellezza che sta nascosta nella fatica. E Andrea me l’ha raccontata senza sentimentalismi, andando in profondità.

Così il 30 giugno, in una Roma rovente, facciamo colazione al bar accanto alla fermata della metro Libia su un tavolino traballante. Andrea inghiotte velocemente il cornetto a causa della mia raffica di domande. Lo ringrazio di avermi detto tanto, donato molto, a me e ai lettori che leggeranno la sua storia.

Caro Andrea, cominciamo con le presentazioni

Sono Andrea Pucci, ho quasi 53 anni e sono sposato da 31 anni con Cristina. Abbiamo 8 figli e siamo diventati anche nonni, sta per arrivare il settimo nipote. I nostri primi tre figli sono sposati e perciò adesso siamo in formato ridotto a casa, mi fa un po’ impressione. I primi sono due gemelli, Giacomo e Luca, hanno quasi 30 anni. Poi c’è Tommaso che ne ha 28, Davide 27, Emanuele 25, Daniele 21, Teresa 18, Caterina 15.

FAMIGLIA PUCCI

I nostri figli fanno mestieri diversi ma sono tutti accomunati dalla musica. Suoniamo, cantiamo. La compagnia della musica è una grande cosa e anche la disciplina dello studio. Io suono la chitarra e animo la messa in parrocchia. Vengo da una famiglia che mi ha trasmesso la fede, ho un fratello più grande, mia mamma stava in comunità (Cammino neocatecumenale NdR.), per un periodo c’è stato anche mio padre.

Come è nata la tua storia con Cristina?

Ci siamo incontrati al pellegrinaggio che abbiamo fatto per la Giornata Mondiale della Gioventù dell’89 a Santiago di Compostela con San Giovanni Paolo II. È il patrono della nostra famiglia, se non ci fosse stato e non avesse inventato questa cosa, la nostra famiglia non esisterebbe, perciò siamo tanto legati a lui. Quando siamo partiti per la GMG la mia parrocchia che è Santa Maria Goretti organizzava il pellegrinaggio con la mia comunità, io ne facevo parte dall’età di 12 anni. E Cristina era in cammino nella chiesa di San Giovanni Bosco, ma la sua parrocchia non aveva abbastanza giovani per formare un pullman. Le diedero tre numeri per capire a quale gruppo potersi aggregare. Il primo non rispose, il secondo non so cosa le disse e il terzo era il numero della mia parrocchia. Avevamo 19 anni.

Venivamo tutti e due da un periodo abbastanza particolare, io avevo avuto una delusione d’amore, avevo visto tante cose di me che non mi piacevano e mi disprezzavo. Cristina pure era uscita da una storia dopo tanti anni. Ricordo che partii dicendo a Dio: “Signore, credimi, io faccio solo casini, adesso mi fermo, non faccio più niente, tu mi dici cosa devo fare e io lo faccio”. Decisi di andare in pellegrinaggio con questa intenzione di chiarirmi sulla mia vocazione. Volevo capire se sarei diventato sacerdote o marito. Santiago per me e Cristina rimane una pietra miliare, perché è stato proprio il passaggio di Dio per noi. Siamo partiti con un pullman sgangherato che andava a 50 all’ora… Ma in quei giorni improvvisamente mi sentivo voluto bene, guardato, amato da Dio, non mi sentivo disprezzato. Quest’amore incondizionato per me è stata proprio una novità. Non mi ero mai sentito amato così. Eravamo una quarantina di ragazzi, mi sentivo in comunione con tutti ed ancora oggi è così, è rimasto un legame forte con il gruppo proprio perché abbiamo condiviso quell’esperienza.

Cosa ha significato per voi quella GmG?

La parola che è rimasta scolpita nel nostro cuore, che abbiamo ascoltato in quell’occasione è stata: “Non abbiate paura di essere santi”. Ed è stata la parola che ci ha condotto sulla strada che poi si è aperta dopo il pellegrinaggio. Io stavo così bene che ho detto a Dio: “Signore se stare con te è così, ovunque vuoi. Faccio lo spazzino, il fruttivendolo, il prete, il marito, quello che ti pare”. Ero convinto di dovermi fare sacerdote, lo pensai anche durante l’incontro vocazionale a Saragozza con Kiko Argüello ( iniziatore del Cammino Neocatecumenale insieme aCarmen Hernández NdR.). Lì con Cristina passammo tutta la notte a parlare: fu una serata bellissima. Sono stato in crisi per diverse settimane dopo quell’incontro, dicevo: “disattendo questa chiamata, lo so”. Nel viaggio di ritorno rimasi a Madrid con degli amici, e il pullman tornò indietro. Cristina scrisse su un giornale (che conserviamo incorniciato a casa nostra): “mi raccomando, richiama”. C’era il numero di telefono. Quando sono rientrato ci siamo sentiti, rivisti e due anni dopo ci siamo sposati, era il 31 agosto del 1991.

ANDREA PUCCI

Come è iniziata la vostra avventura di giovani sposi?

La nostra vita è partita per un’avventura pazzesca, sono arrivati i gemelli che sono stati un impatto tostissimo con la maternità e la paternità. Mia moglie lavorava, era segretaria in uno studio legale, con il loro arrivo ha lasciato l’impiego. I primi sei mesi sono stati una grande notte, non si vedeva mai l’alba. Passavamo da una poppata all’altra, da un cambio all’altro e questo ci ha aiutato tanto ad entrare nella genitorialità. Di solito inizi con un figlio e hai tante fissazioni, con due non te lo puoi permettere. All’epoca lavoravo già come illustratore, dopo quattro anni allo IED (Istituto Europeo di Design).

ANDREA PUCCI,

Facciamo un passo indietro. Quando è nata la tua passione per il disegno?

Io da che mi ricordo sono sempre stato con la matita in mano, ho fatto il liceo artistico che è stato un tempo di formazione molto importante, poi ho vinto una borsa di studio allo Ied e l’ho frequentato. Già al secondo anno ho iniziato a lavorare con agenzie pubblicitarie. Ho finito il corso a giugno, e ad agosto ci siamo sposati grazie ai guadagni ottenuti con i miei primi lavori. La nostra dichiarazione d’amore era stata: “ci sposiamo, facciamo tanti figli. E poi chi lo sa, magari andiamo da qualche parte del mondo ad evangelizzare“. Quando sono arrivati i figli eravamo contenti, ma poi con lo scandalo di “Mani Pulite” il mio lavoro è andato in crisi: molte agenzie chiusero e perciò era necessario che trovassi un’altra soluzione. Il lavoro da disegnatore era discontinuo e non dava certezze. In più lo vivevo male: forte ansia, ritmi forsennati, stanchezza, stress.

Da disegnatore ad impiegato: raccontaci

Mi proposero di entrare a lavorare in una società che faceva magazzinaggio e trasporti, una cosa completamente diversa: fare bolle di accompagnamento, occuparmi del magazzino, un’altra storia. Uno si immagina che tu fai il disegnatore, fai quello che ti piace, ed è tutto rose e fiori. Invece hai comunque commissioni, scadenze, tempi da rispettare, nottate da fare. Quando sono iniziati i problemi e dovevo trovare una nuova occupazione, da una parte mi dispiaceva dall’altra mi sono sentito di buttarmi. Sembrava anche una cosa nobile, avevo appeso le matite al chiodo per rimboccarmi le maniche per la famiglia. Ma in realtà ero caduto dalla padella alla brace, quello che affrontavo con difficoltà nel mio lavoro lo affrontavo allo stesso modo nella nuova esperienza. Detestavo il nuovo impiego, non mi piaceva, dovevo imparare delle cose che mi sembravano inutili e astruse. Sono stati sette anni così, di rifiuto. Nel frattempo sono arrivati gli altri figli, abbiamo cambiato casa due volte allontanandoci dal quartiere e perciò c’è stato un tempo di profonda solitudine e isolamento. Lontananza fisica dalle persone, dai fratelli di comunità. Da una parte sono stati anni di crisi, difficili, anche Cristina mia moglie viveva un momento molto impegnativo con una gravidanza dietro l’altra. Però quel tempo lo ricordo come il periodo della fondazione del nostro matrimonio, della nostra famiglia. Siamo stati costretti a tagliare tante cose, anche tante idee adolescenziali che ci portavamo dietro dalla giovinezza, e abbiamo imparato ad essere marito e moglie, padre e madre. Adesso ripensiamo a quegli anni con nostalgia anche se quel tempo è stato durissimo.

FAMIGLIA PUCCI

E poi come è andata?

Sette anni così, di prova. Continuavo ad affrontare male il lavoro, ma ad un certo punto grazie ai Sacramenti e alla Parola di Dio ho compreso che potevo continuare a vivere tutto con vittimismo, o potevo vivere il lavoro come servizio. Continuavo a ripetermi: “ogni cosa è sbagliata, questo lavoro non va bene, fa schifo quello che sto facendo”, e non comprendevo che il lavoro è un servizio. Anche come illustratore questa verità l’avevo sempre rifiutata. Perciò pensai: “la realtà è questa, ieri facevi il disegnatore oggi no, oggi stai qua, hai da fare queste cose, domani non lo sai, fai quello che devi fare per bene, fino in fondo”. Per me questo è stato un cambio di prospettiva enorme che mi ha fatto scoprire che se io facevo il mio lavoro con amore stavo amando qualcuno, qualcuno si sentiva voluto bene se io mettevo a posto le bolle di accompagnamento dove dovevano stare. Se rispondevo con cordialità al telefono qualcuno si sentiva considerato, preso sul serio, aiutato. Per cui pensai di mettere il mio umorismo a servizio del lavoro, lo facevo con allegria. Improvvisamente mi accorsi che tutto cambiava: era bello andare a lavoro, quello che facevo veniva apprezzato. Addirittura fecero un elogio particolare per lo stato dell’archivio di cui nessuno si voleva occupare e che divenne invece la punta di diamante dell’azienda. Ciò mi diede soddisfazione, cambiò il mio sguardo sul lavoro e tutto ne ricevette giovamento.

Da impiegato a disegnatore: come sei riuscito a tornare “indietro”?

Con Cristina ci facemmo due conti, avevamo esigenza di guadagnare di più, ma da impiegato non potevo aspettarmi altro. Così mia moglie mi incoraggiò: “tu sei un disegnatore specializzato, puoi ambire a crescere professionalmente e ricavare di più dal tuo lavoro”. Cominciai a pensarci, e lei nel frattempo vinse un concorso per un impiego al Senato. Questa sua sicurezza economica mi diede coraggio per buttarmi di nuovo nella mia carriera da illustratore. Ragionammo a lungo, facemmo discernimento, ascoltammo i consigli di alcuni sacerdoti, e alla fine decisi di prendere un’aspettativa dal lavoro per riprovarci. Mi ero dato un anno come periodo di prova, altrimenti sarei tornato indietro. Invece le cose andarono bene, Disney Italia mi contattò per offrirmi un corso di formazione alla loro Accademia di Milano. La frequentai a distanza e per me fu una gioia, potevo disegnare tutti i giorni, feci tanto lavoro di apprendistato.

ANDREA PUCCI

Nel frattempo avevo ripreso vecchi contatti e ricominciato a lavorare. Poi inaspettatamente tramite Cristina iniziai l’avventura in uno studio romano che si occupava di cartoni animati, e questo ha segnato per me l’ingresso nel mondo dell’animazione: quello che era il mio sogno divenne realtà e prosegue dal 1999 regalandomi tante soddisfazioni.

ANDREA PUCCI

8 figli, ne volevate altri?

Certamente ci sono stati momenti di fatica, ma i nostri tempi di apertura alla vita Dio li ha sempre rispettati. Ci sono stati momenti in cui abbiamo avuto bisogno di aspettare, in cui Cristina ha avuto necessità di riprendersi, recuperare le forze. Abbiamo avuto tempi di continenza, è stato tanto importante e bello anche quello. Tutte le volte è nato in noi di nuovo il desiderio di aprirci alla vita, ogni figlio che è arrivato abbiamo detto: “ne potesse arrivare un altro, magari!”. È stata una sorpresa quando non sono più arrivati bambini, avevamo ancora desidero di accoglierne altri. Ma ad un certo punto il Signore ha detto basta e non sono arrivati più. È stato un dolore per noi perché finiva un tempo.

ANDREA PUCCI

È stato davvero bello vedere la loro unicità, ognuno ha il proprio carattere, la sua peculiarità. Ci ritroviamo a dire: “ma come facevamo senza di lui/senza di lei? Com’è possibile che prima non c’era?”. Ogni volta la famiglia ha ripreso un assetto nuovo e c’è sempre stato un tempo di crisi, perché un figlio ti rimette in discussione, rimette in discussione i tuoi spazi, le tue priorità. Uno fatica, fa le notti, perde il sonno, ma tante volte ci siamo detti con Cristina: “facciamo il mazzo tutto il giorno a lavoro, sacrificando tutta la vita che poi alla fine ti danno un calcio sul sedere e ciao, ma allora fatichiamo per tirare su un figlio, perché è un onore questa cosa!”. Anche la coppia dopo la nascita di un bambino vive una crisi per ritrovare il suo spazio, l’intimità che poi con i figli diventa un’avventura: ci si dà gli appuntamenti, lo segni sul calendario. Tutte le volte è stato così per noi: c’era un momento di raffreddamento, di aridità, ma era solo il salto per entrare in un tempo di amore nuovo, uno scalino sempre più profondo. Quello che è venuto dopo è stato sempre meglio di ciò che avevamo prima. Se ti dovessi dire gli anni più belli che ho vissuto con mia moglie sono adesso. In questo la promessa di Dio non delude, la sento una promessa compiuta che Lui ha portato avanti, tu ci metti il tuo amen e basta.

Cosa rappresenta Cristina per te?

Cristina è la mia porta per il Cielo, il Signore me l’ha donata perché io possa incontrarLo, l’ho visto in lei in come mi incoraggia, mi valorizza. Sa vedere il bello. È il contrario di quello che faccio io che mi disprezzo. Lei mi ha portato ai figli, la dignità della paternità l’ho scoperta grazie a Cristina. Mi ci ha condotto mia moglie. La cosa più sorprendente che mi ha fatto sperimentare è stato poterle mostrare le mie debolezze senza vergognarmi. Il fatto di stare davanti a lei senza vergogna, senza simulare, mostrandole le mie fragilità, potendocele dire a vicenda. Ricordo che la prima cosa che ci siamo confidati vicendevolmente quando ci siamo fidanzati è stata (venendo entrambi da esperienze di sofferenza e delusione con la paura di fare altri casini): “io non so se ti voglio veramente bene”. Il giorno che ci siamo messi insieme ci siamo confessati questa cosa, ed è stata feconda.

CRISTINA

“Sul monte il Signore provvede”: per voi è stato davvero così?

Cristina, nonostante la difficoltà di conciliarlo con gli impegni familiari, non ha mai lasciato il lavoro perché con il suo stipendio è lo zoccolo duro di casa. Io infatti ho passato lunghi periodi senza lavorare, anche più di un anno, dove abbiamo sperimentato davvero la Provvidenza che è stata come la manna del deserto, è durata finché io non ho ritrovato un nuovo impiego.

ANDREA PUCCI

Ricevevamo periodicamente buste piene di soldi nella cassetta delle lettere, alcune anonime altre firmate. Un giorno stavamo a tavola insieme con mia madre e mio fratello, e suonano alla porta. “Dobbiamo consegnare la spesa”. Con Cristina ci guardiamo: “Ma che hai ordinato la spesa online?”. “No. Ma che sei stato tu? no”. Apriamo la porta e scaricano una spesa oceanica, per oltre 300 euro. Avevamo la sala e la cucina invasa di buste. Periodicamente ogni mese per un anno abbiamo ricevuto la spesa a casa. Non sapevamo da chi venisse, ci arrivava il rifornimento e basta. Ma devo dire che nel corso del matrimonio ci è successo tante volte. Ricordo un periodo che avevamo finito i soldi, ci siamo guardati con Cristina e ci siamo detti: “ok, ci bastano solo per il pane e il latte per arrivare fino al prossimo stipendio”. Una sera ci suonano i vicini di casa: “scusate, è andata via la corrente, ci si è spento il frigo non ce ne siamo accorti, si è scongelato tutto. Abbiamo un sacco di carne e non riusciamo a consumare tutta questa roba. Ma vi offendete se vi diamo un po’ di cose?”. Offendere? ma ndo c’hai le ali. E così fummo riforniti di tutto ciò che ci serviva. Negli anni, ogni volta che abbiamo vissuto momenti di crisi economica il Signore ci ha aiutato, anche restando nella precarietà però ci ha sostenuto. Questi momenti ci hanno fatto crescere anche nell’amore coniugale.

Come è nata l’idea dell’opera che hai realizzato per la chiesa dei Santi Fabiano e Venanzio?

Inaspettatamente un giorno nel 2019 mi contatta don Fabio Fasciani, parroco dei Santi Fabiano e Venanzio di Roma, io e Cristina avevamo iniziato a collaborare con lui e prima ancora con don Fabio Rosini per il percorso dei Dieci Comandamenti. La parrocchia aveva problemi di riverbero, 7 secondi di eco, un ritardo mostruoso nell’acustica. Don Fabio Fasciani doveva ristrutturare e mettere pannelli fonoassorbenti, però voleva fossero decorati. Era stato in una cattedrale a Los Angeles ed era rimasto molto colpito da una processione di santi fatta su arazzi. Voleva fare una riproduzione di quelli, aveva chiesto il permesso e non gli era stato concesso. Così mi ha proposto di getto: “non è che ti andrebbe di provare a fare questa serie di ritratti di santi?”.

Abbiamo dovuto studiare come realizzarli, è stata un’esperienza fantastica. Finora ho realizzato 120 santi, tra cui i santi anonimi, coloro che non conosciamo perché non canonizzati, e poi tanti bambini. Nel disegnarli ho ritratto i visi dei componenti della mia famiglia: a ciascuno il santo più adatto, mancano alcuni nipotini ma presto recupererò. Il lavoro è da finire, ci sono ancora 5 pannelli e la controfacciata dove dovremmo realizzare le Opere di Misericordia con i santi che le hanno incarnate.

Per me è stata un’esperienza stupenda, per ogni santo dovevo documentarmi, studiare l’iconografia, approfondire la vita. Mi ha ispirato “Il grande divorzio” di Clive Staples Lewis, in cui c’è la storia di un pullman di dannati che viene portato in gita in paradiso per una giornata. Loro sono inconsistenti, sono molto eterei e quando arrivano in Paradiso la cosa che li colpisce è che tutto è molto reale, solido, molto più forte che sulla terra. Avevo questo desiderio, di fare una rappresentazione che fosse, come ha detto un’amica, celeste e terrestre insieme. Si tratta di una processione di santi, sono tutti rivolti verso il Santissimo, anche a livello di illuminazione è come se fossero illuminati dal Santissimo. Ed è una scena festosa, orante, gioiosa, sono meditativi ma anche molto allegri nella loro presenza. Ho cercato di rappresentare la comunione dei santi, che poi è l’Eucaristia, il cielo sulla terra e la terra in cielo. Oggi mi sento davvero grato e benedico ogni cosa che Dio ha permesso nella mia vita, anche quello che mi ha fatto soffrire. Tutto è sapiente.

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