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La ricerca di una suora rivela un “profeta” del movimento pro-vita

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GagliardiPhotography | Shutterstock

Suor Mary Margaret Hope, SV - pubblicato il 15/06/22

Il dottor Joseph Stanton era nato nel 1920 in una famiglia di medici di Boston

Durante i primi giorni della congregazione delle Sisters of Life, alla metà degli anni Novanta del Novecento, un anziano medico di nome Joseph R. Stanton ha affidato alla nostra comunità religiosa la sua collezione enciclopedica di materiali collegati al tema della vita. Quelle centinaia di scatole di libri, articoli di giornale, lettere e file rappresentavano il lavoro di una vita come principale archivista e risorsa fidedigna di informazioni mediche e scientifiche all’avanguardia nel movimento pro-vita.

Quando, 25 anni dopo, mi è stato affidato il compito di analizzare quei materiali, mi aspettavo di trovare tonnellate di informazioni antiquate che fossero non più rilevanti o più facilmente accessibili su Internet. Ho invece trovato un tesoro storico che traccia la storia dei primi giorni del movimento pro-vita, e ho anche conosciuto un uomo che è stato un autentico profeta e una luce che continua a guidare i nostri sforzi per costruire oggi una cultura della vita.

Nato nel 1920, Joe Stanton veniva da una nota famiglia di medici di Boston. Tra i suoi fratelli c’erano anche un sacerdote gesuita e tre suore carmelitane. Laureato presso la Scuola di Medicina di Yale, considerava con grande reverenza la nobile chiamata della professione medica. Per questo, rimaste fortemente infastidito quando venne a sapere della corruzione del sistema medico in Germania sotto il Terzo Reich.

Anche prima che i nazisti arrivassero al potere, avevano iniziato a sostenere la sterilizzazione e perfino lo sterminio delle persone considerate fisicamente o socialmente inadatte. La loro propaganda, sostenuta dalla filosofia utilitaristica prevalente, si era infiltrata innanzitutto nei circoli medici e scientifici, per poi diffondersi anche ai testi matematici di scuola superiore. L’ideologia eugenista era popolare anche al di là dell’oceano, e le tecniche di “sterilizzazione compulsiva” americane erano ammirate dai nazisti come modello di efficienza. Nel 1939, Hitler firmò una lettera che autorizzava certi medici a estendere una “morte misericordiosa” ai pazienti che a loro giudizio la meritavano. Ironicamente, quel dubbio “beneficio” era, come molti altri privilegi, riservato inizialmente alle persone di origine ebraica.

Questi medici “della misericordia” rividero i fascicoli dei casi dei pazienti negli ospedali psichiatrici senza mai esaminarli, stabilendo poi se dovessero vivere o morire. Circa 275.000 persone con varie disabilità o malattie fisiche o mentali vennero messe a morte con questo programma senza grande clamore.

I bambini che guardavano la fila di camion che lasciavano gli istituti locali commentavano: “Stanno portato altre persone ad essere gassate”. La comunità medica e scientifica non sollevò obiezioni, accogliendo con gratitudine i corpi a scopo di ricerca. Una volta che i metodi di assassinio di massa furono “perfezionati”, però, tecnologia e personale vennero rapidamente sposati dagli ospedali psichiatrici ai campi di concentramento di Birkenau e Dachau. E lì 6 milioni di ebrei sono stati assassinati per il semplice fatto di essere ebrei.

Dopo la II Guerra Mondiale, la riprovazione pubblica per le atrocità dell’Olocausto ha smorzato la popolarità del movimento eugenista. Sembrava che il mondo avesse imparato la lezione. Il dottor Stanton, però, ha riconosciuto la stessa mancanza di rispetto nei confronti della sacralità della vita umana all’inizio degli anni Settanta, quando ha visto la sua amata professione medica corrotta prima attraverso l’aborto legalizzato, e poi sempre più da un atteggiamento utilitaristico che valutava la “qualità di vita” e favoriva progetti che facevano risparmiare piuttosto che la qualità delle cure.

Il dottor Stanton non si è lasciato ingannare dal cosiddetto movimento del “Diritto di Morire”. I suoi sostenitori affermavano di sostenere la compassione, per far avanzare la causa di libertà e dignità, ma il medico ha capito che sarebbe culminato forse non in campi di concentramento, ma in una società che ritiene che il peso della malattia e della disabilità superi il dono dell’assistenza amorevole e perfino il valore della vita stessa.

Nessuno vuole essere dipendente. Nessuno vuole essere un peso. Il dottor Joseph R. Stanton poteva parlare in base alla sua esperienza. Da bambino aveva contratto le febbre reumatica e la poliomielite, e aveva trascorso molti mesi in un polmone d’acciaio. Era stato costretto a rinunciare al suo sogno di diventare un chirurgo come suo padre perché né le gambe né le dita hanno mai recuperato la piena agilità. Non si è fatto però fermare dalla sua disabilità, ed è diventato un medico apprezzato e padre di 10 figli. È stato una figura importante nei primi giorni del movimento pro-vita, scrivendo e parlando instancabilmente a favore della vita umana. L’eredità più importante del dottor Stanton è stata la promozione di una nuova affermazione del Giuramento di Ippocrate, che sperava avrebbe aiutato a preservare l’integrità della professione medica negli anni a venire.

Negli ultimi anni della sua vita, il dottor Stanton ha sviluppato una sindrome post-polio ed è diventato sempre più dipendente dalla moglie Mary e dalla sua sedia a rotelle, ma non ha bloccato la sua azione pro-vita, scherzando sul fatto che sua moglie riusciva finalmente a farlo andare in giro. Nel 1995, il dottor Stanton ha predetto che se il suicidio assistito e l’eutanasia avessero progredito, non ci sarebbe voluto molto prima che venisse messo in discussione il valore della sua stessa vita, fino a quando “arriverà il giorno in cui la porta si aprirà e non riuscirò a dire se gli assistenti vengono verso di me per aiutarmi o per darmi la cicuta”. Misteriosamente, l’onda irrefrenabile del movimento per l’eutanasia ha rallentato dopo la sua morte nel 1997, e la sua previsione non si è realizzata in modo immediato. Ora, però, l’onda si sta agitando nuovamente, con suicidio assistito ed eutanasia introdotti e a volte approvati negli Stati Uniti e in tutto il mondo.

Nel 2019, Nicole Gladu aveva più o meno l’età del dottor Stanton quando aveva fatto la sua previsione nel 1995. Come lui, aveva contratto la poliomielite da bambina e ora soffriva per gli effetti invalidanti della sindrome post-polio. La signorina Gladu è una di coloro che hanno citato in giudizio il Governo canadese sostenendo di essere discriminata ingiustamente perché la sua condizione, per quanto dolorosa, non era “terminale”, e quindi non la rendeva idonea al suicidio medicalmente assistito legalizzato di recente. Il suo ricorso è stato approvato, e ora anche lei può essere sottoposta a eutanasia in Canada, come chiunque si trovi in uno “stato avanzato di declino e di sofferenza fisica o psicologica duratura e intollerabile”. L’anno prossimo questo “beneficio” verrà esteso a chi soffre solo di malattie mentali. Non è difficile immaginare che la capacità di consenso non sarà a lungo considerata un requisito.

Quando ho scoperto per la prima volta questa tragica ironia – il fatto che qualcuno nelle stesse condizioni del dottor Stanton avrebbe scatenato la triste realtà che lui aveva previsto – per me è stato un colpo al cuore, e tuttavia la voce profetica del dottor Stanton continua a echeggiare nei decenni, presentando non solo il pericolo, ma anche la risposta all’avanzata della cultura della morte. Le sue parole illuminano la vera chiamata della professione medica e di ciascuno di noi a cui è affidata la cura dei più vulnerabili:

“In ogni essere umano, per quanto gravato dalla malattia o deformato dall’età o dal male, dobbiamo guardare e vedere un riflesso del Divino. Dobbiamo vedere l’immagine di un Dio a Cui somiglianza ogni persona umana è stata creata, sempre vecchia, sempre nuova. Questa percezione della persona umana, questo ideale, se riceve una fedele risonanza in una società spesso indifferente, è in grado di cambiare la nostra società, di porre fine alla disumanizzazione dei malati evidente in molto di quello che ho dolorosamente riferito oggi. Rudolph Matas, il grande chirurgo, alla fine della sua vita ha scritto: ‘La transizione tra vita e morte dovrebbe essere gentile nell’inverno della vita‘. In queste condizioni, la morte è investita di una certa grandezza e poesia. Se riguarda un uomo che ha completato la sua missione, non c’è nulla da temere. La sfida immutabile per tutti coloro che si prendono davvero cura dei malati, dei sofferenti e dei morenti è curare il paziente come persona in modo così approfondito che in quell’assistenza si aiuti il paziente a vivere con dignità. Possiamo confidare nel fatto che se lo facciamo bene, e soprattutto se lo facciamo nel Suo nome, la morte, quando arriverà, mostrerà un paziente che non ha mai perso la dignità implicita nell’essere umano. E almeno potremo dire con il poeta: ‘Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?’”

Nel 2021, la Dr. Joseph R. Stanton Human Life Issues Collection è stata trasferita alla Harvard-Schlesinger Women’s History Library per offrire a studiosi e storici un maggior accesso a questa importante risorsa.

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