Si registra una strana frenesia, ultimamente, in questo mese di giugno: tra gli enti che ci tengono a sbracciarsi per mostrarsi “a sostegno” delle varie manifestazioni omosessualiste in giro per l’Italia se ne devono contare alcuni non genericamente cattolici, bensì specificamente ecclesiali (quando non perfino ecclesiastici).
Brandire come clave brandelli di verità
C’è il prete in vista che manda «un grande abbraccio (e una preghiera)» all’amico-presentatore in vista per la sua unione civile; c’è il prete di curia in diocesi di primo rilievo che sospira guardando la manifestazione nella sua città («sarebbe bello essere anche noi così»); c’è il prete di pastorale in diocesi di non-primo rilievo che si avventura in esperimenti paraliturgici al limite, evidentemente confortato dal fatto che «è la prima manifestazione di questo tipo, in Abruzzo» (lo deve ritenere un valido criterio di discernimento…).
C’è questo e ci sono tante altre cose, più o meno congrue e adeguate: spesso ad esempio gli articoli che da parte cattolica riportano simili fatti si sbilanciano tanto sgraziatamente nella polemica, e si ha tanto forte l’impressione che da una parte e dall’altra si brandiscano brandelli di verità a mo’ di arma impropria… che viene meno la voglia di immischiarsi nel dibattito.
No, precisiamo: non è la “voglia” che manca, bensì la fiducia che la parola possa veramente servire a incontrare l’altro e a comunicare con lui; a comprendere le sue ragioni, eventualmente al di là dei suoi errori, e a lasciarlo avvicinare alle proprie, eludendo le trappole di preconcetti e idiosincrasie.
La storia di Lionel, “omosessuale e cattolico felice”
Si tratta da principio meno di “comprendere le ragioni”, ritengo, che di ascoltare storie: come nella classica genealogia di μύθος (mythos) e λόγος (logos), le ragioni sussistono eternamente (e quindi ci sono da sempre), ma si scoprono gradualmente, attraverso le storie.
Me ne sono accorto ascoltando il racconto di Lionel Leon nel podcast di Bethesda, che si presenta come «podcast cristiano della guarigione e della conversione» (due episodî al mese, eccezionalmente ben scelti e curati). Per me è stata una grande scoperta, che si impone come must per chiunque mastichi un po’ di francese; siccome poi è verosimile che fra i molti suscettibili di trarre beneficio dalla testimonianza di Lionel non tutti abbiano dimestichezza con la sua lingua, mi sembra cosa buona trascriverne la sintesi. Auspico che possa giovare al dibattito cui facevo riferimento offrendo moderazione, intelligenza, umiltà… e fede.
Lionel proviene dal Périgord, storica e ricchissima regione francese da lui definita “Provenza profonda”. È nato in una famiglia di operai a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso (lo si ricava dal fatto che ambienta tutta la sua adolescenza negli anni ’70) e non ha avuto alcuna “introduzione culturale” al mondo dell’omosessualità: in famiglia non se ne parlava, non pareva un’ipotesi reale. Lionel ha quindi provato a frequentare le ragazze, ma davanti al complessivo scarso trasporto che provava nell’esercizio chiese a un amico, del quale era nota l’omosessualità, come potesse fare a capire se anche lui lo fosse. Quello lo portò con sé in un locale, nel quale da quella stessa sera scoprì «tutto insieme: l’amore fisico e quello psichico. È stato come un fuoco d’artificio».
Aveva allora 16 anni. Dopo aver capito di essere omosessuale, Lionel lo disse immediatamente in famiglia e tra gli amici: i genitori accolsero la notizia con turbamento e con dolore, ma senza mai smettere di amare il figlio. Degli amici e di tutti gli altri Lionel può dire: «Nessuno mi ha mai respinto». I “fuochi d’artificio” immersero il giovane Lionel nella vita che, anche nella provincia francese, un adolescente omosessuale poteva condurre negli anni ’70 del XX secolo: in breve il sedicenne andò a lavorare in un locale notturno e visse all’insegna della promiscuità normale dell’ambiente («passavo di ragazzo in ragazzo»).
Qui s’impone una precisazione che la trascrizione della storia potrebbe non restituire a dovere, ma che invece è fondamentale: il racconto della vita di Lionel è pieno, pur nella sua essenzialità, di criticità; esso però non vira mai sul patetico o sull’autoaccusatorio – in tante “testimonianze” dall’ambone il genere letterario prevede l’accusa smaccata dei peccati, di cui si denuncia l’immoralità… ecco, questo tratto è completamente assente nella confessione di Lionel.
Quando era ormai diciottenne, a Metz Lionel incontrò dei preti-operai (una presenza fondamentale, nel cattolicesimo francese del XX secolo) che lo invitarono a momenti di preghiera collegati al rinnovamento carismatico. Il giovane restò colpito da questi raduni, che ogni fine-settimana mettevano insieme svariate centinaia di persone, anche se confessa di essere stato attratto, all’epoca, più dai pasti che dalle storie che ascoltava mano a mano che conosceva le persone.
Un fatto decisivo, però, accadde durante uno di questi ritiri di preghiera, quando andò anche il Vescovo a celebrare la messa con loro. Durante il canto del Padre Nostro Lionel visse un’esperienza che a posteriori non esita e non fatica a qualificare di “libera effusione dello Spirito”, ma che all’epoca non seppe ben spiegarsi:
Fu un evento straordinario che impresse una svolta radicale alla vita di Lionel, ma non senza altre importanti mediazioni umane, né (soprattutto) a prescindere da una scansione graduale della conversione stessa, la quale è stata per Lionel oggetto di accurata e assai matura riflessione.
I preti di cui sopra gli fecero allora dono di una Bibbia, ma il dono non fu molto gradito: «Non mi piaceva la Bibbia, per quel poco che ne sapevo». Gli diedero allora una copia di Storia di un’anima di Thérèse de Lisieux e gli dissero: «Prima leggi questo». Quella lettura lo toccò fino alle lacrime dalla prima all’ultima pagina, e alla fine del libro Lionel disse, in preghiera: «Gesù, io accetto che tu mi abbia convertito». Fu un passaggio che Lionel individua come importantissimo nella sua peripezia, e facilmente i devoti della Piccola Carmelitana vi vedranno un segno forte dell’attività missionaria ultramondana di Thérèse.
A quel punto Lionel andò a licenziarsi e si trasferì da Bordeaux a Nizza. Si trovò un padre spirituale, perché mentre pregava sentì di non poter restare privo di confronto e indicazioni, e “incappò” in p. Joseph, un monaco lerinense dell’abbazia di Saint’Honorat, sull’arcipelago antistante Cannes. Ascoltata la sua storia, il monaco gli disse:
Lionel restò stupito che p. Joseph non gli avesse detto altro: niente sullo stile di vita passato, niente su uno stile di vita da adottare, se non quel “confessati ogni volta che pecchi”. E Lionel ebbe bisogno di più di un confessore, dal momento che continuava a peccare «tutti i giorni».
In quel periodo ebbe contatto anche con dei gruppi di Pentecostali, dai quali però fuggì a gambe levate fondamentalmente perché promuovevano le terapie riparatorie:
Dopo qualche tempo, p. Joseph aggiunse una direttiva: «Ora prenditi dieci minuti al giorno di preghiera davanti al Santissimo Sacramento». A distanza di anni, Lionel commenta così:
Lionel accenna quindi alla storia avuta con un uomo, a un certo punto della sua vita (e quando la sua conversione era già iniziata): con quella relazione i due abbandonarono la vita di promiscuità che Lionel aveva già detto «tipica del giovane omosessuale» ed ebbero dieci anni di convivenza fedele. Poi la relazione «finì male», accenna rapidamente Lionel: «È la vita… Il Signore aveva in serbo dell’altro, per me».
Da una parte però, all’epoca Lionel si sentiva chiamato ad altro; dall’altra si sentiva tentato dal ricadere nella promiscuità della prima giovinezza. Quando incontrò Didier e i due si innamorarono, questi gli chiese di andare a convivere, e lui rispose con un rilancio inaudito:
I due si unirono a un pellegrinaggio del Secours Catholique (la Caritas francese) e vissero una settimana presso il santuario mariano incastonato nei Pirenei: «Alcune cose le facevamo insieme, altre esperienze le vivevamo ciascuno per proprio conto». Alla fine dei sette giorni Didier disse a Lionel che ci stava, che voleva vivere con lui la castità e la continenza. Lionel portò allora “l’amico ritrovato” nella Basilica del Rosario (quella che dà immediatamente sulla spianata) e lì i due suggellarono un “patto con l’Eterno” chiedendo la grazia di rendere possibile quel desiderio impossibile.
E la grazia arrivò, consistente come il pane, perché i due si trasferirono nel Périgord e vissero insieme per 16 anni abitando e dormendo insieme,
Didier fece anch’egli il suo cammino, dal momento che la sua strada si era unita a quella di Lionel quando questi era già a uno stadio non banale di conversione: al compagno cercò di proporre la vita di fede così come era stata proposta a lui, perché
Lionel afferma di aver osservato un raffinamento importante del suo discernimento degli spiriti, al punto da parlare apertamente di “dono carismatico”:
Gli ultimi sei mesi con Didier erano passati nell’apparecchio alla morte e nella preparazione della messa “di Risurrezione” («…che poi sarà anche la mia, più in là…»). Il racconto lascia qui spazio alla Grande Speranza di Lionel, quella in
Lionel ricapitola la sua testimonianza affermando che la Grazia esiste realmente, non è un teorema teologico, e che Dio ha bisogno della nostra libertà:
Castità alla quale – Lionel se ne mostra convinto – tutti devono arrivare, anche gli sposi che possono e devono esercitare la propria sessualità nell’àmbito del matrimonio. Guardando all’operato della Chiesa, dalla quale Lionel afferma di sentirsi amatissimo e che professa di amare moltissimo, egli vi individua «grandi sapienza e pazienza».
C’è poi un “quarto punto” che egli avverte ancora davanti a sé, e non già alle sue spalle:
Da questo punto in poi cominciano nel podcast le ricapitolazioni di Lionel e gli “appelli”. Anzitutto un’illustrazione del senso “esemplare ma non vincolante” del suo cammino:
Poi Lionel si è voluto rivolgere ai genitori di figli omosessuali:
E finalmente ha voluto rivolgere una parola agli stessi omosessuali che fossero incappati nel suo podcast:
«“Tutto concorre al bene, per chi ama Dio”: anche i peccati!» (Agostino)
Sono rimasto sbalordito, ascoltando la testimonianza di Lionel, in maniera forse non troppo dissimile da come dovettero sentirsi i sacerdoti che ascoltavano la schietta testimonianza del cieco nato di Gv 9: Lionel non ha citato concilî e dogmi sulla grazia (pur vivendo in una terra che a quel dibattito ha dato un contributo importante), eppure la sua esposizione risulterebbe inappuntabile anche al più meticoloso dei “dottori della legge”.
È vero che Lionel ha vissuto numerose relazioni “oggettivamente disordinate”, ma resta pure evidente a chiunque ne ascolti il racconto la climax positiva delle conversioni poste in essere: esse non sono importanti davanti a noi (noi eterosessuali e/o noi Chiesa) come se noi potessimo/dovessimo giudicarle (è anzi molto liberatorio per noi come Lionel non accenni minimamente alla questione); esse sono importanti per noi perché risultano esemplari per le nostre vite.
Se è vero, come è vero, che le vite dei santi non ci interessano per una media (aritmetica, statistica o algebrica) dei peccati e degli atti virtuosi, bensì per come la virtù santificante si afferma nella vita dei peccatori (tutti lo siamo) al fine di cristificarli, di santificarli, di deificarli perfino; allora la testimonianza di Lionel è non solo interessante, ma interpellante e sfidante (challenging – direbbero gli anglofoni) per tutti i livelli della vita ecclesiale:
Mi sono ricordato, ascoltando Lionel, di quel documento che aveva fatto capolino durante il lungo e combattuto Sinodo sulla Famiglia, tra 2014 e 2015, quello in cui si proponeva:
Il passaggio è stato cassato e non è giunto nel documento finale, tantomeno nell’esortazione apostolica post-sinodale, eppure a posteriori non posso fare a meno di pensare che quella cancellazione (nella quale io stesso sperai e per la quale gioii) sia stata dovuta più alle ambizioni lobbistiche delle cordate che proponevano il concetto (le quali, come è noto, sono votate non ad assolvere i peccatori ma i peccati) che alle sue intrinseche ragioni teologiche.
Mi chiedo che cosa avrebbe avuto da ridire, l’aula dei Padri Sinodali, davanti a una storia come quella di Lionel. E che cosa avrebbe avuto da dire, in positivo? Forse che quanto ha scoperto nella rivelazione data a lui tramite la sua storia non vale anche per le coppie sposate, le quali non di rado sono gravemente disfunzionali almeno quanto una qualunque coppia “intrinsecamente disordinata”? La sua lezione è utile solo agli omosessuali in ricerca di un posto nel mondo e nella Chiesa… o anche (e non in misura tanto minore) per ogni battezzato?
Illustrando ai monaci di Adrumeto tali difficili questioni, l’ormai anziano Agostino osava scrivere che
E la sua conclusione potrebbe bastare ai parabolani di entrambi i “pride” che si fronteggiano in questo giugno già arroventato da più guerre:
Certamente si sente in Lionel il frasario “marsigliese”, nel quale l’aria di Lerino – pure a distanza di tanti secoli! – ha già mitigato e sintetizzato le sentenze agostiniane: l’orgoglio non è una cosa utile, né per i cattolici né per gli omosessualisti, perché gli uni e gli altri sono peccatori (e di certo non sarà l’orgoglio ad alleviare i loro vizî), ma tutti possono invitarsi alla grazia di Dio mandata nel mondo per Cristo. «Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con retta coscienza» (1Pt 3,16). Forse perché più interessato nel testimoniare dei doni ricevuti e nel propagarli a quanti ancora ne abbisognino che nel ricercare il nostro (assai superfluo) benestare, Lionel pare uno che lo fa proprio così.