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Brunello Cucinelli, quello che s’impara quando un padre muore.

BRUNELLO, CUCINELLI

DELBO ANDREA | Shutterstock

Annalisa Teggi - pubblicato il 30/05/22

Di fronte al mistero della morte, Brunello Cucinelli scrive una memoria toccante del papà Umberto, scomparso di recente: "Ho affidato le mie scelte di marito, di padre e di imprenditore alla tua saggezza".

Sul supplemento 7 del Corriere della Sera è stato pubblicato un testo scritto da Brunello Cucinelli in memoria di suo padre, recentemente scomparso all’età di 100 anni. E le circostanze temporali, la morte avvenuta in prossimità della Pasqua, portano l’orizzonte a spalancarsi subito sull’ipotesi «che per noi cristiani la morte è il Dies Natalis , il giorno in cui rinasciamo a cospetto del Signore». C’è una nascita nella morte per chi muore, ma c’è il travaglio di una nascita anche per chi resta a piangere un padre defunto.

Lungi dall’essere una nemica della vita, sorella morte dona un discernimento fecondo.

[…] sempre, nel corso degli anni, ho affidato le mie scelte di marito, di padre e di imprenditore alla tua saggezza. Se io con la mia nascita ti donai la gioia della vita, tu oggi, con la fine della tua, mi doni il mistero della morte.

Da Corriere
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Il testo di Cucinelli è pubblico, ma il contenuto è intimo. Il bene che ne ricava il lettore non è il gossip sul dietro le quinte di un personaggio famoso. Il genere delle confessioni è l’unico in cui Dante sosteneva che fosse lecito usare la prima persona. Un uomo riesce a dice “io”, grazie alla compagnia educativa di un padre, ecco cosa leggiamo.

Il mistero della morte ravviva i colori della vita

Il mistero della morte come dono, questo è davvero oro per noi che siamo pervarsi di un’ebbrezza di vita che tratta con terrore la mortalità (che poi però non possiamo evitare). E tra i “doni” che sorella morte porta a chi la guarda come occasione di discernimento c’è quello di ascoltare un imprenditore di successo che spudoratamente si dichiara dipendente. Dipendente dalla presenza di un padre. Che azzardo meraviglioso metterlo nero su bianco.

“Si è fatto da solo”, quest’etichetta oggi così applaudita non è vera, neppure in senso letterale. Eludere le trame delle nostre dipendenze ci vota all’insucesso. Nel caso del signor Cucinelli non c’è nessun tentativo di mascherarsi dietro la narrazione dell’uomo geniale che ha fatto tutto da solo, cioé che non ha debiti di gratudine da dichiarare. La sua ipotesi imprenditoriale si trova spesso riassunta in poche parole così: l’uomo che ha avuto l’idea di colorare il cashmere.

E suona – si può osare dirlo alla luce dell’evidenza che è l’eccellenza di Cucinelli – simile alla premura leggera del pettinare le bambole. Dietro questa impresa c’è una visione umana devota, tra le altre cose, a una bellezza che poco ha a che fare con il luccicante glamour.

È il sapore di cose fatte come si deve anche nei dettagli non essenzialmente utili. C’è dietro la pazienza e l’umiltà del contadino.

UKRAINE

Un tessuto pregiato e i suoi colori. Potrebbe essere proprio il modo migliore di raccontare una vita il cui primo grande alveo educativo è stata la famiglia. E proprio lo specchio scuro della morte del padre permette alle trame e ai colori del vissuto di ritornare vivide. Siamo astratti nel parlare solo quando non guardiamo qualcuno. (Già Dante ci fece vedere che la sua salita in Paradiso fu possibile solo guardando Beatrice. Chi si fa da solo resta nel suo inferno privato di elucubrazioni).

Fissando suo padre, Cucinelli recupera dalla memoria fatti precisi, che sono anche un testamento imprenditoriale che il babbo Umberto gli ha lasciato.

Le bombe e i solchi nei campi

I 100 anni di vita di Umberto Cucinelli sono un deposito di storie che attraversano la Storia e costruiscono una storia. C’era la guerra e c’era una famiglia, questo è stato vero per tutte le nostre famiglie. Le origini contadine dei Cucinelli sono state l’antidoto alla buio della guerra, vissuta in prima persona dal padre di Brunello.

È stato sempre coraggioso e silenzioso l’atteggiamento di mio padre Umberto verso il dolore, e penso al suo rapporto con la guerra che aveva combattuto, della quale non parlava mai, non di sangue, non di morte, però ricordava gli episodi umani, quelli che possono nascere anche nei momenti più difficili, come quando, per la grande sete, privo di qualsiasi sostentamento, insieme ad altri commilitoni, fu costretto a bere l’acqua di una pozzanghera nella quale avevano orinato i cavalli; e solo raramente, per un vecchio dolore alla spalla, gli tornavano alla mente le pesanti bombe che aveva trasportato sulla schiena per tante e tante volte.

Ibid.

Anche i nostri nonni avevano quest’abitudine, oso parlare al plurare: ripetere e ripetere il racconto dei casi di straordinaria umanità vissuti in mezzo alla guerra. Per mio nonno il fatto più clamoroso fu il sergente che diede la vita in Albania per salvare il somaro che portava gli approvvigionamenti della loro squadra. Siamo all’opposto dell’atteggiamento più consueto che ci caratterizza, noi animali da tastiera pronti a scovare in qualunque notizia una scusa di lamentela cinica e spietata di una realtà vissuta un po’ troppo virtualmente.

Sotto le bombe diventa imprescindibile l’esercizio del salvarequalcosa. E custodirlo poi. Dopo la guerra venne il tempo della casa e del lavoro, una vita spesa sui campi che, facendo un salto nell’infanzia, Brunello Cucinelli ricorda così:

In questa vita campagnola, ormai così distante, imparai da mio padre il valore e il significato della precisione, il primo grande insegnamento in ordine di tempo, una precisione che portava al buon risultato e che generava bellezza. Quando era il tempo dell’aratura a me spettava di guidare i buoi; non era facile tenerli sempre all’interno del solco diritto, ma nella maggior parte delle volte ci riuscivo, e sempre mio padre apprezzava questo mio lavoro complimentandosi per la mia destrezza. E se gli chiedevo perché i solchi dovevano venir diritti, mi rispondeva: «Perché così sono più belli»!

Ibid.

Ricorda il criterio medievale di rifinire con cura anche i dettagli delle cattedrali posti in punti che l’occhio umano non avrebbe mai visto. Che valore imprenditoriale nasce da questo sguardo non solo utilitaristico e che si spende per una bellezza, in fondo, inutile? E’ il criterio opposto alle bombe che cadendo non fanno caso a quello che distruggono. Dio è stato il primo a contraddire l’idea che si crea per fatturare; si crea innanzittutto per uno sfacciato amore alla presenza di ciò che esiste, con tutta la folle premura per il valore che hanno anche le parti non sono strettamente utili, monetizzabili.

Il valore della vita

La bellezza – quella che l’occhio coglie nei solchi diritti e dunque si guadagna col sudore – è proprio l’opposto dello spreco. La stagionalità del contadino ha una logica opposta a quella dei vestiti alla moda per questa stagione. Quei solchi dritti sono un altro pilastro per chi, poi, ha messo in piedi un’eccellenza nel mondo della moda.

La cura e la lentezza, lo stare al passo del tempo che non è un fattore di nostra proprietà da sfruttare h24. Ma anche questa potrebbe essere un’ipotesi puramente formale, se non avesse un’origine incarnata nell’umano.

Un secondo insegnamento che ricevetti in dono da mio padre è quello del valore della vita umana, quando si tenta l’impossibile per salvarla; e ricordo una cavalcata notturna, una corsa a perdifiato fino alla lontana farmacia per avere una medicina che arrivò in tempo, ma invano, e non servì a salvare la giovane esistenza di un bambino. Quella sera la luna sembrava che da un pezzo fosse rimasta di guardia in attesa proprio di questo; la notte era fresca e immutabilmente luminosa, gli alberi imbiancati dalla neve sembravano d’argento, e come questa quiete contrastava con il dolore vissuto da tutta la mia famiglia!

Ibid.

Questo tempo invano è l’opposto dello spreco. La dignità della persona si merita tutti gli sforzi possibili, anche quelli che non salvano una vita. Quella corsa nella notte che non ha portato frutto, ha portato molto frutto invece. Leggendo quest’episodio la nostra coscienza ritrova qualcosa di assolutamente corrispondente: uno slancio che non calcola, ma va … al punto che anche l’austera Natura pare inchinarsi alla premura di un piccolo uomo che corre a perfiato.

Che ipotesi imprenditoriale e umana ne nasce? Personalmente, ne guadagno la certezza di un baricentro squilibrato, ma tutt’altro che frenetico e ansioso. Un abisso separa tra le nostre corse senza un punto di equilibrio, e la mossa libera di chi si lancia in avanti perché sa cosa vuole difendere.

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