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Quei bambini che si pentono di aver “cambiato sesso” 

TRANSGENDER

Shutterstock | Beatriz Vera

Blanche Streb - pubblicato il 24/05/22

Potrebbe diventare uno dei più grandi scandali sanitari della nostra epoca: il cambio di sesso dei bambini che lo richiedono (e non possono avvertirne le conseguenze). Direttrice della formazione e della ricerca di Alliance Vita, Blanche Streb rilancia il grido d’allarme dei professionisti dell’infanzia.

La medicina accademica ne parla come di un fenomeno epidemico: uno psicanalista dell’ospedale della Pitié-Salpêtrière, che riceve in consulenza degli giovani coinvolti in questioni di transizione sessuale evoca la “montata di una marea”. Sono infatti sempre più numerosi (e sempre più giovani) ad esprimere questo profondo rammarico: avere la sensazione di appartenere al sesso opposto al proprio, o talvolta a “nessun sesso”· Molti di loro avviano transizioni sociali (cambiando nome, aspetto e comportamenti) e talvolta delle transizioni mediche (terapie ormonali, interventi chirurgici e, per i più giovani, somministrazione degli inibitori della pubertà). 

In Francia, come in molti altri Paesi, le cifre (e il loro aumento) sono stupefacenti. Ad esempio, il numero di quanti beneficiano dell’ALD (Affezione di Lunga Durata) a titolo di una diagnosi di transidentità o di disforia di genere ha avuto nel 2020 il decuplo delle ammissioni del 2013. Le domande di accesso alla chirurgia per gli interventi di ablazione o dei seni o dei genitali sono stati quadruplicati dal 2012 al 2020. Uno psichiatra infantile responsabile di un Centro di Accoglienza per Adolescenti (CAA) a Parigi lo attesta: 

Dieci anni fa avevamo circa dieci domande l’anno, e solo dalla regione dell’Île-de-France [la regione di Parigi, N.d.R.T.]. 

Oggi però i numerosi giovani che se ne sono già pentiti escono allo scoperto: li chiamano “detransitioners”. Che è successo? Col passare del tempo si sono “riconciliati” col proprio sesso? Più probabilmente si sono ingannati, sono stati ingannati. Ed è spesso troppo tardi. Il loro malessere li ha condotti sull’autostrada della transizione sessuale, una strada spesso senza ritorno, tanto certe decisioni sono irrimediabili. 

È questo il caso di Anna, che sulle colonne del Parisien ha pubblicato (il 3 maggio 2022) la propria testimonianza. Adolescente che faceva fatica ad accettarsi, scoprì su Internet la transidentità e ci si ritrovò. I suoi genitori la sostennero. Dopo qualche visita medica che la ragazza stessa col senno di poi ha qualificato “sbrigativa” ha cominciato ad assumere il testosterone – a 14 anni – ed è diventata Sacha. A 16 anni ha subito una mastectomia (ablazione dei seni). A 19 anni è cominciata la sua discesa agli inferi: non è riuscita ad adattarsi a “questo nuovo sesso”. E si è pentita. Ha capito di essere, sì, una donna, ma ormai col petto piatto e con la voce grave. Ha smesso di assumere gli ormoni, le sono tornate le mestruazioni e ha cominciato a sperare che la sua fertilità non ne sia risultata definitivamente alterata. Oggi lamenta che 

in nessun momento siano state affrontate le ragioni profonde che mi spingevano a cambiare sesso. Mi hanno messo sulla catena di montaggio e via. 

E ha realizzato che 

la pubertà non è il periodo ideale per fare scelte simili. 

Il caso Keira Bell 

La sua situazione non è isolata. Associazioni di detransitioners emergono negli Stati Uniti, in Canada, in Belgio, in Inghilterra, in Svezia… Nel Regno Unito, il caso Keira Bell ha preso le prime pagine delle cronache nazionali e non solo, mettendo il doloroso argomento sotto gli occhi di tutti. Una giovane donna, diventata “uomo” trans, ha fatto causa alla clinica che l’aveva accompagnata nel percorso, sostenendo di non aver avuto la capacità di acconsentire, anche se era stata lei a reclamare di accedere alla transizione: 

Più la mia transizione avanzava – ha spiegato –, più realizzavo che non ero un uomo e che mai lo sarei stata. Maturando, ho compreso che la disforia di genere era un sintomo della mia miseria generale, e non la sua causa. 

Il caso si è da poco concluso: ha perso il processo, anche se in prima istanza la High Court di Londra aveva dato una battuta d’arresto alle prescrizioni degli inibitori di pubertà ai bambini, ritenendo che prima dei 13 anni 

sia altamente improbabile che un bambino sia competente a consentire alla somministrazione di inibitori di pubertà. 

Prima dei 16 anni, inoltre, essi non possono sottoporsi a trattamenti se non ne comprendono le conseguenze immediate e a lungo termine. 

Evidentemente, la difficoltà non sta tanto nella qualità dell’informazione somministrata e ricevuta, ma nella capacità dei bambini di comprendere e valutare tali informazione, di concepire la portata di decisioni che faranno di loro dei pazienti a vita. Come, per esempio, misurare le conseguenze della perdita della fertilità, quando si è ancora lontani da qualsivoglia desiderio di avere figli? 

Keira Bell ha condiviso la propria storia senza mezzi termini: 

Cinque anni dopo aver avviato la mia transizione medica per diventare un uomo, ho cominciato il processo di de-transizione. Molti uomini trans parlano del fatto che non si può piangere, con una forte dose di testosterone in corpo, e questo problema ha riguardato anche me: non riuscivo a liberare le mie emozioni. Uno dei primi segni che cominciavo a ridiventare Keira è stato che, fortunatamente, devo dire, sono tornata capace di piangere. E avevo molte ragioni di farlo. 

Un grido di allarme 

Davanti a questi drammi, delle voci cominciano ad alzarsi: l’Académie de Médicine ha invocato l’attenzione della comunità medica e ha richiesto che 

si adotti una grande prudenza medica con i bambini e con gli adolescenti, tenendo conto della vulnerabilità, in particolare psicologica, di questa popolazione, nonché dei gravi effetti non desiderabili, per non parlare delle gravi complicazioni, che possono provocare alcune delle terapie che sono disponibili. 

Rivolgendosi ai genitori, essa raccomanda loro di vigilare sulle domande dei loro figli sulla transidentità o sul loro malessere, sottolineando come la consultazione eccessiva dei social network crei dipendenza e sia nociva allo sviluppo psicologico dei giovani, nonché responsabile di una parte molto importante della crescita della sensazione di incongruenza del genere. 

Un vero grido d’allerta è stato lanciato in una tribuna de L’Express da diverse associazioni di professionisti dell’infanzia, nonché da cinquanta personalità – medici, intellettuali, psicologi, magistrati, sociologi, militanti femministe – di estrazioni intellettuali assai differenti, come Élisabeth Badinter, Jean-Pierre Winter, Chantal Delsol, René Frydman o ancora Xavier Emmanuelli: 

È urgente informare il maggior numero di cittadini, di tutti i mestieri, di ogni risma, di ogni età, su quel che potrebbe apparire domani come uno dei più grandi scandali sanitari ed etici, che avremo visto arrivare senza dire una parola: la mercificazione del corpo dei bambini. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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