L’impegno di Kirill, patriarca di Mosca, dietro Vladimir Putin, ha sorpreso i profani. Un tale incondizionato allineamento non potrà restare privo di conseguenze sull’avvenire delle relazioni tra le Chiese ortodosse, ma anche con la Chiesa Cattolica. In questo contesto, la strategia diplomatica di Papa Francesco è estremamente delicata. Per Bernard Lecomte, «ci troviamo in una storia di lungo respiro».
Aleteia: Il patriarca Kirill ha moderato la sua posizione sulla guerra in Ucraina, oppure sostiene sempre l’“operazione militare speciale” di Vladimir Putin?
Bernard Lecomte: Il patriarca Kirill è e resterà “il chierichetto di Putin” – per riprendere l’espressione utilizzata da papa Francesco nella sua recente intervista al Corriere della Sera. Certo non è a cuor leggero che la Commissione Europea ha proposto di includere il patriarca tra le personalità sanzionate per il loro sostegno alla guerra condotta dalla Russia sul suolo ucraino.
A.: L’opinione degli ortodossi fedeli a Mosca è omogenea?
B. L.: No, certo. Anche in Russia, i fedeli non sono tutti d’accordo. Certo, sono molto nazionalisti, hanno il culto del capo… ma non si dimentichi che i cristiani, in Russia, detestano la guerra, e questo sfuma il loro consenso verso Putin e, di conseguenza, verso Kirill. Quanto agli ortodossi ucraini che dipendono, almeno sulla carta, dal patriarcato di Mosca, si sono largamente stornati da questa obbedienza a partire dall’invasione del 24 febbraio.
A.: Secondo lei quali saranno le conseguenze di questi eventi sull’insieme delle Chiese ortodosse?
B. L.: Bisognerà lasciar passare un po’ di tempo per tentare di immaginare come la comunità ortodossa di Ucraina si ricostituirà dopo il conflitto. Una maggioranza degli ortodossi ucraini, oggi, non sopporta più il proprio legame organico con il patriarca Kirill. Questo significa che tutti gli ortodossi del paese si ritroveranno, e insieme, in una Chiesa autocefala legata a Costantinopoli? Ci troviamo in una storia di lungo respiro, e cambiamenti simili non avvengono in pochi giorni.
A.: Questa guerra può avere altre conseguenze sul piano religioso, in particolare nelle relazioni tra l’ortodossia e la Chiesa Cattolica?
B. L.: Anche qui, i rapporti fra ortodossi e cattolici ucraini si iscrivono in una storia di lunga durata. Ricordiamoci che i greco-cattolici di Ucraina si sono “uniti” al papa di Roma (donde il nome [dispregiativo dato dai detrattori] di “uniati”) nel 1596, pur conservando il loro rito bizantino, per non dipendere dal patriarcato di Mosca – già allora!
Ecco perché tutta la parte occidentale del Paese, da Lviv ai Carpazi, è ancestralmente e visceralmente ostile a Mosca. Da qui a immaginare un riavvicinamento fusione con gli ortodossi ostili a Mosca, però, ce ne passa…
A.: Che significa l’annullamento dell’incontro fra Kirill e papa Francesco, che inizialmente era previsto a Gerusalemme in giugno?
B. L.: Papa Francesco sognava di rivedere il patriarca Kirill, che aveva già incontrato a Cuba nel 2016. È questo che spiega la prudenza da lui usata quando si è trattato di qualificare gli aggressori di questa guerra fratricida tra due popoli cristiani, i Russi e gli Ucraini. Il Papa argentino, però, che non ha la medesima sensibilità “slava” del suo predecessore polacco, Giovanni Paolo II, si è dovuto arrendere all’evidenza: la prossimità militante del patriarca Kirill rispetto a Vladimir Putin rende veno ogni dialogo con lui, almeno per il tempo del conflitto.
A.: Ecco, appunto: lei come interpreta la diplomazia di papa Francesco, in ordine all’ottenimento del cessate il fuoco?
B. L.: Come potrebbe un papa ottenere il cessate il fuoco – a mo’ di un Giovanni Paolo II nella guerra fra Cile e Argentina all’inizio degli anni 1980 –, in una guerra in cui, gli piaccia o no, è parte in causa? Dal momento che i cattolici ucraini sono la componente più anti-russa del conflitto, il capo dei cattolici è considerato dal Cremlino un avversario “degenerato” e “neo-nazista” quanto le sue pecorelle. Non desta stupore che Putin non abbia neanche risposto all’invito del Papa, il quale immaginava di andare a parlare con lui a quattr’occhi.
A.: La Via crucis del Venerdì Santo, che metteva insieme Russi e Ucraini, è stata fonte di choc. Stigmatizzando «l’abbaiare della NATO alle porte della Russia”, oppure criticando le consegne di armi occidentali perché siano “testate sul campo”, Francesco cerca evidentemente di non scontrarsi frontalmente con la Russia, contrariamente a quanto fa il moralismo occidentale che oppone il campo del bene a quello del male. Eppure bacia la bandiera ucraina. Il Papa è semplicemente un adepto della scuola diplomatica realista, che vuole anzitutto la pace prima e più che punire un colpevole?
B. L.: Papa Francesco è anzitutto un capo spirituale. Quando consacra al cuore di Maria la Russia e l’Ucraina, quando unisce una Russa e una Ucraina nel mistero della Via Crucis al Colosseo, sta facendo il suo – anche se urta i credenti ucraini in guerra contro i Russi.
È quando sconfina nel campo minato della politica che deve constatare, con infinita tristezza, di non poter salvare capra e cavoli: gestire la Russia cristiana, rimproverare alla NATO di aver “facilitato” la guerra, criticare le consegne d’armi ai belligeranti… e consolare i propri fedeli ucraini che restano, chiaramente, le vittime principali di questa guerra atroce. Francesco non può pesare politicamente sul conflitto, perché in una questione tanto violenta e complessa nessuno, neanche il Papa, può essere al contempo giudice e parte in causa…
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]