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Noiose le litanie? Scopriamole invece. Torre d’avorio

STATUA, VERGINE, MARIA

Fred de Noyelle | Godong

Annalisa Teggi - pubblicato il 11/05/22

Uomini orgogliosi misero pietra su pietra per fare una torre che fosse alta fino al cielo. Il Cielo fece di Maria la vera torre che lega le parole degli uomini a quelle del Padre. Lei custodisce tra le sue mura i nostri aneliti e singhiozzi e lì porta su, uno a uno, a Dio.

Non fare la bella statuina, diciamo noi a qualcuno che sta fermo e imbambolato. Invocare Maria con l’appellativo di ‘torre’ potrebbe suggerire una certa fissità e indifferenza. Turris eburnea è senz’altro una delle immagini più iconiche – sì dice così, oggi – delle litanie.

Una torre bianchissima in mezzo al paesaggio, proviamo a immaginarla. Spicca. E se anche è molto solida, non è affatto indifferente. Nelle torri di un tempo stavano di vedetta le sentinelle. Ci vuole una certa robustezza e la pazienza di una veglia continua, per tenerci tutti sotto il suo manto.

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Pietre che parlano

Una parte delle litanie descrive Maria attraverso degli oggetti: porta, specchio, casa, arca, vaso e anche torre. L’uomo di età moderna ha scoperto il senso del correlativo oggettivo grazie a T.S. Eliot. Si tratta di fissare le impressioni o le emozioni nelle forme precise di un oggetto. Il male di vivere di Montale è un cavallo stramazzato. L’immagine trasforma in pugno o raggio luminoso quello che prima era nebuloso, inafferrabile. E ancora più pertinente al caso in questione (Maria come torre d’avorio) sono le parole poetiche di Ungaretti che, in guerra, parla del suo pianto come una pietra:

Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata

Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede

da Sono una creatura

Le pietre parlano. E qui ci parlano di lacrime che si sono pietrificate dentro, non escono. Sono un masso ingombrante e pesante che schiaccia l’anima.

Come furono le lacrime di Maria dietro il calvario di Suo Figlio? Non so. Ma lì, Lei si fece di roccia. Fu prostrata ma non schiacciata dal peso del dolore. Uscì dalla fucina della Passione con il candore abbagliante di una pietra robusta, pronta a custodire tutte le lacrime che sarebbero venute.

Nel marmo bianco e scabro della Pietà Rondanini di Michelangelo, in cui Madre e Figlio sono quasi fusi in una stessa roccia, intravedo la turris eburnea che è Maria. Una candida fortezza di restistenza alla tentazione della disperazione, fatta robusta tenendo in braccio Gesù morto che non muore.

La risposta alla torre di Babele

Salire al cielo è un bisogno scritto nel DNA umano. Più su, è la voce di Icaro che arriva fino alle note di Renato Zero. La confusione di Babele, che ci resta ancora piantata dentro, è il fraintendimento radicale di questa salita al cielo.

Si dissero l’un l’altro: «Venite, facciamo dei mattoni cotti con il fuoco!» Essi adoperarono mattoni anziché pietre, e bitume invece di calce. Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre la cui cima giunga fino al cielo; acquistiamoci fama, affinché non siamo dispersi sulla faccia di tutta la terra».

Genesi 11

La torre non è più un veicolo per avvicinarsi a Dio che sta in alto, ma per eccellere e dominare chi sta sotto: acquistiamoci fama. La punizione della superbia è la confusione linguistica, gli uomini non riescono più a costruire perché cominciano a parlare in lingue diverse e non si capiscono. Abitiamo ancora questa città di uomini in cui ognuno edifica per sé, più in alto dell’altro, parlando solo la propria lingua, ignaro e incurante delle voci altrui.

Non è affatto un caso che sugli alti grattacieli delle metropoli campeggino immensi cartelloni pubblicitari. È Babele, la terra delle parole confuse, che mistificano e dominano dall’alto per tradire il vero e mirare a miseri tornaconti.

Poche parole uscirono dalla bocca di Maria quando fu visitata dall’angelo. Accada di me secondo la tua parola. La pietra angolare della torre che è Maria è quest’intuizione, che la parola di un Altro mi regga e mi porti al Cielo. Uomini orgogliosi misero pietra su pietra per fare una torre che fosse alta fino al cielo. Il Cielo fece di Maria la vera torre che connette le parole degli uomini a quelle del Padre, Lei custodisce tra le sue mura i nostri aneliti e singhiozzi e lì porta su, uno a uno, a Dio.

Bellezza d’avorio in un mondo a pezzi

Il tuo collo come una torre d’avorio

Questo verso del Cantico dei Cantici è all’origine del titolo mariano di turris eburnea. Il candore del collo è un epiteto di bellezza suprema. Maria dunque è lodata per la sua elegante bellezza. Il collo regge la testa, Maria è così bella perché può stare a testa alta. Nulla sporca il candore della sua luce, che pure ha attraversato il buio e il lutto.

Un piccola riflessione solo apparentemente estetica mi è passata per la testa, leggendo su qualche sito che esiste la tendenza chiamata goblin mode. I goblin sono creature dall’aspetto ripugnante e da qui si è passati, ultimamente, a usarli come emblema di uno stile di vita impresentabile.

Umore a terra, zero voglia – o possibilità – di uscire, pigiama ventiquattro ore al giorno, capelli sporchi, niente trucco, orari sballati, uso smodato di cibo spazzatura, spesso senza uscire dalla propria stanza. 

Da Radio Zeta

Sotto il peso dolente di una lunga pandemia, con la dose rincarata da una brutta guerra, certa fetta di umanità reagisce rivendicando il diritto di essere e mostrarsi impresentabile.

La modalità goblin è descritta come uno stile di vita che dà alle persone il permesso di abbandonare le regole imposte dalla società e abbracciare gli istinti di base.

Da Wired
TIRED TEENAGER

Passati attraverso il crogiolo di prove dolorose, ne usciamo sfatti, non curati, allo stato brado. E rivendichiamo il diritto a questa fiacchezza molle.

Passando dal crogiolo della Passione, Maria è diventata una torre d’avorio. Il ritratto di Lei – che aumenta in bellezza e purezza e robustezza mentre Dio la chiama a sé attraverso le circostanze – è l’antitesi della nostra stanchezza inerte, da gente che si vuole mostrare sfinita dopo essere stata messa alla prova.

Da quelle piccole torrette che sono i social network lanciamo il grido della nostra disfatta dopo la tempesta ed è: “Uffa, lasciami in pace e trasandato”. La voce che uscì dalla turris eburnea che è Maria continua a lanciarci una sfida più vigorosa: L’anima mia magnifica il Signore.

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