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Vorreste lasciare tutto?

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Luisa Restrepo - pubblicato il 04/05/22

Di fronte a delusione, stanchezza e ira, ci vediamo spinti a rompere relazioni, e senza rendercene conto spezziamo noi stessi...

Abbiamo sperimentato tutti la voglia di lasciare tutto e fuggire via. È forse per questo che l’appello appassionato di Gesù a rimanere, espresso nel Vangelo, mi fa pensare che l’impulso che porta le persone a voler partire fosse già iniziato nella prima comunità cristiana.

Vogliamo andarcene quando siamo delusi, quando vediamo che le cose non vanno come speravamo. Quando ci sentiamo esclusi, quando sentiamo di non aver più nulla da dare.

Vogliamo andar via quando siamo arrabbiati, quando affrontiamo l’ingiustizia. Quando siamo stanchi e niente ci entusiasma più.

La nostra epoca, come quella di Gesù, sembra offrire molti spunti per non rimanere: paura dell’impegno, confusione dei valori, volatilità delle cose, prepotenza al potere, intolleranza nelle relazioni, incapacità di ascoltare e di valorizzare le persone.

È un’epoca in cui lo spirito sembra essersi ritirato dalla Terra. È come se Gesù avesse lasciato gli strumenti del mestiere nelle nostre mani e se ne fosse andato.

Come se tutto dipendesse da noi e non ci fosse più un Dio che lotta con noi.

Un esempio evangelico di fuga

VIA CHRISTI

In questo Tempo di Pasqua, anche l’evangelista Luca ci ha presentato questa dinamica di delusione e fuga: i due discepoli di Emmaus.

Dopo tre giorni, rendendosi conto che le cose non andavano come speravano, hanno deciso di andar via e abbandonare la loro fede.

Di fronte a delusione, stanchezza e ira, ci vediamo spinti a rompere relazioni, e senza rendercene conto spezziamo noi stessi.

L’invito di Gesù non è un appello a rimanere passivi là dove siamo, ma a rimanere collegati. A volte si può restare in una situazione, ma isolati.

L’amore non è l’ostinazione di non cambiare, ma l’apertura che permette che la vita circoli.

La proposta di Gesù

Apparentemente, il tralcio può anche rimanere inserito nella vite, ma senza lasciar circolare la linfa.

Gesù non ci invita a rimanere in un’ostinazione passiva, ma a rimanere in Lui e a permettere che Egli resti in noi.

Ci invita a rimanere in una relazione: “Senza di me non potete fare nulla” (Gv 15,5).

Senza Gesù, la nostra vita è sequestrata in un turbinio di sciocchezze.

È indispensabile rimanere sempre uniti a Gesù, dipendere da Lui, perché senza di Lui non possiamo far nulla (cfr Gv 15,5).

In una lettera scritta a Giovanni il Profeta, vissuto nel deserto di Gaza nel V secolo, un fedele pone la seguente domanda: Come è possibile tenere insieme la libertà dell’uomo e il non poter far nulla senza Dio?

E il monaco risponde: Se l’uomo inclina il suo cuore verso il bene e chiede a Dio l’aiuto, ne riceve la forza necessaria per compiere la propria opera. Perciò la libertà dell’uomo e la potenza di Dio procedono insieme”.

Benedetto XVI

Il dolore aiuta a crescere

Ovviamente, la vita passa anche per la “potatura”. Gesù non ci inganna, presentandoci una fioritura indolore.

Guardando indietro alla nostra storia, possiamo riconoscere come i momenti di dolore ci abbiano aiutati a crescere.

Oggi viviamo in una cultura che esorcizza la potatura, e per questo le generazioni più giovani corrono il rischio di non prosperare. Gli adulti, genitori ed educatori, hanno paura di tagliare e potare.

Non possiamo negare che la fioritura passa per un’epoca di perdita delle foglie, in cui la pianta appare nuda e indifesa.

Senza potatura la pianta si indebolisce, e il rischio è proprio questo: formare una generazione di uomini e donne fragili, schiacciati dal peso della vita.

La sfida è non lasciarci vincere dall’apparente assenza di Dio. Consiste nel fatto di credere che lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, e dato che a volte perdiamo la speranza e non sappiamo chiedere, Egli viene in nostro aiuto.

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